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16/06/2025
I nuovi indicatori statistici
Nel precedente articolo è emerso come misure statistiche consolidate e verificate come il Prodotto interno lordo (il Pil) attualmente non riescono a cogliere l’impatto di infrastrutture, legate all’innovazione tecnologica, come possono ad e
Nel precedente articolo è emerso come misure statistiche consolidate e verificate come il Prodotto interno lordo (il Pil) attualmente non riescono a cogliere l’impatto di infrastrutture, legate all’innovazione tecnologica, come possono ad esempio essere i servizi cloud: sulla crescita economica. Questi ultimi va ricordato sono risorse applicative ed infrastrutturali disponibili su Internet, offerte da fornitori terzi, che permettono agli utilizzatori di accedere ad elaborazioni dei dati più efficaci, garantendo spazio di archiviazione dei medesimi e applicazioni senza dover gestire fisicamente e
onerosamente l’hardware ed il software. Nello stesso tempo il Pil sottostima il valore dei dati per le grandi aziende, calcolando solo i costi di installazione dei ‘centri dati’ ma non la produttività che ne deriva a valle, più impalpabile: generata dalla raccolta e dall’utilizzo dei dati. Non esiste poi un accordo su come contabilizzare il valore dei servizi digitali gratuiti più diffusi, come i software open-source. Per colmare questo vuoto i ricercatori dei servizi studi delle Banche Centrali e degli organi governativi, più direttamente interessati, hanno cominciato a costruire indici per misurare le pressioni sulle catene di approvvigionamento – come il ‘Global Supply Chain Pressure Index’ della Federal Reserve – considerato che proprio queste pressioni hanno avuto un ruolo centrale nell’inflazione globale post-pandemica. Ma le metriche disponibili sono ancora insufficienti per valutare i rischi delle catene di fornitura di singoli prodotti, perfino quelli di alto profilo come l’iPhone. Né esistono strumenti o competenze per comprendere come la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale stiano rimodellando i modelli di business ed i flussi commerciali. Detto diversamente, si tenta di formulare politiche economiche senza avere a disposizione una guida statistica adeguata sulla produzione odierna e futura. Si sta
insomma lavorando per colmare questi vuoti statistici. Sviluppare nuove statistiche sulle reti produttive globali non è impossibile. A Cambridge (UK) ci stanno lavorando ad esempio esperti coordinati da Vasco Carvalho che hanno mostrato come i dati fiscali e di pagamento possano essere utilizzati per tracciare il flusso dei componenti lungo la catena produttiva. Ma un aggiornamento davvero efficace delle statistiche economiche dovrebbe andare oltre la semplice mappatura delle reti produttive e dei nuovi modelli di business generati dalla tecnologia. Vanno indagate altresì la maggiore capacità di resilienza economica ed il potenziale futuro delle nuove reti produttive, con l’obiettivo finale di ottenere una rappresentazione più accurata dei modelli di produzione attuali. Il concetto di ‘ricchezza complessiva’ è centrale in questa necessaria riconfigurazione. La ricchezza complessiva descrive, in termini generali, lo stato patrimoniale di un paese, includendo la capacità produttiva tradizionale – come le condizioni degli edifici e degli impianti delle imprese – e le infrastrutture nazionali, dalle strade ai porti. Ma dovrebbe anche includere le reti di comunicazione e i loro potenziali punti critici, così come le infrastrutture intangibili, come i dati disponibili per il settore pubblico e privato, e le ‘infrastrutture digitali pubbliche’, hardware come i server cloud e le reti di telecomunicazione richiamati all’inizio; sistemi di identificazione e verifica dei dati, che permettono la digitalizzazione dei servizi pubblici e ospitano tutte le statistiche economiche e ufficiali utilizzate da imprese e governi; e le applicazioni, tra cui i sistemi di pagamento e i servizi pubblici digitali. Questo ‘cumulo’ digitale però è costellato di colli di bottiglia e vulnerabilità, e ogni Governo nazionale che voglia prendersi cura della sicurezza nazionale e della resilienza dovrà imparare a quantificare questi rischi. Il Pil
nazionale deve inoltre inglobare una misura del ‘capitale umano’, per quantificare quanto le competenze e la salute della forza lavoro contribuiscano alla produttività ed alla generazione dei redditi. Va considerato nel contempo anche il ‘capitale naturale’, sebbene alcune risorse naturali fondamentali per l’attività economica, come le terre rare e altri minerali critici, siano già in parte valutate negli schemi statistici attuali. Un resoconto statistico più completo dovrebbe poi includere risorse spesso sottovalutate, come i parchi nazionali (che forniscono servizi ricreativi), la qualità del suolo e la biodiversità, che incidono direttamente sulla produttività agricola. Quello che manca infine nella contabilità è il ruolo svolto dalle Istituzioni legali e governative nello sviluppo della prosperità delle nazioni: la fiducia nello stato di diritto, la sicurezza dei contratti, e le libertà economiche. Le misurazioni disponibili non distinguono, infatti, tra la produttività di paesi con istituzioni ‘estrattive’, che concentrano la ricchezza nelle mani delle élite a scapito della popolazione: scoraggiando investimenti e sviluppo delle competenze. Accanto a paesi nei quali le istituzioni garantiscono la stabilità che consente a tutti di prosperare nel lavoro e nell’imprenditoria. La strada per passare dalle tradizionali indagini economiche su consumatori e imprese a nuove fonti di dati è nota e rappresenterebbe una rivoluzione culturale per gli statistici, che sono tradizionalmente prudenti. Quello che manca è la consapevolezza di percorrerla fino in fondo.

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