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20/10/2022
Il Nobel a Diamond-Dybvig e Ben Bernanke
Il loro premio รจ strettamente connesso alle decisioni di politica economica e finanziaria che vengono prese nel mondo reale.

Il premio Nobel dell’economia quest’anno è stato assegnato ad un economista che abbiamo sentito nominare e ad altri due accademici pressoché sconosciuti ai più. Douglas Diamond e Philip Dybvig (d’ora in avanti D-D) nel 1983 hanno elaborato un modello relativamente semplice per dare conto delle corse agli sportelli bancari (bank run) dei risparmiatori. ‘Bank Runs, Deposit Insurance, and Liquidity’, è il titolo del loro paper ed è stato pubblicato sul ‘Journal of Political Economy’ (June 1983). Stesso mese e anno di quello di Ben Bernanke, l’altro vincitore: quello famoso, visto che è stato Governatore del Federal Reserve System (Fed) americano, che faremo entrare in scena nel secondo atto. Ora il modello di D-D lo definisco semplice ma durante il dottorato la sua comprensione mi è costata almeno un barile di sudore. L'articolo più famoso di D-D sulle ‘bank run’, infatti, fu uno dei primi che ci vennero assegnati al corso di specializzazione e rimane ancora oggi uno dei testi più complicati in assoluto che abbia mai studiato in quei momenti. Il modello esplicita il ruolo dell'attività bancaria nel sistema economico, e mostra non solo perché è utile al sistema produttivo, ma anche perché è vulnerabile al panico che può insorgere tra i risparmiatori. A fronte di questa situazione si prospettano due scenari: il primo nel quale non esistono banche ed ogni individuo deve scegliere come allocare la propria dotazione di moneta che ha risparmiato. L’altro scenario è che ci sono banche che fungono da intermediari e che li aiutano nella scelta della durata dell’investimento. D-D hanno dimostrato che la situazione iniziale con la presenza di banche domina quella senza banche. L'idea è che le persone hanno una preferenza per la liquidità ma l’investimento produttivo richiede, invece, di vincolare molta ricchezza in attività illiquide che non possono essere convertite rapidamente in contanti alla bisogna. O se volete se le condizioni contrattuali fossero tali da richiedere al possessore del titolo o di una obbligazione di attendere la scadenza per riottenere i propri risparmi, ne risulterebbe scoraggiato il prestito da parte dei risparmiatori; nel caso, invece, i titoli fossero caratterizzati da scadenze a breve termine ne risulterebbe scoraggiato l’investimento delle imprese.

Le banche insomma provvedono alla soluzione di questo intricato ‘puzzle’: offrendo ai risparmiatori depositi che possono essere prelevati a piacimento, investendo la maggior parte dei fondi raccolti coi depositi in prestiti illiquidi alle imprese. Normalmente il meccanismo funziona perché non tutti avranno bisogno di liquidità nello stesso momento. Conciliando il bisogno di liquidità con il bisogno di investimenti illiquidi, il sistema bancario arricchisce la società nel suo complesso. La finanza in questo modo svolge un ruolo positivo. Tuttavia il sistema bancario può generare il rischio di una crisi finanziaria. Nel caso, per un qualsivoglia motivo, le persone perdono fiducia nelle banche, correranno tutte insieme a prelevare la moneta messa nei depositi in una volta sola ed ecco che la corsa agli sportelli si autoavvera e genera il crack del sistema bancario. Ciò può costringere, da un lato, le banche alla svendita delle proprie attività e al fallimento di istituzioni fondamentalmente solvibili, dall’altro, le corse agli sportelli possono essere contagiose con la diffusione del panico. La crisi finanziaria attraverso questo canale diviene sistemica. Qual è in questi casi la risposta di politica economica migliore? Una soluzione potrebbe essere quella di avere una Banca Centrale che presta, in ultima istanza, a banche solvibili ma in quel momento a corto di liquidità. Il ruolo di prestatore di ultima istanza delle Banche Centrali è emerso prepotentemente dopo la crisi del 1929 generatasi negli Usa. La Grande Crisi insorse perché la Banca Centrale americana non fornì liquidità al settore bancario che ne rimase sprovvisto per le corse agli sportelli. Un'altra potrebbe essere l'assicurazione dei depositi, che convince le persone che i loro risparmi siano al sicuro, almeno fino ad un certo ammontare. In Italia quelli fino a 100mila euro sono coperti. Tuttavia, entrambe le risposte di ‘policy’ creano un azzardo morale bello e buono, una tentazione ghiotta per le banche commerciali di assumersi un rischio eccessivo o di eludere i regolamenti. Visto che poi arrivano le Banche Centrali alla fine della fiera a salvare tutto il cucuzzaro. Stando così le cose, se si vuole avere un paracadute finanziario, c’è bisogno anche di una regolamentazione finanziaria efficace; altrimenti, si potranno avere perdite ingenti dovute all'azzardo morale. D-D prospettano vari tipi di panico finanziario che si perpetuano coi comportamenti da gregge dei depositanti. Possiamo senza dubbio affermare che Diamond-Dybvig hanno modellato la disfunzione finanziaria che potrebbe generarsi.

Ora dobbiamo far entrare in scena Ben Bernanke. L’ex Governatore della Fed ha ottenuto il Nobel perché collega la disfunzione finanziaria modellata da D-D con l’economia reale. Detto in altro modo mentre il modello di D-D ‘mima’ come le banche possono inguaiarsi avendo una fragilità legata alla loro funzione nel sistema economico di far arrivare i risparmi delle famiglie alle imprese o ad altre famiglie a corto di liquidità. Quello di Bernanke mostra che, quando le banche divengono incapaci o riluttanti a prestare, i loro mutuatari non possono rivolgersi all’istante a fonti di finanziamento alternative per ottenere la liquidità che desiderano. E l’anello tra l’economia reale e quella finanziaria in questo modo si spezza. Col suo paper pubblicato nel 1983 (Nonmonetary Effects of the Financial Crisis in the Propagation of the Great Depressione, American Economic Review, June 1983), Bernanke evidenzia come le corse agli sportelli siano state un fattore determinante per il dipanarsi così profondo e prolungato della crisi economica degli anni Trenta. Questo ha comportato un crollo nella produzione, un aumento record della disoccupazione che ha toccato percentuali astronomiche ed i cui effetti si sono trasmessi, dagli Stati Uniti, a tutto il resto del mondo. Nell’Italia allora autarchica ad esempio gli effetti si fecero sentire nel 1932. Il paradigma teorico elaborato da Bernanke rimarca con chiarezza che non sono le crisi a mettere in difficoltà le banche bensì è il crollo del sistema bancario a far propagare la crisi. Tutto è legato al fatto che il credito bancario e le altre fonti di finanziamento degli investimenti sono dei sostituti imperfetti. Per concludere, possiamo affermare che è pressoché impossibile comprendere le dinamiche di crisi finanziarie come la Grande Depressione senza le intuizioni di Bernanke, Diamond e Dybvig messe insieme. Il loro premio è ampiamente meritato. E mai come in questo caso è strettamente connesso alle decisioni di politica economica e finanziaria che vengono prese nel mondo reale. In ultimo quella presa dalla Banca d’Inghilterra  per salvare i fondi pensione dopo la politica fiscale finanziata in deficit annunciata dalla premier del Regno Unito Liz Truss e prontamente ritirata.

 Marco Boleo




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