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30/04/2025
Trumpeconomia 2.0
Il corso della Trumpeconomia 2.0 è iniziato ufficialmente il 02 aprile
scorso. Quando il presidente Trump è comparso davanti ad una platea di
funzionari, giornalisti ed operai con elmetti da cantiere riuniti nel
Giardino delle Rose
Il corso della Trumpeconomia 2.0 è iniziato ufficialmente il 02 aprile
scorso. Quando il presidente Trump è comparso davanti ad una platea di
funzionari, giornalisti ed operai con elmetti da cantiere riuniti nel
Giardino delle Rose della Casa Bianca. Svelando i suoi piani per
rifondare il sistema commerciale globale. Un cartellone con l’elenco
dei dazi previsti sulle importazioni dai paesi stranieri campeggiava al
suo fianco. Dichiarando altresì che quella giornata sarebbe stata
ricordata come il ‘Giorno della Liberazione’: con l’America
collocata al primo posto nella sua agenda politica. L’annuncio ha
però generato il panico tra funzionari stranieri ed investitori,
coinvolgendo gli Stati Uniti in una vera e propria guerra commerciale
con uno dei maggiori partner: la Cina. A febbraio aveva imposto un dazio
del 10% sulle esportazioni cinesi, accusando Pechino di non fermare il
traffico di fentanyl e dei precursori chimici. La Cina ha risposto con
dazi propri e altre misure punitive contro le imprese americane. Lo
stesso copione si è ripetuto a marzo, quando Trump ha aggiunto un
ulteriore 10% di dazi, e la Cina ha replicato con nuove restrizioni. Ma
è stato dopo l’annuncio dei dazi del ‘Giorno della Liberazione’
ad aprile che le tensioni sono esplose. La Cina è stato l’unico paese
a reagire immediatamente, e Trump l’ha colpita con provvedimenti
ancora più severi. Poche ore dopo l’entrata in vigore dei suoi dazi,
il Presidente ha concesso una sospensione di 90 giorni per gli altri
paesi coinvolti, ma ha annunciato un forte aumento delle tariffe per le
importazioni dalla Cina, scrivendo sui social che quest’ultima ‘ha
giocato male le sue carte’. Il risultato di questa guerra commerciale
ad oggi è che i prodotti cinesi (seconda fonte di importazioni per gli
Stati Uniti) ora scontano un dazio minimo del 145%, in certi casi anche
più alto. Mentre le esportazioni americane verso la Cina risultano
tassate al 125%. Più che di guerra commerciale trattasi di embargo
reciproco. Per gli imprenditori e gli agricoltori che vivono di questi
scambi, soprattutto per le piccole imprese, la situazione è drammatica.
Alcune aziende hanno interrotto del tutto le attività commerciali, e le
prenotazioni per le navi cargo dalla Cina agli Stati Uniti sono
crollate. Da anni, alcuni funzionari statunitensi ipotizzavano un
“disaccoppiamento” dalla Cina per motivi di sicurezza nazionale.
Ora, senza quasi preavviso, i due paesi si trovano in quello scenario.
Scott Bessent, segretario al Tesoro, e altri esponenti
dell’amministrazione Trump hanno definito l’attuale situazione
“insostenibile”. Ma tra Stati Uniti e Cina non si sono ancora tenuti
colloqui concreti, e non è chiaro come si possa risolvere lo scontro.
Per ora, il braccio di ferro continua. A oltranza. Sul fronte
dell’economia in molti sono preoccupati considerato che le politiche
ondivaghe di Trump l’hanno sconvolta. Quando Trump ha preso le briglie
degli Usa, ha ereditato un’economia che era l’invidia del mondo.
Eppure, nel giro di poche settimane, la fiducia dei consumatori è
crollata, le imprese hanno sospeso le espansioni programmate e gli
investitori hanno iniziato a mettere in dubbio la sicurezza del debito
federale. Gli esperti di economia si sono interrogati su cosa fosse più
probabile: una semplice recessione o una ‘stagflazione’. Mix di
ristagno e inflazione. Queste preoccupazioni sono direttamente legate
alle politiche commerciali in continua evoluzione di Trump, che
minacciano di far salire i prezzi per i consumatori, sconvolgere le
catene di approvvigionamento globali e ispirare tariffe punitive dai
partner commerciali degli Stati Uniti. Ma le interruzioni non si
limitano al commercio. Le minacce di Trump di licenziare Jerome H.
Powell, presidente della Federal Reserve, hanno scosso i mercati
finanziari. Visto che è sotto attacco l’indipendenza della Fed. Le
sue politiche sull’immigrazione hanno portato alcuni datori di lavoro
a lamentarsi di non riuscire a trovare lavoratori. Gli sforzi
dell’amministrazione per ridurre i costi, sotto la guida di Elon Musk,
hanno comportato decine di migliaia di licenziamenti e dimissioni tra i
dipendenti governativi, congelando miliardi di dollari di fondi
federali. Forse più di ogni singola decisione presa
dall’Amministrazione Trump, gli imprenditori affermano che il continuo
cambiamento delle politiche — tariffe imposte e poi sospese,
lavoratori licenziati e poi reintegrati — ha reso quasi impossibile
fare previsioni a lungo termine. Fondamentali per le scelte. Gli
economisti dal canto loro sostengono che l’incertezza da sola potrebbe
essere sufficiente a causare una recessione, se le imprese rispondono
diminuendo l’attività produttiva: limitando assunzioni e
investimenti, come mostrano i sondaggi che indicano che molte imprese
hanno già cominciato a farlo. Tuttavia, le prove di un rallentamento
sono finora emerse principalmente nei sondaggi e nelle congetture degli
analisti. Insomma non in mutamenti concreti dell’attività economica.
La crescita dell’occupazione resta solida, considerato che i
licenziamenti sono contenuti. La spesa dei consumatori è diminuita
all’inizio dell’anno, ma da allora è rimbalzata. Ciò suggerisce in
ultima analisi che, mentre il rischio di recessione è aumentato, questa
non è ancora inevitabile. In un prossimo articolo mostreremo come la
Trumpeconomia affondi la sua sicumera in credenze di teoria economica
erronee.

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