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10/06/2023
La Banca d’Italia smentisce la Bce
Un aumento della quota di profitto è spesso interpretato come un segnale di pressione inflazionistica generata dalle strategie di prezzo delle imprese.

Alcuni economisti della Banca d’Italia: Fabrizio Colonna, Roberto Torrini ed Eliana Viviano in un ‘Tema di discussione’ del Servizio Studi contestano l’interpretazione dell’Eurotower secondo la quale la crescita della quota dei profitti sul valore aggiunto osservata nell’Eurozona sia un indicatore dell’aumento dei margini di profitto delle imprese. Già il titolo è tutto un programma: ‘The profit share and firm mark-up: how to interpret them?’ La quota dei profitti ed il mark-up delle imprese: come interpretarli. Nella loro analisi: “Un incremento della quota dei profitti non può essere interpretato univocamente come un aumento dei margini di profitto delle imprese (mark-up), a meno che non siano soddisfatte condizioni molto restrittive sulla combinazione dei fattori nel processo di produzione”. Ma le vedremo dopo. Prima di sintetizzare i loro risultati conviene far riferimento ad alcune nozioni di microeconomia di base che aiutano a calarsi nel problema. Il profitto si ottiene sottraendo ai ricavi (dati dal prezzo unitario moltiplicato per la quantità venduta) i costi (lavoro, energia, altri beni intermedi), e corrisponde all’incirca al cosiddetto margine operativo lordo (MOL). Nel caso i costi dell’energia ed i prezzi di vendita crescono entrambi di una certa percentuale e l’impresa continua a vendere la stessa quantità, anche il suo MOL aumenta della medesima percentuale. Questo è il caso (più elementare) di trasferimento al 100% dei costi sui prezzi. Da ciò possiamo dedurre che l’aumento del MOL dell’impresa considerata provoca l’inflazione? Anche senza considerare i risultati dei ricercatori di Bankitalia ci sono due ragioni per escludere questa eventualità.

La prima è che l’impresa sta trasferendo sul prezzo non più dell’aumento di costi che sopporta. La seconda è che il valore reale del suo mark-up rimane lo stesso. In questo caso, dunque, dovremmo parlare di profitti da inflazione, non già di inflazione da profitti. Ma torniamo al tema di discussione. Alla base del quale c’è una intuizione ovvia. Considerato che i profitti, come ricordato in precedenza, vengono calcolati come differenza tra ricavi e costi (il cosiddetto MOL), se in caso di aumento dei costi energetici l’impresa riesce a mantenere lo stesso mark-up, a parità di volumi venduti vedrà aumentare anche il margine operativo lordo. L’impresa ha trasferito così facendo l’aumento dei costi sul prezzo finale, ma non ha aumentato i suoi margini di profitto rispetto al fatturato: l’aumento della quota dei profitti rispetto al valore aggiunto – osservato a Francoforte sul Meno – sarà pertanto una conseguenza dell’inflazione, cioè dell’aumento dei costi intermedi, ma non la sua causa. La quota dei profitti sul valore aggiunto può aumentare, rilevano i ricercatori di Bankitalia, anche se i mark-up non mutano o si riducono, quando il prezzo dei fattori produttivi intermedi cresce più rapidamente del costo del lavoro e i due fattori non sono perfetti sostituti nella funzione di produzione dell’impresa. Ne consegue che, in punta di teoria, l’aumento della quota profitti sul Pil può avvenire meccanicamente, anche se le imprese non mutano la strategia di prezzo e, al contrario, finanche se riducono leggermente i mark-up. Ora dopo aver illustrato i risultati a cui sono giunti i ricercatori di Bankitalia vediamo come ci sono arrivati. Naturalmente i lettori che si fidano dell’analisi possono fermarsi a questo punto.

Lo scopo del ‘Tema di discussione’ in oggetto è quello di discutere il rapporto tra i margini di profitto ed il mark-up sia nella teoria economica che nella pratica, cioè nell'analisi dei dati di Contabilità Nazionale. Secondo la teoria economica consolidata, le imprese (oligopolistiche) fissano i loro prezzi applicando un mark-up ai costi marginali. Le pressioni inflazionistiche in questo modo possono derivare: i) da aumenti del costo marginale di produzione, con mark-up costanti; ii) da aumenti del mark-up stesso (dovuti al comportamento strategico delle imprese); o iii) da entrambi. Sebbene i costi marginali possano essere approssimati dai costi medi in determinate ipotesi sulla funzione di produzione, i mark-up rimangono estremamente difficili da monitorare nella pratica; molti Istituti di Statistica nazionali di solito non forniscono queste variabili a livello macro. Non sono inoltre disponibili dati tempestivi e rappresentativi sui bilanci delle imprese. Pertanto, in alternativa, coloro che si avventurano in queste analisi tendono ad esaminare la dinamica della quota di profitto: considerato che questo indice, definito come il rapporto tra profitti e valore aggiunto, è molto più facile da calcolare utilizzando i dati forniti dalla Contabilità Nazionale. Un aumento della quota di profitto, come quello osservato dopo la pandemia negli Stati Uniti, e più recentemente in alcuni paesi dell'Eurozona è spesso interpretato come un segnale di pressione inflazionistica generata dalle strategie di prezzo delle imprese. Sfortunatamente, un aumento della quota di profitto non può essere interpretata univocamente come un aumento dei mark-up, a meno che non siano soddisfatte condizioni abbastanza restrittive sulla forma della funzione di produzione che lega i fattori produttivi alla produzione. Lo studio di Bankitalia afferma che in un quadro più generale, con una funzione di produzione con due fattori produttivi (input): lavoro e beni intermedi, la quota di profitto può aumentare anche se i mark-up rimangono costanti. Questo è il caso se sono soddisfatte le seguenti condizioni (in realtà molto ragionevoli nella congiuntura attuale): 1) il prezzo degli input intermedi cresce più velocemente del costo del lavoro; 2) gli input mostrano una limitata sostituibilità, come ad esempio è ragionevole ipotizzare nel breve periodo per energia e lavoro.

L'intuizione dello Studio Bankitalia è la seguente: data una regola di mark-up costante, i profitti aumentano proporzionalmente ai ricavi totali. Tuttavia, la quota di profitto non è calcolata relativamente ai ricavi totali, ma relativamente al valore aggiunto, che esclude il valore dei beni intermedi. Pertanto, quando il prezzo relativo dei beni intermedi aumenta, il valore aggiunto può crescere meno dei ricavi totali e quindi anche il rapporto tra profitti e valore aggiunto potrebbe aumentare, anche se le strategie di prezzo delle imprese non sono cambiate. Sulla base dei dati disponibili di Contabilità Nazionale sui mark-up (ricarichi) disponibili solo per alcuni settori in Germania e in Italia, gli autori mostrano che anche in Germania nel 2022 i ricarichi nell'industria e nel manifatturiero sono rimasti costanti, ma sono aumentati notevolmente nelle costruzioni e nel settore del commercio, delle abitazioni e dei trasporti. In Italia, invece, dopo alcuni aggiustamenti dovuti alla pandemia, nell'ultimo trimestre del 2022 i mark-up sono tornati ai livelli pre-pandemia. Solo l'evoluzione dei mark-up può segnalare che le strategie di prezzo rialziste stanno guidando la dinamica del deflatore del Pil (che è un indicatore statistico che consente di "depurare" la crescita del Pil da quella dell’inflazione). Ma sfortunatamente i Conti Nazionali pubblicati da Eurostat non consentono di recuperare buone ‘approssimazioni’ per i mark-up, perché non rilasciano né stime del valore della produzione (in termini nominali e reali), né dei consumi dei beni intermedi.

Marco Boleo




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