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24/11/2023
Evangelii Gaudium compie dieci anni
Oggi si rischia di vedere «una Chiesa che diserta il terreno della cultura comune» e che evita di «familiarizzare con il continuo ruminare dell’uomo».

Il tema scelto la per 48esima Settimana sociale dei cattolici italiani, nell’anno 2017 era quello del “Lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”. Si tratta di quattro aggettivi che papa Francesco ha utilizzato nella Evangelii Gaudium (§ 192) per descrivere le condizioni attraverso le quali il lavoro può diventare l’attività nella quale “l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”. Presentando l’iniziativa, l’arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, Filippo Santoro, ha subito sottolineato come dal “cantiere aperto” della Settimana sociale emergeranno proposte concrete in quattro ambiti: “formazione e scuola-lavoro, digitale e nuovo lavoro, modelli di vita e tempi di lavoro, politiche del lavoro e Ue, che si collegano sempre alla dignità dell’uomo. Le Settimane sociali dei cattolici italiani - pensate come “riunioni di studio per far conoscere ai cattolici il vero messaggio sociale cristiano” - nacquero nel 1907 per iniziativa dell’economista e ora beato Giuseppe Toniolo. La prima si tenne a Pistoia e poi regolarmente ogni anno fino alla Prima guerra mondiale affrontando i temi del lavoro, della scuola, della famiglia e della condizione della donna e questo rientra negli ambiti essenziali della vita umana, da cui l’attenzione del Papa. Con l’obiettivo di sottolineare le storture e i problemi che attanagliano oggi il lavoro, ma anche valorizzare ciò che di buono cresce nei territori per iniziativa della società civile e delle imprese più sensibili e avanzate, l’MCL oltre ai dati Istat generali dei quali non si può essere molto soddisfatti, nei confronti, si individuano le diverse criticità in particolare: la disoccupazione e l’inattività giovanile, l’eccessiva precarietà di molti rapporti di lavoro, la piaga dello sfruttamento e del caporalato, il lavoro delle donne ancora troppo scarso e mal pagato, l’inadeguatezza del sistema educativo nel preparare al lavoro e infine le attività pericolose e malsane per i lavoratori e per i territori sui quali esse insistono.

Tutti temi che rimandano una disamina a fondo dei contenuti quali la creazione di nuovo lavoro, la promozione di nuovi modelli di vita e di lavoro, la spinta per un’Europa del lavoro, l’impegno per affrontare l’emergenza lavoro. Nel voler rimuovere gli ostacoli per chi il (buon) lavoro lo può creare; fermare la corsa al ribasso sui costi del lavoro e ne distrugge la dignità; ridare dignità a scartati ed esclusi favorendo il loro reinserimento nel mondo del lavoro l’impegno del Movimento si orienta per una riduzione del cuneo fiscale, la compressione dei tempi della giustizia civile, l’agevolazione dei finanziamenti per chi vuol creare impresa e lavoro. Nonché tutela della dignità del lavoro, favorendo la contrattazione aziendale più vicina al lavoratore, Soprattutto una “ridefinizione dei confini del lavoro, diminuendo le ore di lavoro per investirle nella cura dei bambini, degli anziani, dei soggetti deboli, della comunità”. Una sfida epocale come epocale è la questione del lavoro che cambia. Francesco si è però soffermato sulla santità nella Chiesa e in più occasioni ha tracciato non solo un profilo di ciò che contraddistingue l’essere santi – la gioia, l’umiltà, il servizio e non di rado il nascosto –, ma ha anche indicato che cosa un santo non è: un superbo, un vanitoso, un «cristiano di apparenza», un «supereroe». Riandando ai grandi appuntamenti della Chiesa italiana che hanno cercato di dare una scossa al cattolicesimo impegnato e al suo laicato: dal Convegno della diocesi di Roma del 1974 a quello ecclesiale nazionale di Loreto (1985) con la sua “scelta religiosa” , ai successivi di Palermo (1995) e Verona (2006). Significative sono le pagine sempre dedicate allo stile di testimonianza cristiana, solo riprendendo e attualizzando la lettura dei «segni dei tempi» tracciata dal Concilio Vaticano II e dallo stile sinodale proposto da papa Francesco nel discorso al Convegno ecclesiale di Firenze (2015) si potrà ripartire da una «Chiesa madre» che, secondo le parole di Bergoglio, sia in grado di «accompagnare», «accarezzare» e «comprendere» la vita di ogni battezzato, vero lievito e sale per tutta la «società civile». È chi fa affidamento solo sulle proprie forze dimenticando che «ci si salva insieme», come ripeteva caparbiamente il poeta Charles Péguy; chi osserva rigidamente le regole e così si sente superiore; chi invece di annunciare il Vangelo si mette a classificare gli altri, siano credenti o no; chi rimarca solo penitenza e sacrificio dimenticando la gioia della fede; chi diventa preda di un elitarismo narcisista e autocompiaciuto; chi ha fiducia solo nelle strutture e nelle pianificazioni astratte, ignorando la concretezza della vita. Sotto queste varie tipologie può rientrare la definizione di "neo pelagiano" cui così spesso si richiama papa Francesco.

Assieme al neo gnosticismo, è un’eresia che si presenta oggi all’interno del cattolicesimo secondo Bergoglio, che nel manifesto del suo pontificato, la Evangelii Gaudium, ma anche in molte altre circostanze ha insistito su questi due pericoli. Il neo-gnosticismo esprime l’ideologia del "niente carne", cioè la visione di un Dio che non si è incarnato; il neo-pelagianesimo invece del "niente Dio", la concezione dell’uomo prometeico che dispone della propria esistenza contando solo sulla propria ragione. Il richiamo del papa richiamato oggi non è solo un vezzo da esegeta o da storico lo testimonia una citazione perfetta sia il contesto storico in cui si radicò l’eresia pelagiana sia le motivazioni cha hanno spinto l’attuale pontefice a richiamarne oggi il pericolo per i credenti, nel sottolineare è quella relativa alla situazione della cultura cattolica oggi, di vedere il rischio di «una Chiesa che diserta il terreno della cultura comune» e che evita di «familiarizzare con il continuo ruminare dell’uomo», di un cattolicesimo di base avvolto da «un’inerzia diffusa» e da «una pigrizia intellettuale ormai cronica». A dieci anni siamo sempre più convinti che tutte sfide possibili a condizione che la fede cristiana non sia elitaria e che la Chiesa stessa non pensi di essere un baluardo contro l’inciviltà ritenendosi perfetta, l’isola felice per la salvezza di pochi. Questa corrispondenza va continuamente mostrata, argomentata, riflettuta. Ma questo lavoro non è praticabile senza entrare in modo competente nel merito dei paradigmi culturali che formano il senso nel quale ognuno di noi nuota assieme a tutti la necessità di una presenza culturale della Chiesa.

Gilberto Minghetti




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