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11/04/2023
I segni dei tempi della 'Pacem in Terris'
L’enciclica non è riservata agli iniziati al cristianesimo, ma aperta a tutti e si esprime in modo accogliente nei confronti di tutte le aspirazioni del mondo contemporaneo.

La Pacem in terris, seconda grande enciclica di Giovanni XXIII dopo la Mater et Magistra, fu pubblicata l’11 aprile 1963: si celebra il sessantesimo anniversario e si colloca nella lunga serie di documenti sulla pace scritti dai Papi del XX secolo. 1.Un mondo minacciato dai conflitti. L’enciclica sulla pace di Giovanni XXIII cade in una nuova fase delle relazioni internazionali, dominata dalla minaccia nucleare. All’inizio degli anni `60 si erano verificate gravi crisi: nel 1961 l’erezione del muro di Berlino e, soprattutto, nel 1962 la crisi di Cuba, quando l’installazione di missili sovietici aveva portato il mondo a un passo da un conflitto nucleare. Il concetto stesso di guerra cambia: qualsiasi conflitto diventa troppo pericoloso se comporta l’impiego di armi atomiche. D’altra parte, l’interdipendenza fra le nazioni è talmente stretta che diventa molto facile esercitare pressioni usando mezzi economici e finanziari; questo permette di gestire un conflitto senza il ricorso sistematico alle armi. Tali cambiamenti si producono in un contesto di sviluppo unico nella storia del mondo: la crescita dei Paesi industrializzati sembra illimitata, il petrolio scorre a fiumi, l’edilizia procede a ritmo serrato, si sviluppano beni strumentali e beni di consumo durevoli (autostrade, aerei a reazione, ma anche automobili, telefoni, elettrodomestici). In tale contesto, Giovanni XXIII dà un contributo magistrale all’analisi del mondo di allora, dei suoi conflitti, delle sue speranze. 2. La novità dell’ispirazione. Nella Pacem in terris si riconoscono due principali fonti di ispirazione: la prima è l’insegnamento tradizionale della Chiesa, mentre la seconda è più nuova e personale; Giovanni XXIII si basa costantemente sull’insegnamento della Chiesa in materia sociale, specialmente sui testi del suo predecessore Pio XII, ma anche su quelli di Leone XIII: insiste sui diritti dell'uomo, sul bene comune, sul rispetto delle minoranze nazionali, sulla comunicazione e il rispetto tra le nazioni, sui rifugiati politici, il disarmo e le istituzioni internazionali.

L’enciclica non è quindi riservata agli iniziati al cristianesimo, ma aperta a tutti e si esprime in modo accogliente nei confronti di tutte le aspirazioni del mondo contemporaneo che possono essere decifrate attraverso i «segni dei tempi». Giovanni XXIII evidenzia nell’ultimo capitolo (V) dedicato ai «Richiami pastorali», specialmente dove si affrontano i rapporti fra cattolici e non cattolici nell’azione sociale (nn. 82-85), proseguendo la riflessione della Mater et magistra sulla possibile cooperazione tra cristiani e non cristiani, non condannando più una società in quanto vi viene insegnata una certa dottrina, ma di osservare concretamente i movimenti sociali che in essa si sviluppano e cercare tutti i mezzi possibili di contatto e di azione. Proseguendo questa linea di riflessione, che si applica innanzi tutto ai rapporti tra le nazioni, Giovanni XXIII prevede che «un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani» (“La pace non è un pio voto, facile da attuare, ma una difficile costruzione da realizzare fin negli ambiti nazionali più nevralgici”). 3. La pace attraverso il rispetto dell’ordine stabilito da Dio. Le argomentazioni di Giovanni XXIII partono dal fatto che Dio è il fondamento di ogni ordine morale. Su questo poggiano i diritti della persona (cap. I), che sono la base su cui è costruito l’edificio del documento: «Rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche».

All’interno di questo schema relativamente semplice, papa Roncalli afferma che la pace ha molteplici dimensioni, dalle relazioni individuali fino a quelle internazionali. La pace non è perciò soltanto uno stato dei rapporti fra Paesi: concerne tutti i livelli dell’esistenza sociale, fino alla dimensione intima di ogni persona. Giovanni XXIII dedica poca attenzione a che cosa sia la pace e a quali frutti produca. Insiste soprattutto sulle condizioni che la rendono possibile: un preciso ordine nell’universo e nella società, i cui quattro principi fondamentali sono verità, giustizia, amore e libertà. La pace non è soltanto assenza di guerra, ma è un insieme di relazioni positive tra gli individui e tra le comunità. Detto questo, il Papa non propone un ordine morale fisso ed eterno: delinea le condizioni, le basi morali della vita individuale e collettiva, e le propone a ogni uomo di buona volontà. Il testo riprende i punti più importanti della Dichiarazione universale dell’ONU del 1948, ma, come fa tradizionalmente la Chiesa, insiste molto sui doveri che incombono su ciascuno. Infine Giovanni XXIII si basa sulla necessità di un ordine morale che tuteli il bene comune dell`umanità per richiedere la costituzione di un'autorità pubblica avente competenza universale: sottolinea ciò che gli sembra positivo nell`ONU, auspicandone l'adeguamento alla propria missione di garante dei diritti della persona umana; un punto particolarmente importante poiché usciva in quell’epoca dalla paralisi in cui l’aveva bloccata la guerra fredda; la sua opera in favore della distensione e dello sviluppo poteva lasciar sperare in un grande avvenire per tale istituzione.

Gilberto Minghetti




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