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02/11/2022
Ritorno agli anni ‘80
L'inflazione ha raggiunto livelli di quasi 40 anni fa.

Quanto al nostro Bel Paese, la corsa dei prezzi sfiora la barriera del 12 per cento di aumento e, anzi, per il carrello della spesa, arriva addirittura al 12,7. Due percentuali choc che fanno tornare alla memoria i numeri da capogiro dei primi anni Ottanta, quando la rincorsa prezzi-salari era all'ordine del giorno e non c'era stato il referendum sulla scala mobile. Una soluzione alla quale il governo non può più ricorrere per frenare l'inflazione, mentre quello che serve nell'immediato è trovare le risorse per dare sostegno a famiglie e imprese con un nuovo Decreto Aiuti (che, oltre alla proroga delle misure già operative, dovrebbe avere uno scudo-moratoria di sei mesi per chi non riesce a pagare le bollette), in attesa che a livello europeo si raggiunga un accordo sul tetto al prezzo del gas o su altri meccanismi di raffreddamento dei costi dell'energia. Tutti oggi dalla premier Giorgia Meloni al cancelliere tedesco Olaf Scholz, sottolineano l'urgenza di misure concrete per ridurre i prezzi dell'energia. E così per il nuovo governo l'imperativo diventa mettere mano rapidamente al provvedimento-chiave di questa fase. Insieme con la messa a punto della legge di Bilancio. Un passaggio, quello degli interventi per l'emergenza energia, rispetto al quale i vertici dello stesso Pd aprono all'esecutivo. La tassa più iniqua, l'inflazione, ha raggiunto livelli di quasi 40 anni fa. Le famiglie spenderanno il 13% in più per acquistare i generi di prima necessità. Una vera emergenza che colpisce soprattutto i più fragili. Maggioranza e governo si concentrino su questo e non su condoni e contante. Mentre sindacati, imprese e consumatori, a loro volta, insistono sul fare presto perché con questa inflazione è come se i lavoratori non ricevessero la tanto attesa tredicesima. Ma torniamo alla nuova impennata dei prezzi. Orbene, se la settimana passata è stata movimentata, quella entrante si annuncia caotica per i mercati finanziari: nel giro di sette sessioni di mercato avremo infatti quattro eventi passibili di condizionare le prospettive dei mercati per il resto dell’anno.

Si inizia ovviamente con la riunione della FED mercoledì, con 75 bps di rialzo scontati ma tante, forse troppe, attese per un segnale di moderazione per le riunioni a venire (Goldman non sembra d’accordo e rivede il picco dei tassi al 5% entro il 2023) a cui seguirà a stretto giro la rilevazione sul mercato del lavoro con 193.000 nuovi occupati attesi ma potenziali sorprese all’orizzonte. L’8 novembre le elezioni di mid term, le cui previsioni spaziano da una vittoria repubblicana alla camera ad una invece su entrambi i rami del parlamento. Una presidenza democratica con un congresso repubblicano non è tuttavia un elemento negativo per i mercati (difficile, infatti, che in una situazione di questo genere ci possano essere colpi di testa inattesi da parte dell’amministrazione in carica), tanto che in occasioni passate in cui si è verificato tale evento (anche a parti invertite) l’indice S&P 500 ha messo a segno progressi annuali compresi tra il 5% ed il 14%. Infine, neanche a dirlo, il 10 novembre avremo la rilevazione sui prezzi al consumo americani, e non credo ci sia bisogno di menzionare l’importanza del dato alla luce dell’estrema reattività che hanno avuto i mercati a questa statistica nei mesi passati. Incidentalmente passiamo anche per la riunione della Bank of England che dovrebbe consegnare anch’essa un rialzo di 75 bps quando le ferite sul mercato dei titoli di stato del paese sono ancora fresche (così come il premierato) oltre alla chiusura della stagione delle trimestrali…insomma non ci sarà da annoiarsi. A completare il panorama c’è parecchia fibrillazione, infine, anche sul comparto delle materie prime, con il Petrolio che si appresta a chiudere con il miglior rialzo mensile a far data da gennaio (+10%) in vista dei tagli OPEC+ ed i paesi del cartello (ultimo in ordine di tempo questa mattina il Qatar) sempre più in contrasto con le politiche americane ed europee, specie se guardiamo al meccanismo del price cap.

Le quotazioni del grano si apprestano ad una pirotecnica sessione (con oscillazioni a Chicago che hanno superato il 7% nel pre market) alla notizia del ritiro dei russi dall’accordo sulla movimentazione di merci nel Mar Nero (da dove passa oltre ¼ delle esportazioni mondiali di grano ed orzo, 1/5 del mais e praticamente quasi l’interezza nelle spedizioni di olio di girasole). Nell’ambito dei metalli industriali, il difficile momento della Cina si riflette inevitabilmente sulle quotazioni del minerale di ferro, che cede oltre il 7% questa mattina (portandosi ai minimi dal 2019), mentre i metalli non ferrosi proseguono la fase negativa avviata sul finire della settimana scorsa con la eccezione di un piombo che in netta controtendenza chiude con un apprezzamento del 6,5% che gli permette di archiviare una settimana con rialzi prossimi al 9%. Tornando a noi, famiglie e imprese sono sempre più in affanno e bisogna agire. Ma come? Con un nuovo provvedimento urgente e con la manovra. Perché, quale che sarà il valore finale della manovra, è certo che la fetta più consistente, i tre quarti delle risorse, sarà destinata a quello che il governo considera la priorità: il pacchetto per aiutare famiglie e imprese sul fronte del caro-energia. Un pacchetto, che oltre alla proroga a dicembre dei crediti di imposta per le imprese “energivore” e dello sconto benzina, dovrebbe contenere una replica dei bonus da 150 euro, ma soprattutto lo scudo di sei mesi per la morosità incolpevole per chi non riuscirà a pagare le bollette. In manovra, invece, dovrebbero finire la conferma del taglio di due punti del cuneo, l'estensione dei beni primari con l'iva ridotta al 5%, la modifica della norma sugli extraprofitti, per la quale si studiano due correttivi: modificare la base imponibile oppure alzare la percentuale (ora al 25%) del prelievo.

Gilberto Minghetti




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