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10/11/2022
La riforma del Reddito di Cittadinanza
La sterminata letteratura scientifica esistente ci dice che il RdC può essere uno strumento adatto per contrastare la povertà ma a tre condizioni: che sia universale, individuale e incondizionato.

Il Reddito di Cittadinanza (RdC) va riformato. Non c’è dubbio alcuno su questo. Ma ciò che sta proponendo il governo Meloni (tagliare il RdC per finanziare le pensioni anticipate con Quota 41) vuol dire togliere risorse alle famiglie più povere e più giovani (spesso con figli) per darle a famiglie meno povere e più anziane. Una redistribuzione statica che convoglia risorse a chi sta uscendo dal sistema produttivo. Così facendo però non c’è riforma (si peggiorano le cose), non c’è sviluppo (la crescita del Pil continua a ristagnare), non c’è futuro (si penalizzano le giovani generazioni). Non solo: mi pare pure poco praticabile questo intervento, visto che il RdC viene erogato su base familiare e non individuale, e servirebbero quindi delle scale di equivalenza per determinare il taglio ai nullafacenti (i percettori del RdC che sono in modo astratto idonei a lavorare), facendo cadere in povertà (assoluta) il resto del nucleo familiare. Questo perché l’ideona di questo Governo è quella di separare l’importo destinato a un nucleo nel quale ci sono soggetti potenzialmente occupabili (sono circa 660 mila persone situate all’interno di un milione di nuclei familiari beneficiari del RdC) e altri che non lo saranno mai. I miei più sinceri auguri al Governo Meloni per la riuscita di questa missione impossibile. Il RdC va riformato ma non in questo modo. Vanno corrette le storture e dovrà essere inteso come un Reddito Minimo Garantito (RMG) come succede negli altri paesi che si preoccupano di dare una esistenza dignitosa ai residenti. Su questo blog abbiamo già lanciato la nostra proposta. Ma prima di tornarci vorrei spendere alcune parole sull’errore che venne fatto dal Governo Conte I quando introdusse il RdC. Noi viviamo in un paese nel quale le maggioranze che si alternano al Governo invece di correggere e di integrare in corso d’opera le misure ereditate (difficile prevedere sulla carta gli effetti di un provvedimento) le cancellano e ne propongono di nuove.

Prima del RdC esisteva il reddito di inclusione (Rei) che stava funzionando. Bisognava solo potenziarlo con più risorse. Nulla di tutto ciò fece il Conte I. Lo rottamò ed al suo posto introdusse il RdC. Dietro la sua introduzione c’era il ‘teorema di Tridico’ (al secolo Pasquale ora Presidente dell’INPS): Di cosa trattasi? Di quell’idea (vedremo alla fine bislacca) dell’economista (allora consigliere di Luigi Di Maio) per cui se spendi 6 miliardi per il RdC, puoi spenderne 12 l’anno successivo senza violare le ferrea regole fiscali europee (‘patto di stabilità e crescita’ e ‘fiscal compact’). Una specie di generatore automatico di deficit consentito da Bruxelles. Il teorema si fonda sul seguente meccanismo: il RdC fa aumentare il tasso di partecipazione delle persone al mercato del lavoro e quindi il lavoro potenziale. Un aumento del lavoro potenziale genera un aumento del Pil potenziale (quello che si otterrebbe se tutti fossero occupati) in conseguenza di cui si determina un aumento dell’output gap (la differenza tra il Pil prodotto e quello che si produrrebbe se non ci fosse disoccupazione), quindi un aumento del deficit consentito. Quello che sfugge al professore (e per questo andrebbe bocciato con zero spaccato sul libretto) è che il lavoro potenziale, che parte dalla stima del Pil potenziale, non si basa solo sul tasso di partecipazione delle persone al mercato del lavoro (mdl) ma anche sul tasso di disoccupazione (di quelle che ne restano fuori). Per ricevere il RdC, infatti, bisognava essere disoccupati. Gli aspiranti inattivi iscrivendosi all’ufficio per l’impiego pertanto ingrossavano le file dei disoccupati. Ma un passaggio di individui da inattivi ad attivi fa aumentare il tasso effettivo di disoccupazione e con esso il tasso naturale di disoccupazione. Cosa non prevista dal professore di ‘RomaTre’. Col risultato finale che si è ottenuta la diminuzione del lavoro potenziale e conseguentemente quella del Pil potenziale. Insomma si è rivelato un mero artificio contabile non in grado di liberare risorse. Niente. Festanti per aver trovato il ‘moto perpetuo dell’economia col disavanzo’ i ‘grillini’ sono andati avanti su questa strada, hanno introdotto il RdC che non si è finanziato da solo, e che ha peggiorato il funzionamento del mercato del lavoro (facendo uscire dal mercato quelli che lavorando avrebbero percepito una somma di poco superiore al RdC. Un risultato positivo però lo ha ottenuto.

Quello di affrancare dalla povertà assoluta numerosi nuclei familiari vista la sopraggiunta crisi economica e sociale. Ma questo però lo si sarebbe potuto ottenere lo stesso col potenziamento del Reddito di inclusione (Rei) e senza inceppare il mercato del lavoro. Ora cosa bisognerebbe fare? Innanzitutto correggere gli errori compiuti. Primo. L’obiettivo di affrontare simultaneamente, con l’introduzione del solo RdC (uno strumento), tre problemi di enorme rilevanza sociale quali: I) il contrasto alla povertà, II) la fornitura di un sussidio universale di disoccupazione, e III) l’attivazione di un meccanismo che promuovesse l’incontro tra disoccupati e posti vacanti, non è stata una buona idea. Sovraccaricare uno strumento per ottenere tre obiettivi è da pivelli.  Secondo. La sterminata letteratura scientifica esistente, ci dice che il RdC può essere uno strumento adatto per contrastare la povertà ma a tre condizioni: che sia universale, individuale e incondizionato. Universale significa che va erogato a tutti. Naturalmente la maggioranza delle persone riceverebbe un contributo netto negativo; di fatto funzionerebbe come una sorta di imposta negativa sul reddito (a la Friedman). Individuale significa che va erogato al singolo e non al nucleo familiare. Incondizionato comporta, invece, che per poterlo ottenere non bisogna certificare nulla; in particolare: né di essere povero né di essere senza lavoro. E soprattutto significa che non si perde il diritto al RdC se si trova un lavoro. Naturalmente tutto il contrario di quello che è avvenuto finora. La misura ha favorito i brogli (autodichiarazioni mendaci per accedere al sussidio) ed incentivato comportamenti opportunistici (il rifiutare le eventuali offerte di lavoro, oppure, per lo stesso motivo, imboscarsi nell’economia sommersa). I difetti riscontrati nel RdC all’italiana sono quattro: 1) La soglia di reddito garantito (780 euro) è troppo elevata in relazione al livello della produttività e dei salari esistente in Italia e il sussidio ricevuto è in media inferiore a 780 euro, visto che è appunto la differenza tra 780 e il proprio reddito.  Quota 780 euro corrisponde poi alla soglia di povertà relativa e non esiste nazione al mondo che possa permettersi un reddito minimo garantito corrispondente alla soglia di povertà relativa; 2) Il costo della vita varia da regione a regione, ma il sussidio garantito è lo stesso. In molte regioni poi e per molte qualifiche professionali il sussidio equivale ad uno stipendio mensile; 3) Tra 0 e 780 euro il reddito delle persone è tassato al 100%, cioè il reddito disponibile rimane 780 indipendentemente da altre entrate e questo introduce forti disincentivi al lavoro alla luce del sole. Molti settori produttivi con livelli retributivi prossimi a 780 euro hanno riscontrato penuria di manodopera; 4) I meccanismi che dovrebbero favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro sono inceppati ed i centri per l’impiego, tranne qualche rara eccezione non hanno mai funzionato ed i cosiddetti “navigator” sono risultati inutili.

Quali rimedi? Come al solito bisognerebbe copiare le buone pratiche adottate in altre nazioni sia per quanto riguarda i servizi per la ricerca di lavoro che per la soglia minima di reddito garantito. I Paesi che potrebbero essere presi come riferimento sono il Regno Unito e la Francia. L’economista Ugo Colombino in un suo recente scritto (‘Quale reddito di base possiamo permetterci’ contenuto in AA.VV. - Verso il reddito di base. Dal reddito di cittadinanza per un welfare universale, Qr 11) ha suggerito che considerati gli attuali livelli di produttività, si potrebbe partire da 350 euro mensili per una singola persona. La soglia garantita tuttavia dovrebbe aumentare al crescere del proprio reddito. Per esempio, a 350 si aggiunge il 70% del reddito. Se il reddito di una persona è 500, la soglia garantita diventa 350 + 0.7 X 500 = 700, ovvero la medesima riceve un sussidio di 200 euro. Se il reddito, invece, è 700, la soglia garantita diventa 350 + 0.7 X 700 = 840 e la persona riceve un sussidio pari a 140. La medesima continua a ricevere sussidi (decrescenti) fino ad un reddito diciamo di 1000 euro. Oltre questa soglia la persona non riceve più sussidi ed inizia a pagare le tasse. Un siffatto sistema (cioè l’imposta negativa con un reddito di base garantito) garantendo un buon compromesso tra sostegno ai redditi bassi e incentivi al lavoro permetterebbe di ampliare di molto la pletora dei candidati destinati a ricevere il sussidio. Gli incentivi al lavoro sono dovuti, in questo caso, al fatto che - a differenza di quanto avviene con il RdC - la soglia garantita cresce al crescere del reddito della persona in questione. Il RdC oltre a garantire un reddito minimo dovrebbe aiutare i percettori a muoversi verso altri impieghi assecondando le trasformazioni economiche e sociali ed il ciclo economico.

Marco Boleo 




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