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10/07/2023
Addio a Forlani, l’ultimo simbolo del moderatismo
Traduceva i “forti” connotati culturali del pensiero fanfaniano, con una ottica di condivisione e difesa dei principi orientativi, senza asprezze né personalismi.

Arnaldo Forlani se ne è andato dopo una lunga vita e avendo avuto, come ha detto qualche suo amico, “grandi soddisfazioni … e altrettante amarezze”. E quest’ultimo riferimento riguarda le vicende che lo coinvolsero, assai strumentalmente, nelle operazioni di finanziamento illecito ai partiti che portarono lui che, come è stato scritto, servì la politica, ma non se ne servì, a scontare una pena, con l’affidamento ai servizi sociali, che fu tra le cose più ingiuste e umilianti di quella falsa rivoluzione che andò sotto il nome di tangentopoli. Ben più importante di questo giusto riconoscimento è, comunque, la valutazione di ciò che Forlani rappresentò nel coacervo delle culture e della prassi della politica democristiana. La sua adesione alla corrente fanfaniana significò partecipare a quell’impegno politico che il partito di ispirazione cristiana condusse per sottrarsi alle strette logiche del liberalismo e del socialismo massimalista. Va ricordato, per comprendere il pensiero di Fanfani, il pregevole scritto del 1934 (“Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo” Vita e Pensiero, Milano), nel quale aveva sostenuto l’incompatibilità tra capitalismo e la concezione cristiana delle attività economiche. D’altra parte Fanfani, ricambiato, mantenne sempre una chiusura verso il Pci, anche quando contribuì a realizzare la costruzione del centrosinistra. Emblematiche le considerazioni che svolse nel presentare il suo governo il 5 agosto del 1960 che realizzavano, dopo la fine del governo Tambroni, il primo accordo organico con il Psi, nelle quali arrivò a precisare che l’Msi “non presentasse per le istituzioni italiane un pericolo paragonabile a quello ‘ben più grave’ rappresentato dal PCI” (P. Pombeni L’apertura. L’Italia e il centrosinistra” Bologna pag. 244). Nella stessa collaborazione con “Cronache Sociali” la rivista di Giuseppe Dossetti, emerse, a differenza di altri, il suo rifiuto a considerare il Partito Comunista come la “riserva etica” dell’Italia, per nulla convinto di ciò, a differenza di quello che teorizzò più tardi Pietro Scoppola e cioè che l’incontro con il popolo comunista avrebbe rigenerato i cattolici. E proprio rispetto a come si schierarono i “cattolici del no” sul referendum sul divorzio del 1974, che condusse Fanfani ad una memorabile e sfortunata campagna abrogativa come segretario della Dc.

Pur nel suo stile moderato, Arnaldo Forlani fu, quindi, convinto partecipe di questa temperie culturale e politica. Traduceva i “forti” connotati culturali del pensiero fanfaniano, con una ottica di condivisione e difesa dei principi orientativi, ma in una prassi moderata, senza asprezze né personalismi. Non mancò, come ha ricordato Il Domani d’Italia, di sottolineare l’esigenza di una “modernizzazione” del partito, con il superamento degli “schemi delle correnti”, in una sollecitazione generazionale, nel famoso incontro di San Ginesio nel 1969, con Ciriaco De Mita e Bartolo Ciccardini, alla vigilia dell’insediamento istituzionale delle Regioni. Contribuì, nei primi anni ’80, alla formazione del raggruppamento del “Grande Centro” con Gava e Scotti, forse il più rappresentativo dell’anima moderata della Dc. Concorse in maniera determinante, insieme a Giulio Andreotti e a Carlo Donat Cattin, a interrompere l’esperienza politica che, avviata da Ciriaco De Mita con quel confuso progetto di “democrazia compiuta”, aveva spostato verso il Pci l’attenzione del partito di cattolici e si era poi sviluppata nell’esperienza della solidarietà nazionale di Aldo Moro, ma senza il quale, sarebbe stata destinata a spegnersi. Si trattava, nella buona sostanza, di linee politiche che avevano relativizzato il percorso di collaborazione con i socialisti che, guidati da Bettino Craxi, avevano posto fine per sempre ad ogni residuo della politica frontista. Forlani nella Dc guidò il ritorno ad un rapporto organico con il Psi di Craxi. Purtroppo l’esperienza politica di Forlani non ebbe nel 1992 il suo compimento nella elezione alla Presidenza della Repubblica. Nonostante che la condizione del Paese e i primi sintomi di una crisi generale si palesassero, nella Dc, in quella circostanza, emersero nuovamente ambizioni e scorrettezze che fecero mancare al segretario dc, sostenuto anche dal Psi di Craxi, i voti per l’elezione. Mancò nel partito quella necessaria determinazione, sulla candidatura scelta, che invece molti anni prima aveva consentito al partito democristiano di eleggere un altro leader “moderato” Antonio Segni, sfidando spaccature, franchi tiratori e ostruzionismo.

Qui forse intervenne il limite del pur pregevole carattere di Arnaldo Forlani che, nonostante avesse chiari i connotati del disegno politico “moderato”, non possedeva quella determinazione nell’agire che, invece, aveva contrassegnato, fino all’inverosimile, il suo primo referente politico, cioè Amintore Fanfani. Cosa sarebbe stato del sistema politico italiano se, al posto di Oscar Luigi Scalfaro, fosse stato eletto Arnaldo Forlani? Cioè un uomo che esprimeva il nucleo moderato del partito, capace di rappresentarlo complessivamente, rispetto a colui che, invece, aveva in uggia gran parte della sua classe dirigente. Anche se è improprio riflettere con i “se” sulla storia, possiamo con certezza affermare che, proprio quella intelligente moderazione, quella capacità di riannodare i fili, quella volontà di mai definire nemici gli avversari politici, furono, per la loro assenza, i limiti di ciò che nacque dopo la fine della ”Repubblica dei partiti”. Ed in queste tre condizioni possiamo vedere elencate le caratteristiche del pensiero e della prassi di Arnaldo Forlani. Dalla più alta carica dello Stato, forse, sarebbe potuta arrivare – che, invece, mancò - una ispirazione a salvaguardare un modello istituzionale della democrazia rappresentativa, sostanzialmente, passo dopo passo, abbandonato, non certo per una migliore partecipazione alle scelte e al governo del Paese. Se, tuttavia, è venuto a mancare l’ultimo simbolo del moderatismo politico, alla provvidenziale clemenza che ha consentito una lunga vita a Forlani, possiamo attribuire un significato: la necessità che la politica e i soggetti che vi agiscono comprendano che la costruzione e la salvaguardia dell’interesse dell’Italia, siano ricercati con la partecipazione, la rappresentanza e la tradizione storica di un popolo che ritrovi un sentire comune ed esca dalle contrapposizioni ideologiche.

Pietro Giubilo




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