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24/06/2023
La nuova normalità delle Banche Centrali
Il percorso della Fed, verso l’obiettivo di inflazione del 2%, prevede nuovi aumenti nella seconda metà dell’anno in corso.

Il governo dell’economia degli anni ‘70 del secolo scorso ci ha consegnato due insegnamenti fondamentali. Non bisogna far radicare le aspettative di inflazione tra le famiglie e le imprese e occorre tener conto dell’incertezza che possono generare le politiche di ‘stop and go’ (discrezionali). Taluni sembrano aver dimenticato queste lezioni e criticano le Banche Centrali (BC) per come stanno affrontando l’attuale congiuntura inflazionistica: arrivando anche a condizionare il loro comportamento. Le BC andrebbero criticate, invece, per i tentennamenti che hanno avuto nel rialzo dei tassi. Rimanendo, come si dice in gergo, dietro la curva dei rendimenti. Ed ora sono costrette a rialzi dei tassi più repentini. Mi è capitato in effetti di leggere qualche commento sulla decisione della Banca Centrale Europea (BCE) di continuare ad alzare i tassi d’interesse (dello 0.25% mercoledì scorso). Alcuni sostengono che avrebbe dovuto seguire la Federal Reserve nella pausa del rialzo, altri, invece, che l’aumento dei tassi danneggia le imprese esportatrici perché il tasso di cambio si sta apprezzando. Su quest’ultimo punto va precisato che la competitività internazionale delle esportazioni dipende dal tasso di cambio reale di lungo periodo che è il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri e che non è influenzato affatto dalla politica monetaria. Ma andiamo oltre. Pensavo poi che la politica monetaria del ‘frenare e stimolare’ (‘stop and go’) fosse finita in soffitta dopo le critiche definitive dei monetaristi negli anni ‘70-‘80. Viste le ripercussioni di varia lunghezza temporale, anche di lungo periodo, che le politiche monetarie hanno e questo comporta l’incontrollabilità di qualsiasi azione ed incertezza sugli effetti sull’economia. L’aumento dei tassi impatta sulle decisioni dei consumatori e degli imprenditori con ritardi lunghi e incerti, tanto più incerti, come ha illustrato Christine Lagarde annunciando il rialzo dello 0.25%, quanto più elevata e incerta è l'inflazione.

La Fed si diceva si è presa una pausa dopo dieci aumenti consecutivi dei tassi, ma leggendo tra le righe delle dichiarazioni del Governatore Powell si intuisce che i rialzi continueranno nei mesi a venire. Nella sua prosa: ‘sebbene il divario tra posti di lavoro e lavoratori sia diminuito, la domanda di lavoro continua a superare sostanzialmente l’offerta di lavoratori disponibili’, e dell’inflazione che continua a restare elevata, ‘il processo per riportare l’inflazione al 2% è ancora lungo’. Ma queste dichiarazioni si sarebbero meglio accompagnate ad una decisione di aumento dei tassi, e non di ‘stop’. Ad ogni modo, il percorso della Fed, verso l’obiettivo di inflazione del 2%, prevede nuovi aumenti nella seconda metà dell’anno in corso. Nella speranza (sua di Powell) che l’economia americana sperimenti nel frattempo un ‘soft landing’ e non una recessione vera e propria. Sul fronte BCE, invece, non si sono avute sorprese. A Francoforte sul Meno, hanno mantenuto fede a quanto avevano lasciato intendere nelle comunicazioni precedenti ed hanno disposto il previsto rialzo di 25 punti base del tasso d’interesse di riferimento. Un ulteriore incremento a luglio è ‘molto probabile’; in seguito si vedrà. Una strategia simile a quella della Federal Reserve: dipendente dai dati sull’economia che arriveranno. Dietro questa strategia però si nasconde la non unanimità all’interno del ‘Consiglio Direttivo’. La Fed e la BCE hanno insomma abbandonato da tempo la ‘forward guidance’ per il ‘data depending’. La forward guidance è una sorta di previsione ufficiale che il Banchiere Centrale compie sulle sue decisioni future: serve a influenzare le aspettative dei mercati, nella convinzione che potranno aiutare a raggiungere gli obiettivi di politica monetaria prefissati. Ora lascia molto perplessi vedere sia la Fed che la BCE brancolare nel buio, ‘dipendenti dai dati’, che dopo aver abbandonato la ‘forward guidance’ dicono che verranno prese decisioni di volta in volta. Ma nel contempo annunciano futuri aumenti dei tassi d’interesse. Questi comportamenti sono un salto all’indietro ai primi anni ‘70 del secolo breve.

Alle politiche di ‘stop and go’. Quando gli obiettivi venivano mutati alla bisogna. In questo modo si sta abbandonando la credibilità per vivere alla giornata. Affermare ‘guarderemo ai dati’ (sull’inflazione) e di volta in volta prenderemo le decisioni, è come guidare una macchina guardando negli specchietti retrovisori anziché al parabrezza. I dati (su crescita del Pil, inflazione e disoccupazione) su cui le politiche monetarie della Fed e della BCE vorrebbero impostare ‘guardando all’indietro’ le proprie decisioni: dipendono dal loro stesso comportamento. Detto diversamente sono le policy delle BC che determinano i dati, plasmando le aspettative, e non il contrario. Quello che dovrebbero fare i Banchieri Centrali è persuadere i mercati ed i Governi che in futuro non ci saranno politiche monetarie non convenzionali: con tassi d’interesse bassi e liquidità abbondante. La nuova normalità dovrà lasciare alla politica fiscale il compito di occuparsi della crescita economica. In caso contrario i mercati ed i Governi si aspetteranno sempre la supplenza delle Autorità monetarie. Le aspettative di inflazione, che sono determinanti fondamentali dell’inflazione, devono essere ancorate alla convinzione che la BC svolgerà solo il suo compito di garantire la stabilità dei prezzi e che le politiche ‘non convenzionali’ ci saranno di nuovo solo in casi eccezionali. Per fare in modo che questa convinzione si radichi nei mercati, le BC dovranno fronteggiare l’incertezza futura facendo promesse credibili e vincolandosi ad una strategia che riguardi solo la stabilità dei prezzi e non la crescita economica.

Marco Boleo




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