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21/02/2024
Lo stallo dell'Europa
Una gestione comune degli investimenti, finanziati con debito pubblico comune, potrebbe porre fine all'instabilità generata dalla ricerca di investimenti più profittevoli in giro per l’Eurozona.

Finora quanto auspicato da Mario Draghi, con un intervento sul ‘The Economist’ (06 settembre 2023), sollecitando l’Eurocambiamento per far fronte alle nuove sfide, è rimasto lettera morta. L’Europa per Draghi avrà un futuro solo con una maggiore sovranità condivisa e con nuove regole fiscali. Draghi di questo ne discute da dieci anni. Almeno fin dai tempi in cui la crisi del debito sovrano greco stava per far saltare l’euro. L’Europa per Draghi, nello spirito di Jean Monnet, dovrebbe essere capace di reagire e cambiare pelle dinnanzi alle crisi. Persino all’indomani della crisi dei mutui sub-prime, nel 2008, il nostro teorizzava qualcosa di simile al ‘Next Generation EU’. Le sfide che l’Europa ha di fronte: dalla difesa, alla transizione energetica, ai massicci investimenti necessari per adattarsi ai nuovi scenari, hanno bisogno di una regia e di risorse comuni. Lasciare che i singoli Stati membri affrontino in ordine sparso questioni quali la geopolitica (di urgente attualità) e il clima che non va messo in secondo piano, convivendo con regole o capacità fiscali asimmetriche, è inefficiente e, alla lunga, non credibile. Il nocciolo del ragionamento di Draghi è il seguente: la condivisione solo di un mercato/valuta comune è una potente forza centrifuga che destabilizza i Paesi della periferia attraverso i movimenti dei capitali com’è avvenuto nel 2011. Una gestione comune degli investimenti, finanziati con debito pubblico comune, invece, potrebbe porre fine a questa instabilità generata dalla ricerca di investimenti più profittevoli in giro per l’Eurozona. Ma su questi temi dopo qualche apparente passo in avanti (abbozzo di una politica fiscale comune e messa in discussione delle regole fiscali pro.cicliche) passata la pandemia da Covid-19 tutto si è arenato.

Riguardo al ‘Patto di Stabilità e Crescita’, dopo la sua sospensione in seguito alla pandemia da Covid-19, era stata invocata da più parti la semplificazione delle regole fiscali europee e la rimozione dei difetti di ‘pro-ciclicità’ del vecchio schema. Per usare le parole di Draghi sul ‘The Economist’ nell’articolo richiamato all’inizio le vecchie regole rischiavano di essere ‘troppo restrittive in tempi di crisi’. Ed erano anche decisamente troppo complicate. Com’è noto lo scorso dicembre si è trovato un accordo in sede di Consiglio Europeo per una riforma complessiva del patto. La proposta originale di riforma avanzata dalla Commissione europea facendo proprie le raccomandazioni della ‘Commissione Thygesen’ si basava su un “indicatore unico” (la cosiddetta net expenditure) che dovrebbe informare i piani pluriennali di aggiustamento fiscale concordati con i singoli Stati. Ma il nuovo indicatore sembra contemplare lo stesso modello col ‘Pil potenziale’ che nel sistema delle vecchie regole portava a quegli effetti pro-ciclici denunciati da Draghi. Inoltre, durante il lungo negoziato per la riforma del Patto, sono state sovrapposte all’’indicatore unico’ che è un passo in avanti una serie di ‘clausole di salvaguardia’ che hanno manomesso la coerenza della proposta iniziale della Commissione. In breve le crisi continuano a non insegnare nulla.

Massimo Ricciardi




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