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07/04/2023
La riforma delle regole fiscali
Con le nuove regole in discussione i Paesi membri potranno concordare rientri piĆ¹ graduali, in cambio di riforme e piani di investimento in conto capitale monitorati dalla Commissione.

L’Unione Europea (UE) dopo lo shock pandemico e quello inflazionistico ha iniziato a riflettere sulla sua struttura di Governance e su come cambiarla. Alla luce di questi ‘stress test’ che ne hanno mostrato la debolezza. La riforma del Patto di Stabilità e Crescita (PSC), sospeso nel 2020 e da reintrodurre quest’anno, proposta dalla Commissione Europea, rappresenta un notevole balzo in avanti per l’UE rispetto ai cervellotici e stupidi precedenti indicatori del Pil potenziale e di riduzione del debito che ne erano a fondamento. Al centro della riforma v’è la presa di coscienza che la riduzione del debito pubblico (esploso per le politiche fiscali espansive praticate dai singoli Stati) non può avvenire a nocumento della crescita economica e degli investimenti necessari per affrontare le sfide del futuro, in particolare quelle del clima, delle energie fossili e della conoscenza. Rimangono in vita i vecchi pilastri di riferimento del Trattato di Maastricht, ovvero il 3% del deficit di bilancio e il 60% del rapporto debito/Pil, ma sembrano meno stringenti. Il nuovo PSC prevede, infatti, un rientro del debito pubblico “appropriato e credibile”, così come una Governance economica favorevole alla crescita sostenibile e inclusiva. Ma prima di dire la nostra sulla proposta un po’ di storia. Il Patto di Stabilità e di Crescita (PSC) fu introdotto nella ‘terza fase’ dell’Unione Economica e Monetaria (UEM). Le sue finalità erano e restano quelle di garantire che la disciplina di bilancio dei paesi dell’Unione europea (UE) fosse continuata anche dopo l’introduzione dell’euro. La transizione verso l’UEM aveva richiesto il conseguimento dei parametri di Maastricht da parte dei paesi europei che avevano deciso di aderirvi. Dopo la crisi finanziaria del 2008, le regole di Governance economica dell’Unione europea sono state rafforzate per mezzo di otto regolamenti comunitari e un Trattato internazionale: il ‘six pack’ ed il ‘two pack’.

I primi sei regolamenti sono stati adottati con lo scopo di monitorare le politiche economiche dei paesi aderenti all’UEM in maniera più compiuta, in modo da rilevare problemi come le bolle immobiliari (tipo quella dei sub-prime negli Usa del 2007) o la perdita della competitività (dovuta alla scomparsa della valvola di sfogo costituita dalla svalutazione del tasso di cambio); il ‘two pack’ (un nuovo ciclo di monitoraggio per l’Eurozona che prevede la presentazione di documenti programmatici di bilancio alla Commissione europea ogni autunno (in Italia il Documento di Economia e Finanza) da parte dei paesi dell’Eurozona, tranne quelli soggetti a programmi di aggiustamento macroeconomico); il Trattato (internazionale) del 2012 sulla stabilità, sul coordinamento e sulla Governance (Fiscal Compact) che introduce disposizioni fiscali più severe del PSC. Il vero problema del vecchio patto PSC e delle sue evoluzioni appena ricordate non era il fatto che fosse basato su soglie numeriche identiche (3% e 60%) per tutti i Paesi ma che prevedesse per ciascun paese il medesimo percorso di aggiustamento fiscale. Regole comuni non dovrebbero implicare percorsi identici verso le soglie numeriche. Considerato che i paesi hanno una struttura economica diversa il vecchio PSC dovrebbe essere avvicendato da programmi di aggiustamento fiscale negoziati tra la Commissione Europea e ciascun Paese in base ad una valutazione sulla sostenibilità del debito pubblico. Due Paesi che hanno lo stesso stock di debito pubblico in rapporto al Pil possono avere, in effetti, una diversa posizione fiscale (fiscal stance). Questo può essere dovuto al diverso Spread rispetto al Bund Tedesco (premio al rischio) per diverse ragioni: credibilità di Governo accumulata, minore debito estero, maggiore tasso di crescita potenziale del Pil, diverso debito pensionistico, diverso rapporto capitale-lavoro, diverse relazioni industriali, diverso tasso di crescita della produttività e via discorrendo). La variabile che dovrebbe essere attenzionata per valutare la sostenibilità del debito pubblico del paese in esame dovrebbe essere la spesa pubblica al netto di quella degli interessi pagata sullo stock debito pubblico in circolazione.

Le politiche fiscali dovrebbero essere anti-cicliche e non pro-cicliche come quelle contemplate dal vecchio PSC. Va evitato che una recessione, e la conseguente diminuzione del gettito fiscale, possa condurre a politiche fiscali restrittive, pro-cicliche, che aggravano la recessione economica e la sostenibilità stessa del debito. Una regola della spesa pubblica al netto di quella per gli interessi, valutata nel medio termine non dovrebbe produrre aggiustamenti sensibili alle condizioni economiche congiunturali del Paese. Da ultimo, diviene rinegoziabile sia l’orizzonte per la riduzione del rapporto debito/Pil, in principio fissato in 4 anni, sia il ritmo di caduta dello stesso, previsto dal vecchio Patto pari ad un ventesimo della distanza tra il livello corrente e il 60%. Anche in questo caso è la tendenza che conta e non tanto il livello del debito pubblico in sé. Con le nuove regole in discussione i Paesi membri potranno concordare rientri più graduali, in cambio di riforme e piani di investimento in conto capitale monitorati dalla Commissione. I paesi ‘frugali’, a parità di debito pubblico, infatti, potrebbe beneficiare di percorsi differenti rispetto a quelli ‘cicala’, nonostante le stesse regole di bilancio, data la loro credibilità accumulata sui mercati finanziari, le loro finanze pubbliche in tendenziale equilibrio, la loro produttività, i loro bassi tassi d’interesse. Il nostro Paese, nonostante la sua difficile posizione iniziale (debito pubblico vicino al 160% del Pil), potrebbe beneficiare di regole uguali ma percorsi differenti, ma non può fallire assolutamente la scommessa del PNRR, le riforme ad esso collegate per avere le tranche e la ratifica del Meccanismo Europeo di Stabilità. Meno proclami e più fatti.

Marco Boleo




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