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14/09/2022
Ăˆ finita la stagione dei tassi zero
La Banca centrale europea ha varato un aumento dello 0,75% che entrerĂ  in vigore il 14 settembre.

Dopo gli Usa anche l'Europa ha deciso di frenare l'inflazione più alta da metà anni Ottanta (9,1% e 8,4% in Italia ad agosto) con un maxi-rialzo del costo del denaro. Ieri, infatti, la Banca centrale europea ha varato un aumento dello 0,75% - un rialzo record che entrerà in vigore il 14 settembre - portando, dopo il più 0,50% di luglio, il tasso principale all'1,25% con effetti a catena su mutui, prestiti e titoli e debito pubblici. Questo passo significativo, secondo il Presidente Christine Lagarde, che ha fatto il mea culpa per non aver previsto l'esplosione dell'inflazione purtroppo destinata a crescere ancora nel breve termine spinta da energia e alimentari e dalla guerra in Ucraina, non sarà l'ultimo. In base all'andamento dei prezzi, con l'obiettivo di riportare l'inflazione entro il 2% (2,3% nel 2024, dopo una stima dell'8,1% quest'anno e del 5,5% il prossimo) la Bce proseguirà nei rialzi nelle future riunioni del board, più di due e meno di cinque. E quindi il costo del denaro secondo gli analisti potrebbe salire fino al 2,5% nei prossimi mesi con un altro 0,75% a ottobre. La Bce stima al ribasso la crescita del Pii dell'Eurozona al 3,1% quest'anno e a uno 0,9% nel 2023 a meno che uno stop alle forniture di gas russo non lo faccia addirittura diventare negativo. Il che significa che il rialzo dei tassi è l'anticamera di una recessione. Per questo anche all'interno della Bce c'erano visioni diverse, ma alla fine ha vinto il partito dei falchi del Nord  nell'inseguire le mosse dell'americana Fed, il cui presidente Jerome Powell ha ribadito anche ieri la linea dura. Ma l'arma dei tassi servirà a frenare la corsa dei prezzi da caro-energia e guerra? A livello finanziario non si può non utilizzarla, ma, avvertono gli analisti che da sola non basta: serve un'alleanza tra banche centrali e politica e la soluzione del conflitto ucraino.

Le Borse europee hanno recuperato in chiusura le perdite per la mossa «jumbo» della Bce, già scontata dai mercati, con Piazza Affari su dello 0,88% trascinata dai titoli delle banche favori te dal rialzo dei tassi, e dalla partenza positiva di Wall Street. L'euro è rimasto sotto la parità con il dollaro scontando il rischio di una recessione europea mentre il rendimento del Btp decennale è schizzato al 3,91% nonostante una riduzione a 224 punti (-3) dello spread. Oggi un mutuo variabile da 126 mila euro a 25 anni, stipulato a gennaio, vedrà la rata mensile aumentare di 45 euro a 560; per un finanziamento ventennale da 140mila euro subirà, per i migliori tassi variabili sul mercato, un rincaro della rata mensile di 49 euro e di 11.700 euro complessivi con un tasso al 2,07%. Che resta però più basso dei prodotti a tasso fisso, oggi attorno al 3%, e per questo si ricorda Alessio Santarelli, a chi pensa di stipulare un mutuo a tasso fisso deve affrettarsi prima che salgano, mentre resta un'opzione interessante quella dei prodotti variabili con il cap (tetto al rialzo dei tassi) che stanno vivendo un vero e proprio boom. Anche per prestiti e credito al consumo sarà inevitabile un incremento dei tassi mentre per le imprese sarà più caro e selettivo indebitarsi con un calo quindi degli investimenti. Con il rendimento dei Btp al 4%,  l'investimento graduale in titoli di Stato diventa appetibile tenendo conto che nel 2024, di fronte a una recessione, i tassi torneranno a scendere e si avrà anche un guadagno sul capitale. Non sorride invece il Tesoro perché, nonostante non si sia di fronte a un allarme per le casse dello Stato, anche se ieri i rendimenti dei Btp a due anni sono balzati di 16 punti al 2,27%, tra i più alti d'Europa, le ultime stime dell'ufficio Parlamentare di Bilancio dicono che un aumento dell'1% dei tassi pesa per 19 miliardi in tre anni.

Infatti, mentre il “gossip finanziario” è impegnato a pesare ogni singola parola che esca dalla bocca del board della FED, nulla si dice della situazione degli aggregati monetari, che dipingono una storia completamente diversa da quella raccontata. Il mercato parla di politiche “restrittive” quando in realtà siamo ancora in piena politica monetaria espansiva in tutto il mondo e, in particolare, in America. È abbastanza paradossale assistere a un intenso dibattito sulle future mosse della FED e delle strategie di politica monetaria quando il sistema è tuttora inondato da un colossale eccesso di liquidità che non trova alcun impiego nell’economia. La posizione strategica rimane dunque ribassista sui principali indici del mercato azionario (Nasdaq, Eurostoxx e Dax). I mercati obbligazionari, in questa fase di aumento nominale dei tassi, sono un’opportunità per accumulare posizioni long, in attesa di un duraturo e prolungato cedimento del ciclo di crescita mondiale. Il calo dell’inflazione non sarà determinato dal livello dei tassi d’interesse, ma dalla caduta della domanda aggregata. Per questo motivo, la fase di ribasso dei mercati azionari, dopo il primo impatto determinato dallo spauracchio dei tassi, sarà guidata poi dalla discesa del ciclo dei profitti. Poiché tale fase è solo al suo inizio, i livelli di ribasso attesi si prospettano significativi. Nel frattempo, è tuttora abbastanza evidente che le posizioni rialziste degli investitori retail – che sono stati i principali fautori della bolla speculativa – sono ancora decisamente long.

Gilberto Minghetti




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