PRIMO PIANO
24/11/2022
Il lavoro c'è, mancano i lavoratori
Tra i fattori che determinano un fenomeno complesso, variabile a seconda dei profili interessati e della congiuntura economica, vi è innanzitutto quello demografico

È uno dei frutti avvelenati delle politiche di sostegno al reddito messe in atto nella passata legislatura, di cui il governo oggi sta valutando la revisione. Lo conferma l'indagine svolta dalla Fondazione Studi Consulenti del lavoro, secondo cui nei prossimi quattro anni c'è il rischio che le aziende non riescano a rintracciare i profili necessari per la propria attività e che, a fronte di un fabbisogno di circa 4,3 milioni di lavoratori, vadano in fumo un milione e 350mila ricerche di personale per assenza di candidati. Un fenomeno che, precisa lo studio, «sarebbe fuorviante pensare essere circoscritto solo ad alcune professioni generiche e a bassa qualificazione». A fare la parte del leone (23%) è la carenza di cuochi e camerieri, ma anche di altri profili, soprattutto operai specializzati nell'edilizia, conduttori di mezzi di trasporto e tecnici dell'ingegneria. Il quadro che emerge è quello di un deficit di offerta molto più strutturale di quanto non fosse solo tre anni fa: complessivamente, a giugno 2022, su quasi 560mila entrate previste, 219mila (39,2%) risultavano di difficile reperimento. Nello stesso mese del 2019 questo valore si attestava al 25,6%. Nel 23,7% dei casi la difficoltà di reperimento è dovuta alla carenza di candidati (era il 12,2% del 2019), mentre la quota-di aziende che associa la difficoltà di reperimento alla preparazione inadeguata dei candidati è rimasta pressoché invariata (11%). Tra i fattori che determinano un fenomeno complesso, variabile a seconda dei profili interessati e della congiuntura economica, vi è innanzitutto quello demografico. Tra il 2018 e il 2021 la popolazione in età da lavoro (dai 15 ai 64 anni) si è infatti ridotta di misura, con una perdita di 636mila unità. Al calo demografico si è aggiunta una riduzione della componente attiva di chi ha un lavoro o lo cerca (-831 mila, per un decremento del 3,3%) e, di contro, un aumento di quanti non cercano lavoro o sono scoraggiati a farlo (+194mila, per un incremento dell'1,5%).

Si tratta di un dato che certifica una tendenza più generale di allontanamento dal lavoro prodotto da cause diverse, tra cui il rifiuto di impieghi a bassa remunerazione, la crescita di forme di lavoro irregolare, l'aumento del numero dei percettori di sussidi pubblici avvenuta durante la pandemia o, più semplicemente, una revisione delle priorità nel dopo pandemia, che ha portato a una visione diversa del lavoro nella vita delle persone. A essere chiamato in causa è anche lo storico disequilibrio esistente nel nostro Paese tra offerta e domanda di formazione, che determina la difficoltà di reperimento dei profili più specializzati. Secondo Unioncamere, il mercato del lavoro italiano ha bisogno in media ogni anno di circa 238mila laureati e 335mila diplomati secondari, corrispondenti all’incirca ai due terzi del fabbisogno occupazionale complessivo. A questi si aggiungerebbero circa 130mila diplomati delle scuole di formazione professionale. La conclusione dell'indagine della Fondazione Studi Consulenti del lavoro è dunque che a tutti i livelli considerati, dall'universitario alla formazione professionale - la non adeguata programmazione dell'offerta formativa rischia, negli anni a venire, di creare criticità rilevanti nei percorsi di crescita occupazionali nel Paese, soprattutto con riferimento ai profili che necessitano di una formazione specialistica. Siamo anche di fronte agli ulteriori sviluppi in atto compresi nella manovra di governo, in particolare sulla stretta al reddito di cittadinanza per chi può lavorare. Oggi è un tema che va affrontato con grande disponibilità a rimodulare. Non si può eliminare il sistema di protezione sociale che ha prodotto dei risultati in anni di grande emergenza non ancora terminata. Gli interventi per sostenere i cittadini e le famiglie più fragili sono sacrosanti e vanno conservate delle misure di protezione sociale che mettano al riparo i più deboli, ma il reddito di cittadinanza non può diventare il mantello dietro il quale nascondersi per non lavorare.

Dunque, occorre cambiare verso? Bene la protezione sociale purché funzioni come misura accompagnamento per gli occupabili verso il reinserimento nel mondo del lavoro. Su questo va valutata la possibilità che il reddito di cittadinanza possa favorire l'occupabilità dei percettori attraverso percorsi di auto imprenditorialità cooperativa. La cooperazione è «anche» un vettore di welfare per le famiglie. Infine, sulla famiglia si apprezzano le prime misure importanti dall'aumento dell'assegno unico al congedo retribuito all'80%, ma per vincere la sfida demografica bisogna rivoluzionare il sistema dei servizi di welfare per le famiglie, non dimentichiamoci che abbiamo 3,3 milioni di Neet tra i 15 e i 34 anni. Quasi 5 milioni di lavoratori poveri, oltre 3,2 milioni i lavoratori in nero, 6,2 milioni di pensionati che non superano i 12.000 euro all'anno. Sono numeri, che si sono stratificati negli ultimi due decenni e impongono di guardare al futuro con lungimiranza. Pertanto, occorrono misure di sostegno e soprattutto meno burocrazia per realizzare impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile in tempi più brevi. La svolta green mette a rischio 1,6 milioni di imprese che occupano 5,6 milioni di lavoratori secondo un nostro studio con il Censis. Ad alto rischio oltre 932.000 imprese che danno lavoro a 2 milioni di persone. Mentre sono meno di 17.000 le imprese già in linea con i requisiti previsti dagli standard Ue. La sostenibilità per le imprese è una strada obbligata: il Pnrr può rappresentare ancora la benzina verde della transizione.

Gilberto Minghetti




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet