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31/07/2025
Gli accordi USA - UE
Risulta molto difficile dare conto con un numero di battute ragionevole dell’acceso dibattito scaturito dall’accordo sui dazi siglato tra gli USA

Risulta molto difficile dare conto con un numero di battute ragionevole dell’acceso dibattito scaturito dall’accordo sui dazi siglato tra gli USA e l’Unione Europea (UE) in una località scozzese. Le critiche sono piovute da ogni dove: Governi, imprese, associazioni di categoria e non solo. Bruxelles si è giustificata affermando che l’accordo ha permesso di scongiurare lo scenario peggiore: dazi al 30% su tutto
l’export europeo. Ma ad avviso di uno che di negoziati se ne intende, l’UE ha dimostrato di essere un mediatore con una postura molto debole pnonostante sia il blocco commerciale più grande al mondo e con una credibilità irrimediabilmente compromessa. A fare queste pesanti affermazioni è stato John Clarke, ex negoziatore commerciale della Commissione Europea (CE) ed ex capo della delegazione Ue presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e le Nazioni Unite (ONU). Ad avviso di Clarke l’UE ha approcciato questi negoziati credendo di avere a che fare con un partner razionale intenzionato a siglare un accordo win-win. Quest’ultima è una strategia di negoziazione che mira a trovare soluzioni in cui tutte le parti coinvolte ottengono benefici, senza che nessuna si senta sconfitta. Ma Donald Trump non ha mai seguito questo schema (avendo in mente una strategia nella quale ad un guadagno deve corrispondere per forza una perdita) nella sua strategia e l’UE non l’ha capito. Unitamente al fatto che gli Stati membri erano divisi sulle contromisure da adottare e la mancanza di unità si è trasformata in un handicap per la Von der Leyen ed i negoziatori della CE. A mio avviso l’analisi va approcciata
in altro modo. Innanzi tutto ci tengo a ribadire sin dall’inizio che non sono qui a difendere l’operato della CE e che i dazi sono nocivi al benessere economico. Ce lo ricorda la storia economica. A partire dagli accadimenti degli anni ‘930 Potrei liquidare la cosa con una battuta: se sei in trappola - almeno nell’immediato -  e con un interlocutore che non accetta compromessi, che fai? Vai all’occhio per occhio dente per dente o ti muovi diversamente. La strategia della CE in
questo caso era già stata da tempo delineata dal Commissario al commercio Sefcovic: evitare lo scontro ed evitare forme palesi di ritorsione. Insomma far trascorrere la notte. Se si fosse andati al muro contro muro ora avremmo quasi sicuramente un dazio al 30%. Che è la tariffa che Trump ha affibbiato a Canada e Messico. Con un dazio al 30% ora sarebbero stati in molti ‘ex-post’ a denunciare l’incapacità della CE di negoziare e trovare un compromesso! L’unico paese al mondo che commercia con gli USA e che ha un dazio pari a zero è la Russia. Tutti gli altri si son dovuti posizionare dal 10% in su. Il Regno Unito ha incassato il 10% perché l’avanzo commerciale è molto contenuto.
Altra incertezza deriva dal fatto che non è dato conoscere i dettagli dell’accordo. Ci sono delle tipologie di beni ancora da prendere in considerazione. Ci sono parecchi dossier ancora sul tavolo delle trattative. Alcuni impegni di questo accordo sono scritti con l’inchiostro cancellabile. La CE non ha certo nessun potere per fare investimenti negli USA. E non sarà neanche la CE che andrà ad acquistare il GPL (gas americano). E in definitiva neanche per gli
acquisti di attrezzature militari dei paesi EU la CE ha autorità. Ogni paese ha singolarmente potere di spesa autonomo, non essendoci nessuna difesa europea in essere. C’è da dire che dopo l’accordo il tasso di cambio ha rimescolato le carte. E questa è per l’UE una buona notizia. La svalutazione ha di fatto neutralizzato in parte il rincaro dei beni europei dovuto ai dazi in itinere. Pertanto non mi sento attualmente di buttare la croce dell’accordo sulle spalle della Commissaria e dei suoi negoziatori. Bisogna aspettare e vedere. Diverse variabili cruciali sono ancora da definire. Per chiudere bisogna ribadire che anche il punto di vista rappresentato con forza dal negoziatore John Clarke ha le sue ragioni. Per costoro bisognava andare allo scontro frontale per costringere Trump ad indietreggiare.
Considerato che il nostro finora lo ha fatto quando ha avuto paura della reazione negativa dei mercati finanziari. E per questo agli inizi di aprile bisognava adottare la strategia dazio per dazio. Questa partita l’Europa poteva tentare di giocarla costruendo alleanze sullo scacchiere con quelle economie con le quali ha importanti complementarità strategiche e avrebbe isolato gli Stati Uniti, evitando
la trappola di un negoziato bilaterale. Certo, si sarebbe rischiata una guerra commerciale ma le conseguenze economiche e politiche di tale conflitto sarebbero state peggiori più per gli USA che per l’UE. Gli Stati Uniti, con l'enorme debito pubblico da rifinanziare, avrebbero tra l'altro dovuto affrontare le conseguenze del loro isolamento sulla
volatilità nel mercato del debito. Col prezzo economico dell'isolamento che si sarebbe fatto sentire nel 2026 a ridosso delle elezioni. Queste sono solo alcune delle ragioni che hanno portato gli analisti a giustificare o a criticare gli atteggiamenti dell’Unione Europea nei confronti degli USA di Trump. Il tempo e la lettura dei capitolati dell’intesa consentiranno di farsi una idea più precisa sugli accordi
e su chi ha più ragioni da vendere.




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