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02/05/2023
Francesco, 'Un'anima per l'Europa'
Il punto cruciale della visita del Papa è stato il richiamo all’Europa affinché non si sottragga alle sue responsabilità e ritorni alle ragioni che ne avviarono il progetto.

Da alcuni decenni, di fronte alla globalità delle sfide, i viaggi e gli incontri dei pontefici con le genti di tutto il mondo, rappresentano il forte segno pastorale con il quale la Chiesa affronta tali sfide, indicando il giusto cammino. L’Europa orientale, con le drammatiche vicende della guerra in Ucraina, è oggi il luogo di una crisi dei rapporti internazionali che rischia di giungere all’ estrema conseguenza di un conflitto mondiale che, con il possibile uso dell’arsenale nucleare, condurrebbe la stessa umanità alla catastrofe finale. Accanto a questo rischio ed alla inconsapevolezza con la quale, di fatto, si alimenta il dramma delle vittime e delle distruzioni, si assiste, d’altra parte, all’emersione di un cieco individualismo relativista con la finalità di emancipazione da ogni principio e dalle radici della vita. L’incontro di Francesco con le genti di Ungheria corrisponde in modo esemplare alla esigenza di trasmettere la consapevolezza complessiva delle manchevolezze di una Europa che subisce queste condizioni, ma che, invece, andrebbe costruita “centrata sulla persona e i popoli”. Il Pontefice si è recato in Ungheria, pur sapendo che Budapest è un problema per Bruxelles, per una legislazione che non si arrende ad un dilagante relativismo e per l’accusa di un presunto rifiuto ad accogliere le crescenti emigrazioni. Essa confina con i luoghi della guerra, mentre vive le grandi questioni sociali e, di conseguenza, rappresenta una preferenziale terra di missione per Francesco. Il viaggio del Papa ha inteso richiamare l’Europa ai suoi compiti e rendere evidenti tre verità. La prima e più drammatica è quella di una terra, come ha sottolineato lo stesso Pontefice, “al centro dell’Europa, sulla quale continuano ad abbattersi gelidi venti di guerra”, “regredita ad una sorta di infantilismo bellico”, dove ”pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace” e sono tornati a ”a ruggire i nazionalismi”. Ed allora ecco il suo appello al tema chiave della pace con una domanda: “dove sono gli sforzi creativi di pace?”. La seconda è la denuncia, non nuova, del Sommo Pontefice, della “via nefasta delle colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato diritto all’aborto, che è sempre una tragica sconfitta”. Aggiungendo che “politiche effettive per la natalità e la famiglia” appaiono “perseguite con attenzione in questo Paese”.

La terza è la questione immigratoria, che Bergoglio chiede all’Europa di “affrontare insieme comunitariamente”. Agli ucraini l’invito ad agire ispirando la propria azione al ricordo di Santo Stefano, re e santo fondatore dello stato magiaro che “ammoniva” il figlio ad essere “gentile” anche “con gli stranieri” e di accogliere benevolmente i forestieri”. In sintonia con il cardinale Erdo che, nell’intervista all’Avvenire del giorno prima, aveva spiegato ciò che era stato fatto sin “dall’inizio della guerra in Ucraina” accogliendo nel Paese “più di 1.500.000 profughi”, pur avendo il Paese “meno di dieci milioni di abitanti”, assistiti dalla “nostra Chiesa attraverso la Caritas, l’Ordine di Malta, le organizzazioni diocesane e parrocchiali, assicurando loro vitto e alloggio, lavoro e istruzione per i bambini in diverse lingue”. Il punto cruciale della visita di Francesco è stato il richiamo all’Europa affinché non si sottragga alle sue responsabilità e ritorni alle ragioni che ne avviarono il progetto. E’ “essenziale ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori”, ha detto, anche citando De Gasperi, Adenauer e Schuman che seppero generare ”diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi”. Quella di Francesco è la seconda visita in Ungheria, proprio come Giovanni Paolo II che vi si recò ad agosto del 1991 e nel settembre del 1996. Trentadue anni fa, nell’omelia della Messa celebrata in piazza degli eroi di Budapest, Papa Wojtyla, consapevole del dramma vissuto dalla Nazione negli anni del comunismo, affermò:”la vostra casa potrà essere felice e sicura solo se vi impegnerete nella costruzione della casa comune europea”. Dopo cinque anni, giunto per celebrare i mille anni dalla fondazione dell’Arcibasilica di Pannonhalma, ricordò “il millennio di quell’Europa benedettina, sulle cui fondamenta è stata costruita la civiltà europea ed anche quella della vostra patria, l’Ungheria”.

Questi richiami costanti all’essenza dell’Europa, espressi nella terra difficile di una Nazione al centro di un’area europea investita dalla storia e da drammi indicibili, chiariscono il senso di quel “ridare un’anima”, scandito in questi giorni da Francesco. Ricordiamo un altro viaggio significativo per l’affermazione dell’indispensabilità della costruzione europea e delle condizioni necessarie per la pace. Anch’esso in luoghi segnati dai conflitti. Benedetto XVI in occasione della visita al cimitero tedesco di La Cambe in Normandia, a giugno del 2004, dove sono sepolti oltre 21 mila soldati tedeschi, uno dei luoghi più emblematici della tragedia della seconda guerra mondiale, affermò: “E’ incontestabile il ruolo storico della fede cristiana nell’aver dato vita all’Europa. Anche dopo la seconda guerra mondiale la rinascita dell’Europa ha come radice il cristianesimo e dunque la responsabilità davanti a Dio: siamo ben consapevoli che questo è il più profondo fondamento dello Stato di diritto …”, aggiungendo: “chi oggi vuole costruire l’Europa come roccaforte del diritto e della giustizia che sia valida per tutti gli uomini e per tutte le culture, non può richiamarsi ad una ragione astratta che non conosce nulla di Dio, non appartiene a nessuna cultura precisa, ma pretende di misurare tutte le culture secondo il proprio metro di giudizio… Ancora oggi la responsabilità davanti a Dio e il radicamento sui grandi valori e verità delle fede cristiana, sono le forze irrinunciabili per edificare un’Europa unita che sia molto di più di un unico blocco economico: una comunità di diritto, una roccaforte del diritto, non solo per se stessa, ma per tutta l’umanità”. Come un albero senza radici si secca, un’Europa senza anima è destinata a non essere luogo del diritto, della persona, della pace e della giustizia.

Pietro Giubilo




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