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29/08/2023
I dilemmi dei banchieri a Jackson Hole
La presidente della Bce ha affermato che con la transizione energetica ed i cambiamenti geopolitici ci saranno ancora altri shock di offerta.

Ogni anno, i banchieri centrali, gli economisti e gli analisti finanziari delle economie del G - 20 si ritrovano a fine agosto nella periferia di ‘Jackson’, una piccola città nello stato del Wyoming (USA) per discutere delle questioni più urgenti dell'economia mondiale e della politica monetaria. Lo hanno fatto anche quest’anno ed il tema del ‘Simposio’, organizzato come di consueto dalla ‘Fed’ del Kansas (Decimo Distretto), è stato “Cambiamenti strutturali nell’economia globale”. I registi hanno Cannes. I miliardari hanno Davos. Mentre i Banchieri Centrali, gli economisti e gli analisti hanno Jackson Hole. Il padrone di casa del Simposio, la Federal Reserve Bank di Kansas City, osserva la ferrea legge della domanda e dell’offerta: invitando molte meno persone di quante vorrebbero partecipare, il che serve solo ad aumentare il prestigio del convegno. Quest’ultimo poi è divenuto nel tempo un appuntamento irrinunciabile per gli investitori di Wall Street, per gli Accademici e per la stampa. A pensare che un secolo fa, come ebbe a scrivere il New York Times nel 1920, quando la popolazione di Jackson contava circa 300 abitanti, ogni volta che veniva commesso un crimine efferato tra il fiume Mississippi e la costa del Pacifico, era abbastanza sicuro supporre che il responsabile si stesse dirigendo verso Jackson Hole o che vi fosse appena giunto. Tornando al Simposio. Mentre la fase acuta dello shock inflazionistico globale potrebbe essere superata nessuno tra i partecipanti se l’è sentita di cantare vittoria. L’anno scorso, i partecipanti cercarono di recuperare le proprie credenziali nella lotta all’inflazione dopo non essere riusciti ad identificare o a rispondere abbastanza rapidamente all’impennata più acuta dei prezzi al consumo dagli anni ’70 del secolo breve. Ma dopo aver spinto i tassi di interesse ai massimi decennali, i Banchieri Centrali presenti hanno un altro compito arduo da affrontare: mettere a punto la politica monetaria giusta per tenere l’inflazione sotto controllo, senza causare però problemi eccessivi nell’andamento dei sistemi economici e dolorose perdite di posti di lavoro. Il problema è che debbano farlo quando ancora le turbolenze generate dallo shock dal lato dell’offerta devono ancora placarsi.

In uno scenario nel quale la pandemia globale ed il conflitto russo-ucraino potrebbero aver mutato in parte il funzionamento dei sistemi economici. La Fed, la Banca Centrale Europea e la Banca d’Inghilterra sono tra le Banche Centrali che stanno ancora cercando di capire di quanto aumentare ancora i, rispettivi, tassi di interesse di riferimento: con l’impatto degli aumenti passati che ancora non si è dispiegato pienamente. Visti i proverbiali ritardi degli effetti della politica monetaria sulle variabili economiche messi in evidenza da Milton Friedman. Incombe anche lo spettro di un rallentamento della crescita del Pil, mentre le opinioni all’interno dei ‘Consigli direttivi’ delle Banche Centrali sulle prospettive future sono divenute più variegate. Presto gli addetti ai lavori dovranno chiedersi per quanto tempo ancora i tassi d’interesse dovranno essere mantenuti elevati: per garantire che le pressioni sui prezzi non si manifestino nuovamente. Almeno negli Stati Uniti, la Fed potrebbe essere vicina alla fine della fase di rialzo dei tassi nella sua battaglia contro l’inflazione, avendo già rallentato il ritmo della stretta mentre il tasso sui fondi federali (o tasso della Fed) ha superato il 5%. Anche i funzionari della BCE stanno ragionando su una pausa, mentre entro la fine dell’anno sono attesi ulteriori rialzi nel Regno Unito. Ma se da un lato la resilienza della più grande economia al mondo ha smorzato i timori di una recessione imminente, dall’altro ha messo in discussione le aspettative su quando la Fed si sentirà a proprio agio nel tagliare i tassi. La maggior parte dell’inasprimento che hanno attuato al di qua ed al di là dell’Atlantico è stato semplicemente un allontanarsi da una politica monetaria per troppo tempo espansiva. Pertanto solo con gli ultimi rialzi hanno effettivamente portato [i tassi] in territorio restrittivo. Ora hanno raggiunto una posizione dalla quale dovranno procedere con cautela. Gli addetti ai lavori hanno iniziato a contemplare i rischi del dilemma che fronteggia l’economia americana. Nel senso che mentre da un lato temono che l’inflazione possa rialzare la testa; dall’altro sono anche consapevoli dell’aumento dei costi per i consumatori e per le imprese se il torchio monetario (espressione cara a Luigi Einaudi) continua ad essere stretto. Tali preoccupazioni sono state amplificate dalle difficoltà economiche della Cina, così come dai fallimenti bancari di alcune banche statunitensi. Ma anche con il calo dell’inflazione, con le difficoltà del settore manifatturiero e con l’inasprimento delle condizioni finanziarie, il mercato del lavoro – finora – rimane vicino alla piena occupazione. Nonostante il rallentamento della crescita mensile dell’occupazione, infatti, il tasso di disoccupazione rimane ancora vicino ai minimi storici degli ultimi 50 anni. Ciò ha contribuito ad alimentare la domanda dei consumi, anche se sempre più americani sono in difficoltà coi prestiti e le scorte di risparmio diminuiscono.

Questi dati presi insieme sono un po’ problematici. Il fatto che il mercato del lavoro sia ancora così forte malgrado la stretta monetaria fa pensare che la strada per il conseguimento di un obiettivo di inflazione al 2% sia ancora lunga da percorrere. Nel suo intervento, il governatore della Federal Reserve Jerome Powell ha affermato che l'economia degli USA è cresciuta più rapidamente del previsto e che i consumatori hanno continuato a spendere a ritmo sostenuto, tendenze che potrebbero mantenere alte le pressioni inflazionistiche. La Fed è quindi pronta ad alzare i tassi se necessario: la politica monetaria resterà restrittiva fino a quando l'inflazione non si muoverà saldamente verso l'obiettivo del 2%. Il messaggio della Fed è chiaro: la lotta all'inflazione non è finita. Dopo l’intervento di Powell, la presidente Christine Lagarde ha sottolineato che la Banca centrale europea dal canto suo fisserà i tassi d’interesse al livello necessario per riportare l'inflazione al suo obiettivo. Descrivendo un'era di "incertezza", Lagarde ha affermato che è importante che le Banche Centrali forniscano un sostegno all'economia e assicurino la stabilità dei prezzi. Gli addetti ai lavori della Bce sono al lavoro per decidere se sospendere o continuare l'innalzamento dei tassi nel prossimo mese di settembre. Per il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, autorevole componente del direttivo della BCE, è troppo presto per fermare il rialzo dei tassi. Germania ed Austria insomma premono per altri aumenti. La presidente della Bce sempre dal simposio di Jackson Hole ha affermato che con la transizione energetica ed i cambiamenti geopolitici ci saranno ancora altri shock di offerta e che l’obiettivo della BCE sarà quello di ancorare l'inflazione, e che pertanto la politica monetaria rimarrà restrittiva finché necessario. Negli ultimi tempi sia la Fed che la BCE hanno preso atto delle molteplici incertezze dell'economia, ma non hanno contribuito a ridurle coi loro comunicati, salvo per l'annuncio credibile che non smetteranno di agire per sconfiggere l'inflazione. D'altro canto durante l'equilibrismo per aumentare i tassi d’interesse di riferimento del 4-5% e ridurre l'inflazione di quasi il doppio, non può non scaturire il conflitto fra l'approccio dei preannunci delle decisioni future (la ‘forward guidance’), utilizzati in passato per lungo tempo per influenzare le aspettative dei mercati, e quello della ‘dipendenza dagli ultimi dati’, con decisioni non preannunciate, ma prese di riunione in riunione degli ultimi tempi in base all’andamento dell’economia. Ora sembra (in ultimo leggendo tra le righe le dichiarazioni a Jackson Hole) che sia il Governatore Powell che la Presidente Lagarde abbiano scelto la ‘strategia della persistenza’ ricercando un trade-off (scambio) tra la portata del rialzo dei tassi d’interesse con una sua maggior ‘persistenza’. In altre parole vi sarebbe un minore rialzo dei tassi d’interesse barattato con un mantenimento del livello raggiunto per un periodo più lungo. Pertanto: tassi d’interesse meno alti ma alti più a lungo. Una strategia che potrebbe funzionare nella ricerca del giusto percorso di normalizzazione dell'inflazione e delle politiche monetarie. 

 Marco Boleo

 

 

 




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