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03/07/2023
Un ponte sulla frontiera della guerra
L’azione di Francesco e le sue iniziative diplomatiche hanno a fondamento una visione complessiva che comporta il superamento delle divisioni della storia della Chiesa cattolica.

Anche a Mosca, come a Kiev, il Cardinale Matteo Zuppi ha portato il suo messaggio di pace, mentre gli avvenimenti mostravano la dura logica della guerra. Aveva incontrato il premier ucraino proprio nei giorni nei quali iniziava l’annunciata controffensiva destinata a prolungare il logorante e rischioso conflitto. A Mosca è giunto all’indomani dell’iniziativa del comandante della Wagner che era sembrata poter provocare una grave destabilizzazione interna dell’”impero” russo, fonte di preoccupazione anche per le cancellerie occidentali. Appena arrivato nella capitale russa, significativo il gesto della visita e della preghiera alla Madonna di Vladimir, nemica di Satana e capace di ogni intercessione. Questa rappresenta per il popolo russo più di una immagine. E’ noto – come scrisse a suo tempo Antonio Giuliano su Avvenire - il racconto che Stalin “non esitò a far caricare l’icona su un aereo militare per sorvolare e benedire dall’alto Leningrado assediata dalle truppe di Hitler”. Una copia dell’icona fu regalata da Putin a Bergoglio nel 2013. Il Presidente della Cei ha invocato la “sua tenerezza per l’umanità ferita e sofferente”, non “per un sogno ingenuo”, ma per aiutare “a cercare con intelligenza e coraggio la via della pace, con creatività e fiducia”. Anche perché il primo intento della visita ha riguardato la sorte dei bambini allontanati dall’Ucraina e portati in Russia che il Cremlino definisce “evacuati” per sicurezza. Significative a questo proposito sono state, nell’immediato, le parole della commissaria russa per i diritti dei bambini Lvova Belova: “Svolgiamo il nostro lavoro in modo aperto e coerente. Sono sicura che l’amore e la misericordia cristiana aiuteranno nel dialogo e nella comprensione reciproca”. Ed a questo proposito rassicuranti e positive le dichiarazioni del ministro Sergej Lavrov, all’indomani, che hanno aperto alla possibilità di un ritorno: ”Siamo molto preoccupati per la sorte dei bambini in zone di conflitto. E’ noto l’elenco dei bambini che ora si trovano in territorio russo, nessuno nasconde i loro nomi o dove si trovano. E se ci sono genitori o parenti diretti, hanno tutto il diritto di riprenderli”.

Questa precisazione può portare alla soluzione di una decisiva questione umanitaria, insieme alla sollecitazione per lo scambio di prigionieri sulla quale aveva operato, anche in passato e con successo, la “diplomazia” vaticana. La parte “politica” della missione del cardinale Zuppi si è svolta con Yuri Ushakov primo consigliere per la politica estera di Putin, incontrato due volte e , soprattutto con l’indicazione di dare una continuità all’iniziativa: “Riferiremo anche alla nostra leadership sulle trattative avvenute” , ha dichiarato il rappresentante di Putin. “Poiché Zuppi è venuto qui come rappresentante speciale del Papa, tornerà a Roma, lo incontrerà personalmente e riferirà, e poi vedremo cosa si può fare, quanto ulteriormente possiamo coordinare in una certa misura il lavoro congiunto sul binario umanitario”. La dichiarazione è sembrata presagire la costruzione di un permanente filo diplomatico. L’aspetto più significativo della visita di Zuppi è stato, senz’altro, l’incontro con il Patriarca Kirill. Certo, è stato assai rilevante questo passaggio anche in considerazione del rapporto esistente tra il Patriarcato di Mosca e il Presidente Putin. “E’ importante che tutte le forze del mondo - ha dichiarato Kirill - si uniscano per prevenire un grande conflitto armato. Le Chiese possono lavorare insieme per servire la causa della pace e della giustizia”. C’è da dire che, per avere piena cognizione del suo significato, il colloquio a Mosca di Zuppi si innesta in un percorso sviluppato già da tempo da parte di Francesco. Lo sforzo dell’attuale Pontefice, in continuità con il suo predecessore, è quello di giungere al ristabilimento della piena comunione tra cattolici e ortodossi. L’incontro tra Kirill e Francesco nel 2016 all’aeroporto dell’Avana era stato accompagnato da una dichiarazione comune per l’avvio di un percorso di riavvicinamento delle due comunità. Ed oggi proprio questa linea tesa, come ha sottolineato l’analista geopolitico Pietro Mattonai, a presentare “una Chiesa autenticamente universale e di periferia, policentrica e globale” costituisce la ragione sulla quale Francesco, per la questione Ucraina, non intende piegarsi alla logica della guerra e di una contrapposizione tra oriente e occidente.

L’azione di Francesco e le sue iniziative diplomatiche hanno a fondamento una visione complessiva che comporta il superamento delle divisioni della storia della Chiesa cattolica, proprio in considerazione delle conseguenze che, per anni, hanno segnato lo stesso ecumene europeo. Come ha scritto recentemente l’autorevole Antonio Spadaro sul numero di giugno della rivista di geopolitica Domino (“Lo sguardo di Bergoglio”): ”Francesco sa che l’Ucraina, come Bosnia, Libano, Iraq, è una terra identificabile insieme come frontiera e come ponte … Va considerato inaccettabile il pieno assorbimento al ‘mondo russo’, che il popolo ucraino rifiuta, ma non va perseguita neppure la piena annessione all’’Occidente’”. “La visione europea dell’Ucraina - conclude il direttore di Civiltà Cattolica - dovrebbe assumere le sembianze di un ponte. In questo senso la visione di Francesco appare importante e impegnativa perché non rifiuta né stempera la complessità, ma la difende: è una visione del mondo in cui le cerniere - tutte - hanno un ruolo fondamentale nel senso di vivere insieme nella fratellanza. Su questo deve basarsi lo sforzo diplomatico per affrontare i conflitti in paesi come l’Ucraina”. Non possiamo non rilevare che siamo di fronte, per il conflitto ucraino, che Lucio Caracciolo definisce “guerra grande”, ad uno sforzo grandioso per offrire una alternativa alla logica dei conflitti nazionalistici e degli interessi territoriali, come sempre suscitati per corrispondere ai giochi di guerra delle grandi potenze. Una pace giusta, come viene invocato, deve corrispondere ad un giusto ordine internazionale. Anche l’autorità religiosa deve fare la sua parte come è nella visione e nell’azione di Francesco. La politica, nella storia, a volte è riuscita a costruire lunghi periodi di pace. Al Congresso di Vienna nel 1815 “dopo le fratture causata dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche, i capi europei – ha scritto Henry Kissinger trenta anni fa (“L’arte della diplomazia”) - “ristabilirono il sistema dell’equilibrio delle forze, attenuando la cieca fiducia nella violenza e cercando di strutturare i comportamenti internazionali sulla base di vincoli etici e legali”; da esso derivò “il sistema internazionale durato più a lungo senza una grande guerra”. Lo stesso Autore chiude il suo lungo saggio ricordando un proverbio spagnolo: “Viaggiatore, non ci sono strade. I sentieri si formano camminando”.

Pietro Giubilo




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