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15/09/2023
L'intensità della politica monetaria in Eurozona
L'inflazione sta diminuendo, ma l’inasprimento monetario attuato finora deve ancora dispiegare i suoi effetti.

La Banca Centrale Europea (BCE) ha deciso alla fine di aumentare i tassi di interesse per la decima volta consecutiva nell’arco degli ultimi quattordici mesi: con l'incremento dello 0,25% che porta il tasso sui depositi al 4%. Ai massimi dall'introduzione della moneta unica. Quello principale, invece, al 4,5% mentre quello sui prestiti marginali al 4,75%. Le previsioni degli analisti erano che avrebbe alzato ancora un po’ i tassi di policy (alcuni pensavano di 13 punti base, mentre altri altri 25) e che poi ci sarebbe stata una pausa. Alla fine c’è stato un aumento dei tassi di un quarto di punto ed interpretando il comunicato ci dovrebbe essere una pausa. È una scelta giusta? Sì, perché, dati “i lunghi e variabili ritardi” con i quali la politica monetaria si trasmette (Milton Friedman insegna) la pausa non significa affatto termine o culmine della stretta. C’è solo da valutare l’impatto restrittivo della stretta sull’economia che si dispiegherà con un ritardo temporale e che consentirà di tarare la manovra monetaria. Né troppo stretta né troppo lasca. La Presidente della Bce Christine Lagarde ha spiegato nella conferenza stampa che la decisione è stata presa con un consenso ampio, ma non unanime all’interno del Direttivo. In autunno, pertanto, è abbastanza probabile che ci sarà una pausa nel rialzo: perché i tassi avrebbero ormai raggiunto un livello che nel tempo dovrebbe contribuire a contenere l'inflazione. La ‘dottrina Panetta’ illustrata tempo fa in Bocconi dal futuro governatore della Banca d’Italia sembra aver fatto breccia nel Direttivo.

Siamo in un momento in cui l'inflazione sta diminuendo, con l'attenuarsi degli shock dal lato dell’offerta, ma l’inasprimento monetario attuato finora deve ancora dispiegare i suoi effetti visti i ritardi. Pertanto coi tassi d’interesse situati in territorio restrittivo, la politica monetaria deve essere calibrata in modo da consentire di raggiungere l’obiettivo di inflazione in modo tempestivo evitando costi inutili per l'economia. Si vuole puntare più sulla permanenza dei tassi al livello raggiunto per un lasso di tempo maggiore che su un continuo rialzo. Le Borse hanno chiuso in rialzo, apprezzando la prospettiva di una pausa. A pesare sulla scelta della Bce contribuiscono i nuovi dati economici che prevedono per l'Eurozona, rispetto alle stime precedenti, un aumento dell'inflazione del 5,6% nel 2023 e del 3,2% nel 2024, e una crescita ridotta (+ 0,7% quest'anno e + 1,0% il prossimo). Aspettative di inflazione ancorate al 2% nel medio periodo e un tasso di rendimento reale del capitale stimato attorno o poco sotto l’1%, implicano che la politica monetaria rimanga restrittiva. Finora la politica monetaria ha fatto il suo sporco lavoro. Da sola vista la latitanza della politica fiscale. L’inflazione è stata dimezzata ma resta decisamente elevata. L’inflazione di base (core) è ancora superiore al 5% in presenza di un ristagno nell’andamento della produttività. Nel caso a Francoforte sul Meno inviassero segnali di tollerare questo scenario, significherebbe avere un’economia in equilibrio con un’inflazione di base al 5% e salari che, con produttività a zero, viaggiano alla stessa velocità. Cosa significa tutto ciò? Significa che si può avere l’impressione che il raggiungimento del tasso terminale significhi il culmine della stretta monetaria, ma non è corretta.

L’apice della stretta monetaria non coincide necessariamente col punto di massima restrizione da parte delle autorità monetarie, ma con il punto di massima resistenza dell’economia alle restrizioni. Prima che quest’ultime, nel caso di un’inflazione persistentemente elevata associata a crescita dei salari nominali, ottengano di rallentare l’attività economica e, se necessario, condurla in recessione. È quindi importante, non solo il livello raggiunto dai tassi, ma il tempo necessario che si mantengano su tale livello perché dispieghino il loro effetto disinflazionistico. Questo dipenderà, oramai, principalmente, con quanto la politica fiscale contribuirà alla causa. La BCE ha fatto la sua parte, e si prende in autunno una pausa. Quanto tempo sarà necessario mantenere i tassi di policy a questo livello (persistenza ) perché abbiano il loro impatto disinflazionistico, non dipende più dalle Autorità monetarie ma da quelle fiscali (dai Governi dell’Eurozona). Detto in altro modo serve che la politica fiscale accompagni quella monetaria nel raffreddamento dell’economia. Il che richiede che i Governi facciano aggiustamenti fiscali graduali ma costanti. Ciò si rende necessario, ed è coerente, dato che le economie sono in piena occupazione. I paesi con un debito pubblico elevato come l’Italia possono assorbire facilmente un’intenso, ma breve, aumento dei tassi ma sono in difficoltà a gestire tassi medio-alti a lungo. Una politica fiscale che affianca la politica monetaria mitiga l’effetto di recessione sulla domanda aggregata di quest’ultima. È quindi nell’interesse dei Governi procedere quanto prima in questa direzione. In caso contrario dopo la pausa autunnale la corda del boia continuerà a stringere.

Marco Boleo




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