PRIMO PIANO
25/08/2023
L'eredità di Simone Weil
La scrittrice francese ha “anticipato” l’Europa “di domani”.

Ho avuto la fortuna (per la verità, me la sono cercata) di conoscere l’allora gruppo della Associazio-ne S. Weil, partecipando al loro convegno ad Assisi, con una nostra classe del “Corso Europeo a in-dirizzo storico”. Uno degli “azzardi” che hanno caratterizzato la mia azione sperimentale (come l’altro, a Roma, al convegno dedicato a Cirillo e Metodio); contando sul fatto che gli studenti face-vano francese e sul fatto che, “alzando l’asticella”, misurando il “salto” fra ciò che sappiamo e ciò che potremmo sapere, si riceve una spinta “proporzionale” all’impegno di studio. I partecipanti fran-cesi rimasero colpiti da questa partecipazione e gli studenti ne furono entusiasti, con ricadute succes-sive su di loro e su di me: loro ne ricevettero una traccia, credo, incancellabile, io mi iscrissi alla As-sociazione (allora diretta dall’indimenticabile André Dévaux, da poco scomparso, che andai a trova-re anche a casa, a Parigi, e che una volta accettò di fare da guida ai nostri studenti alla Sorbona), e partecipai ad altri incontri, non solo in Italia. Nell’82, al Tincani, presentai una breve sintesi dedicata a E. T. Stein e a S. Weil (abbinamento che poi ho ritrovato in altri), e in più casi riparlai della Weil, soprattutto in un corso alla (allora) Libera Università di Ravenna, sul tema del “metaxù”. Nel corso di questi decenni, anche, credo, proprio sulla spinta della Associazione, lo studio di S. Weil si è mol-tiplicato, non solo in Europa, divenendo spesso oggetto di corsi universitari e libri (anche a Bolo-gna), portando a fare crescere a dismisura le citazioni, i riferimenti ecc.. Non sto qui ad accennare al-le varie edizioni di suoi testi e ai commenti (e biografie). Si è arrivati a dichiararla “tout court”, a mio parere con qualche esagerazione (senza offesa a chi l’ha scritto) S. Weil “la” filosofa del Novecento (un po’ come, mutatis mutandis, S. Caterina da Siena “la Santa” per il suo secolo). Non posso che rallegrarmene, e sono contento di avere zappato anch’io qualche tratto di terreno utile. Chiunque ab-bia letto qualcosa della S. Weil, ha certo presente che la sua “scrittura” – quindi, prima di tutto la sua “biografia” consente al lettore (allo studioso) varie, e magari, almeno in apparenza, contrastanti, pro-spettive interpretative; qualcuno ha detto che S. Weil è “la porta” per “lasciare” la Chiesa cattolica, ma anche per entrarvi; che mi pare definizione corretta; anche solo perché chi legge lo fa partendo da una o altra prospettiva, e venendone spinto verso una o altra direzione. Certamente, questo è molto “socratico”, molto “stimolante”, quindi positivo.

Lasciate che mi rifaccia ad un particolare, all’interno dei colloqui avuti con Dévaux, il “dettaglio” relativo al suo battesimo, quasi “in articulo mortis”, “rivelato” ad un certo punto dalla sua compagna degli ultimi momenti (ottanta anni fa, ap-punto); particolare (penso anche ai “Colloques”), avversatissimo da alcuni (o molti), perché contra-stante con “il resto” della sua ricerca (o, forse, con quello che, nella evoluzione della ricerca, ne ave-vano compreso quegli studiosi); alla mia domanda a Dévaux se ritenesse la testimonianza veritiera, lui rispose senz’altro di sì. A mio parere, conoscendo i passaggi biografici – forse, prima di tutto il suo “essere”, tale conclusione – che avrebbe potuto aversi ben prima, diciamo così, senza la “rigidi-tà” del domenicano p. Perrin (presente, fra gli altri ad Assisi) – rientrava pienamente nella ricerca da parte della Weil della “Verità” e dell’ “Assoluto”; ma forse, potremmo dire, prima di tutto, nella ac-cettazione della propria, personale, esperienza; ci sono pagine, credo, indiscutibili sull’argomento, da Assisi a (è stato ricordato recentemente) Solesmes, che lo confermano. Un po’ come, parlando di H. Bergson, le pagine relative alla sua “conversione”, sulle quali ho scritto in altre occasioni (oggi, mi pare, del tutto smentite). Qui sarebbe utile citare (o rileggere) Pascal, e la sua consapevolezza dell’intrinsecarsi, nella nostra esperienza e disponibilità, dell’ombra e della luce – ma anche, capace di riconoscere e accettare senza riserve la esperienza che illumina (come tutti ben sanno). In compen-so, c’è chi l’ha classificata, sic et simpliciter, fra le maggiori teologhe contemporanee; il che, a me almeno, pare forzatura (non entro nei particolari). La Weil ha poi “anticipato” (o forse ha visto me-glio) tanti altri aspetti, fra i quali, su piano “politico” (non: “partitico”) l’Europa “di domani” (che sa-rebbe la nostra). Avremo occasione di riparlarne.

Giampaolo Venturi




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