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08/11/2023
Giuseppe Fanin, 75 anni fa la morte del sindacalista cattolico
Il suo martirio ci affida, oggi, a 80 anni da Camaldoli, la responsabilità di custodire e promuovere la pace

Sarebbe una commemorazione incompleta se non prendessimo in considerazione di cosa significasse allora, essere cristiani impegnati ad affrontare le difficoltà che s’incontrano nel nostro vivere quotidiano e quale monito trarre dal suo esempio per il futuro delle nuove generazioni. Lui che aveva una gioia nel cuore e la comunicava a tutti per rendere bella e buona la vita; offrire ragioni e traguardi per un cammino reale, della sua libertà e del suo grande amore pieno di fiducia nel tenere sempre alta la meta di ogni esistenza verso quel "di più" che per il cristiano viene da Dio. Sapevano tutti che amava la Chiesa, che era disposto ad essere corresponsabile con i Pastori della sua vita, in un’associazione che si spendeva per il bene delle persone, per i percorsi di santità, per la comunità cristiana nella sua missione: sapeva coinvolgere tutti per il bene di tutti. Senza la presenza della famiglia, avrebbe rischiato di costruire sulla sabbia; senza una collaborazione con la scuola non si formava un’intelligenza profonda della fede; senza un coinvolgimento dei vari operatori del tempo libero, rischiava di non essere efficace e di non incidere sulla vita quotidiana. Aveva il coraggio di non lasciare nessun ambiente privo della tenerezza che fa sperimentare a tutti, anche ai più bisognosi e abbandonati, la sua importante missione. L’uomo non può vivere senza la ricerca della verità su sé stesso - verità che spinga ad aprire l’orizzonte e ad andare al di là di ciò che è materiale, non per fuggire dalla realtà, ma per viverla in modo ancora più vero, più ricco di senso e di speranza e non solo nella superficialità. Ed è proprio qui che si inserisce anche la nostra esperienza associativa con i grandi interrogativi che portiamo dentro. La guida suggerita da Giuseppe invita a prendere coscienza di questa sana e positiva inquietudine, a non aver paura di porsi le domande fondamentali, non fermandosi alle risposte parziali, immediate, certamente più facili e più comode, che possono dare qualche momento di felicità, di esaltazione, ma che non portano alla vera gioia di vivere, quella che nasce da chi costruisce – come dice il Vangelo –sulla solida roccia. Abbiamo imparato da lui a leggere in modo non superficiale, ma in profondità la nostra esperienza umana e associativa: scoprendo con gioia, che abbiamo un cuore che è una finestra aperta sull’infinito, uno stile che è sempre stato un programma svolto e seguito alla scuola di Giovanni Bersani. Una delle illusioni prodotte nel corso della storia è stata quella di pensare che il progresso tecnico-scientifico, in modo assoluto, avrebbe potuto dare risposte e soluzioni a tutti i problemi dell’umanità, ma vediamo che non è stato così.

In realtà, anche se ciò fosse stato possibile, nulla e nessuno avrebbe potuto cancellare le domande più profonde sul significato della sofferenza, perché queste domande sono scritte nell’animo umano, nel nostro cuore e oltrepassano la sfera dei bisogni. Lui aveva già capito perché l’esperienza umana è una realtà che ci accomuna tutti, ma ad essa si possono dare diversi livelli di significato. Ed è qui che si decide in che modo orientare le proprie scelte a chi affidarle, a chi affidarsi. Non temiamo di affrontare le situazioni difficili, i momenti di crisi, le prove della vita, perché nel nostro ambito è tuttora valido l’aiuto invocato con la preghiera che ci accompagna all’inizio dei nostri incontri, perché trasformati dallo Spirito Santo potremo sperimentare l’autentica libertà, che è tale quando è orientata al bene. In questo modo il paradigma della vita di Giuseppe, animata da una continua ricerca e dalla volontà sincera di donarsi, sarà per tutti un segno, un richiamo eloquente a far sì che il desiderio di pienezza che sta in tutti noi si realizzi, per portare nei diversi ambienti quella novità che può cambiare le relazioni, le istituzioni, le strutture r i corpi intermedi, per costruire un mondo più giusto e solidale, animato dalla ricerca del bene comune. Seguire Fanin - allora - significa essere predisposti a scegliere e non a celarsi dietro le diverse ambiguità del politicamente corretto, ma un progetto politico liberante e attento ai deboli e agli emarginati che non parte mai dal centro, ma dai margini: da Lorenzatico. E’ come ci si colloca e si assumono i margini, le condizioni di emarginazione, di sofferenza, che si comprende come un progetto sociale e politico assume il principio di uguaglianza e ad esso conforma come tensione principale la sua visione del mondo e della condizione umana e vi relaziona gli impianti istituzionali e associativi disposti a mettersi in discussione attraverso il dialogo, il confronto e la critica. Il suo martirio ci affida, oggi, a 80 anni da Camaldoli, la responsabilità di custodire e promuovere la vita nell’armonia della pace, la scelta sistematica di ripudiare il terrorismo e la guerra, la premura con cui porsi in attento ascolto dell’appello che ci arriva dai nostri giovani i quali, desiderando domani partecipare in pienezza alle vicende della polis, esigono giustamente da parte di tutti una vera e credibile educazione al primato del bene comune, contro ogni sterile e interessata faziosità e contrapposizione. Le nostre coscienze memori tanto del dolore del martirio e dei suoi familiari quanto del sangue innocente, versato in quei tempi di ferocia, saranno sempre il nostro sostegno al suo “messaggio sempre rinnovato di pace e di speranza”.

Gilberto Minghetti




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