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28/10/2022
Il giro di valzer nella stretta monetaria delle Banche Centrali
Il ritmo del rialzo dei tassi d’interesse praticato in maniera sincrona e con rapidità sta innescando delle reazioni a catena a livello globale.

Le Banche centrali in giro per il mondo vengono accusate di essere giunte in ritardo sull’inflazione: avendola ritenuta all’inizio transitoria. Di essere rimaste in gergo ‘dietro la curva’ dei tassi d’interesse. Ma se questa accusa poteva essere valida un anno e mezzo fa non lo è ora, dato che il quadro macroeconomico internazionale è venuto profondamente mutando in seguito a tre avvenimenti che si sono susseguiti: 1) le politiche monetarie restrittive attuate a partire dalla primavera del 2021 da alcune Banche centrali dell'America Latina e del Centro Europa con l’intento di stabilizzare le loro valute vacillanti e frenare l'inflazione; 2) la Norvegia e la Corea del Sud che alla fine dello scorso anno si sono accodate alla restrizione monetaria; e 3) quasi tutti i policymaker delle principali economie mondiali nell’anno in corso hanno compiuto le medesime scelte. Come punto di caduta queste manovre restrittive stanno facendo spostare il barometro dell’economia mondiale verso una bassa pressione. Il ritmo del rialzo dei tassi d’interesse praticato in maniera sincrona e con rapidità, infatti, sta innescando delle reazioni a catena a livello globale. L’incapacità delle Banche centrali di considerare le ricadute globali delle loro singole politiche, come ha fatto notare il ‘The Economist’, sta mettendo l'economia mondiale a rischio di un rallentamento senza precedenti. Proprio come quasi tutte le Banche centrali sottovalutarono, nel 2021, i fattori che avrebbero guidato l'inflazione al rialzo (ritenendoli temporanei), potrebbero, anche ora, sottostimare la velocità con cui l'inflazione potrebbe diminuire man mano che le economie rallentano. E, come spesso accade, andando contemporaneamente tutte nella stessa direzione, rischiano di rafforzare il meccanismo di retroazione l’una sull’altra.

Detto in altri termini una Banca centrale che cerca di comprimere la domanda aggregata, agisce anche sulla domanda di beni esteri, aiutando in effetti le altre banche centrali a gestire i loro problemi di inflazione. Ma in questo modo se non si tiene conto di questi ‘effetti tracimazione’ da una nazione ad un’altra si potrebbe attivare una profonda spirale deflativa. Non prendendo in considerazione tali ricadute, l'economia globale nell’aggregato potrebbe rallentare di più di quanto le Banche centrali avessero puntato ad ottenere nella loro giurisdizione. I flussi finanziari funzionano, infatti, in parallelo con questo processo. Un aumento del tasso d’interesse in un paese può attirare capitali da investitori stranieri, causando un rafforzamento della valuta. Ciò significa una riduzione dei costi di importazione, che potrebbe aiutare a raffreddare l'inflazione interna. Ma altre economie specularmente dovranno far fronte a costi di importazione più elevati, il che aggraverebbe i loro problemi di inflazione. L'inasprimento non coordinato delle politiche monetarie potrebbe divenire una sorta di guerra valutaria, nella quale ogni paese lavora per spostare il peso dell'inflazione altrove, con il risultato netto di un eccessivo inasprimento della politica monetaria. Il problema di coordinamento a livello mondiale richiamato in precedenza, tuttavia, non sorge a livello di comportamento di una singola Banca centrale ma solo nel caso in cui un’unica Banca centrale dominante, come la Federal Reserve americana, accenna una melodia che altri devono seguire, piaccia o meno. Pena deflussi di capitali verso il sistema finanziario americano che indeboliscono la valuta del paese che non segue fedelmente lo spartito. Ne sa qualcosa il Regno Unito con la sterlina. La grande influenza del dollaro nel sistema finanziario globale, conferisce agli Usa un ruolo cruciale nel guidare i cicli finanziari globali. Un recente paper del NBER: ‘The Global Dollar Cycle’ di Maurice Obstfeld (ex capo economista del FMI) dell’Università di Berkeley e Haonan Zhou dell'Università di Princeton mostra come la stretta monetaria negli USA è fortemente associata ad un apprezzamento del dollaro e ad un deterioramento degli equilibri finanziari in molte nazioni del mondo.

L'impegno della Fed a riportare a qualsiasi costo l'inflazione americana al 2% lascia poco spazio alle diverse esigenze delle altre economie mondiali. La Banca Centrale degli Usa potrebbe egoisticamente accogliere con favore gli aumenti dei tassi nel resto del mondo come un utile contributo alla lotta all'inflazione americana, anche se ‘gli altri paesi’ iniziassero a cadere come birilli nella recessione. Questo perché, quanto maggiore sarà la capacità economica inutilizzata creata in altre economie tanto maggiore sarà la pressione al ribasso che verrà esercitata sui prezzi a livello globale: con la risultante che basterà una disoccupazione minore negli Usa per raggiungere gli obiettivi della Fed. Ma come si potrebbero contrastare questi ‘effetti tracimazione’ tanto graditi all’America. A livello teorico, le Banche centrali del resto del mondo potrebbero evitare una stretta monetaria eccessiva (anche in assenza di un loro coordinamento), soppesando le rispettive mosse politiche ed i loro effetti globali. In aggiunta a ciò, l'azione congiunta delle Banche centrali unita ad un annuncio credibile delle loro ‘policy’ potrebbe contribuire a moderare le aspettative inflazionistiche a livello globale. Oggi per fortuna in Europa abbiamo la Banca Centrale Europea, che intelligentemente sta seguendo la Fed (anche se con un ritmo diverso) sul percorso di incremento dei tassi, ma soprattutto l'Euro che dovrebbe proteggere le economie dell’Eurozona dai rischi di illiquidità derivanti dai deflussi di capitali.

Marco Boleo




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