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12/05/2023
Inflazione da profitti o profitti da inflazione?
Una strategia migliore sarebbe quella di mettere in campo una trattativa tra lavoratori, imprese e Stato.

C’è una questione che da un po’ di tempo a questa parte in molti hanno iniziato a porsi: abbiamo a che fare con un’inflazione da profitti o ci sono profitti da inflazione? Nel primo caso l’inflazione è messa in moto (anche) da un aumento dei margini di profitto delle imprese (dove l’aumento dei profitti è una delle concause dell’aumento dei prezzi). Mentre nel secondo si realizzano profitti da inflazione per il fatto che l’aumento dei prezzi porta con sé anche un aumento dei profitti. Tra coloro che si interrogano ci sono non solo i segretari nazionali della Triplice sindacale: CGIL, CISL e UIL ma anche Fabio Panetta, membro italiano del Consiglio della BCE ed altri sempre a Francoforte sul Meno. Nel caso di Panetta, questi considerando i dati per l’Europa tra il IV trimestre del 2019 e il IV trimestre del 2022 ha affermato che “i profitti unitari hanno contribuito per più di metà della pressione inflazionistica interna nell’ultimo trimestre del 2022”, rilevando inoltre che “la resilienza dei profitti cominciò ad essere visibile durante la pandemia, quando vi fu una recessione eccezionalmente profonda con un incremento dei profitti unitari (contrariamente a quanto accaduto nelle recessioni precedenti), mentre il sostegno fiscale [messo in campo dai Governi] assorbiva lo shock economico”. Ma di cosa trattasi? Partiamo dall’illustrazione della teoria dell’inflazione da mark-up. La teoria economica afferma che l’aumento del mark-up (il ricarico di un margine sui costi variabili di un’impresa) può alimentare l'inflazione. Più precisamente in un ambito non perfettamente concorrenziale, in presenza di prezzi vischiosi, l’ottimizzazione dell’impresa implica che: l’inflazione è influenzata positivamente dal mark-up medio desiderato, dal costo marginale reale, dall’inflazione attesa e negativamente dal tasso di disoccupazione. Ricordando che se il mark-up desiderato è più elevato o se lo è il costo marginale, il che accade quando i costi energetici aumentano senza avere una diminuzione di altri prezzi/salari come compensazione, allora l'inflazione è più alta fintanto che questo si verifica. Non è un aumento del livello dei prezzi o dei prezzi relativi, ma è un aumento dell’inflazione ‘tout court’.

La teoria comporta che un mark-up più elevato in un settore può cambiare il prezzo relativo di quel settore ma l’effetto sull'inflazione sarà l’aumento del livello generale dei prezzi e dei salari che non si focalizzerà solo su quell'impresa o su quel settore. Nel caso che alla base dell’inflazione ci stia veramente l’aumento permanente del mark-up, come si arresta allora il processo inflazionistico? In punta di teoria è necessario che il costo marginale reale: il salario reale, diminuisca in modo da compensare. Questo però potrebbe accadere solo se la produzione e l’occupazione si riducono. O detto altrimenti se arriva una recessione economica. L'inflazione è, infatti, fondamentalmente l'esito di un conflitto distributivo, tra imprese, lavoratori e contribuenti e si interrompe solo quando i vari attori sono costretti ad approvarne l'esito. La recessione economica può costringere le imprese ad accettare prezzi minori dati i salari e i lavoratori ad accettare salari più bassi dati i prezzi. Ma questo è un modo altamente inefficiente per risolvere i conflitti distributivi. Una strategia migliore sarebbe quella di mettere in campo una trattativa tra lavoratori, imprese e Stato, in cui lo stesso esito viene ottenuto senza richiedere una dolorosa recessione. Ma, sfortunatamente, ciò richiede più fiducia di quanto si possa sperare e semplicemente non accade. Un modo per pensare all'inflazione, riprendendo una metafora cara al compianto prof. Ezio Tarantelli che la elaborò nei suoi anni al Mit di Boston, è che è come una partita di calcio vista allo stadio, in cui tutti gli spettatori si alzano in piedi per avere una visione migliore del gioco.

Ognuno pensa di fare una cosa positiva per se stesso, singolarmente preso, ma è collettivamente controproducente. Perché non c’è un accordo spontaneo a non alzarsi? Perché nessuno si fida del fatto che se non si alza lui gli altri non lo faranno. Ed è per questo che serve un terzo attore, in genere la banca centrale, che faccia accettare il gioco, con gli strumenti che ha. Ma la sola stretta monetaria (la corda del boia) riesce nell’intento solo raffreddando l’economia. Quello che va raggiunto, invece, è anche un patto tra tutti gli attori che trainano l’inflazione: Imprese, Governo e Sindacati. Le imprese che fissano i margini sui costi variabili (mark-up), il Governo con le imposte indirette che vengono traslate sui prezzi ed i sindacati dei lavoratori che potrebbero innescare la spirale prezzi-salari. Servirebbe insomma uno ‘scambio politico’ col Governo che offre sgravi fiscali ed un quadro regolatorio che favorisca la concorrenza, le imprese che riducano i margini ed i sindacati che guardino ai salari reali. Difficile da raggiungere in Europa questo coordinamento visto che la politica monetaria è comune mentre quella fiscale è nelle mani dei singoli Stati. Tutto dipenderà dalla sommatoria degli effetti nei singoli paesi. Col rialzo dei tassi d’interesse si ha l’effetto di una riduzione del consumo ed un aumento del risparmio (o l’investimento, ma qui la cosa è più complicata). Se ciò non accade o se avviene troppo lentamente, c’è da chiedersi se i tassi non siano ancora abbastanza elevati. Comunque quello del banchiere centrale non è un lavoro facile visti i ritardi coi quali i rialzi dei tassi influenzano le variabili macroeconomiche.

Marco Boleo

 




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