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19/12/2022
La Fed delude Wall Street
Il motore economico globale ha iniziato a rallentare, poiché gli effetti dell’attuale ciclo di rialzi delle banche centrali si stanno facendo sentire.

Cambio di marcia per i tassi Usa. La Fed alza i tassi di 50 punti base, portandoli al 4,25%-4,50%, dopo quattro rialzi consecutivi da 75 punti base. E taglia le stime di crescita a +0,5% nel 2023, +1,4% nel 2024 e +1,8% nel 2024, ma alza le stime di inflazione a 3,1%, 2,5% e 2,1%. Nella sua dichiarazione finale, il comitato di politica monetaria ribadisce la sua volontà di procedere a nuovi «aumenti appropriati per raggiungere un orientamento di politica monetaria sufficientemente restrittivo da riportare l'inflazione al 2%». La Fed valuta che i tassi sui Fed Funds raggiungeranno un picco del 5,25% nel 2023, un valore decisamente superiore alle principali stime di mercato. Ora la questione più importante non è più la velocità con cui si alzano i tassi, ha spiegato il presidente Fed, Jerome Powell, ma «la durata per la quale verranno mantenuti a livello restrittivo. Wall Street ha immediatamente invertito la rotta positiva, passando in calo. Dopo questa mazzata, oggi sarà il turno della Bce e della BoE. Anche in Eurozona i tassi dovrebbero salire di 50 punti base, ma l'incognita è un'altra: il «quantitative tightening». Christine Lagarde ha più volte annunciato che nella riunione di dicembre la Bce avrebbe annunciato le modalità con cui intende ridurre la quantità di titoli che ha comprato in passato. È improbabile che inizi a venderli, ma semplicemente inizierà a non rinnovare una parte di quelli che scadono. Gli analisti di si attendono un ritmo di circa 10-20 miliardi di euro al mese, cifra modesta rispetto ai 95 miliardi di dollari decisi dalla Fed. Nel frattempo, mercati tesi. Le Borse europee ieri hanno chiuso in leggero calo e anche le banche continentali tengono gli occhi puntati sulle mosse di Francoforte. Bankitalia ieri è tornata a mettere in guardia gli istituti di credito in vista del rallentamento dell'economia dei prossimi mesi e degli effetti complessivi del rialzo dei tassi, in occasione del comitato esecutivo dell'Abi. Il peggioramento delle prospettive di crescita, l'instabilità geopolitica, i rincari delle materie prime energetiche e le pressioni inflative espongono la stabilità finanziaria, in Italia e nell'area euro, a rischi crescenti. Il nostro sistema finanziario si appresta ad affrontare queste sfide in una condizione migliore rispetto al passato, anche in confronto alla situazione pre-pandemica, ma ciò non deve distoglierci dal mantenere elevata l'attenzione sulla prudenza e sull'esigenza di cogliere quanto più possibile in anticipo i segnali di deterioramento del contesto e incorporarli opportunamente nei presidi interni e nelle valutazioni aziendali.

Le stime di Bankitalia, infatti, «indicano che il tasso di deterioramento dei prestiti al settore privato non finanziario potrebbe progressivamente crescere, con un picco alla fine del 2024, mantenendosi comunque su valori lontani dai livelli raggiunti durante precedenti episodi di crisi. Guardando il 2023 è probabile che si assista a un calo dell’inflazione su base annua, grazie all’attenuazione degli effetti di base determinati principalmente dal calo dei prezzi delle materie prime. Tuttavia, è probabile che la politica delle banche centrali rimanga rigida fino alla seconda metà del 2023, in quanto i responsabili delle politiche monetarie vorranno assistere a cali consistenti dell’inflazione prima di allentare la presa. Nel frattempo, il motore economico globale ha iniziato a rallentare, poiché gli effetti dell’attuale ciclo di rialzi delle banche centrali si stanno facendo sentire. Di fatto, una recessione in Europa e negli Stati Uniti nel 2023 potrebbe essere scontata, dato che la liquidità globale è in calo. L’Europa potrebbe addirittura essere la prima a entrare in recessione, visto che il continente deve fare i conti con l’attuale guerra in Ucraina, una crisi energetica in piena regola e l’aumento del rischio di frammentazione politica che complica il compito della Banca Centrale Europea di normalizzare la propria politica. La Bce avrebbe chiesto, infine, all'Italia anche di sottoscrivere, finalmente, il Mes. Ma il Mes, ha due risvolti, uno di carattere economico e l'altro squisitamente politico. Due risvolti che non possono essere separati. Il primo non è particolarmente significativo in questi momenti, sottoscrivere il trattato non significa attivare il Mes. Il secondo, invece, dipende dall'atteggiamento complessivo del governo nei confronti dell'Europa. Se siamo a favore dell'Unione, allora bisogna aderire, non c'è motivo per dire no, correre rischi dal punto di vista economico, come pure aderirvi non significa, al momento, aprire le porte a una nuova stagione di sacrifici.

Gilberto Minghetti




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