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25/08/2022
Illusorio neoclericalismo elettorale
Le Encicliche di Francesco e i documenti pastorali parlano con chiarezza e si esprimono e danno indicazioni ben oltre quello che l’informazione raccoglie.

La Repubblica che un tempo, con un linguaggio desueto, era definito un foglio laicista, nella apertura domenicale - riservata fino a pochi mesi fa’ ai sermoni di Eugenio Scalfari - titola: “ Voto. Il silenzio della Chiesa”. Il quotidiano del gruppo GEDI mostra di infastidirsi per “quella neutralità … voluta dal Papa”. Per la verità il disincanto della Chiesa per la politica partitica italiana data a partire da tutti i “regni” postmontiniani. La Chiesa di Papa Wojtyla e i vescovi del tempo si staccarono dal “partito cristiano”, non rinunciando, tuttavia, anzi enfatizzando, l’indicazione di quella necessaria coerenza delle istituzioni con gli orientamenti morali e i capisaldi istituzionali di una società civile orientata al bene comune. Non si trattò, comunque, di una improbabile scelta politica della Chiesa, attribuibile ai presidenti pro tempore della Cei che accompagnò l’esaurirsi della esperienza politica della Dc, con il “superamento dell’unità politica dei cattolici”, ma dell’affermarsi di un orizzonte più vasto, scaturito da alcune formulazioni del Concilio Vaticano II e da un Papa, Giovanni Paolo II, che, sotto il profilo politico, percepì come imminente la fine del comunismo in Europa, e su questo evento epocale pose la sua attenzione, con tutte le conseguenze. La fine del comunismo, inoltre, apriva, in Occidente ed anche in Italia, la questione di un ancoraggio più forte a principi che l’esasperata modernizzazione stava mettendo in discussione. In fondo, il forte europeismo del Papa polacco e il Family Day di Camillo Ruini rappresentarono due aspetti con i quali la Chiesa gettava lo sguardo oltre gli interessi e l’orizzonte della politica dei partiti. Forse anche perché sentiva quest’ultimi come inadeguati di fronte alle nuove sfide.

La svolta suscitò qualche disorientamento. Dai sostenitori di una interpretazione del post Concilio come il prosieguo di un cambiamento radicale, si arrivò a teorizzare che la Chiesa non avesse più titolo per sollecitare alla politica indicazioni sugli orientamenti etici. In buona sostanza, la diaspora politica dei cattolici che ne seguì, giunse a ritenere adeguata ai tempi una separazione tra cattolici del sociale e cattolici dell’etica che si rivelò non lontana da quel relativismo etico, tema sul quale venne insediato Papa Ratzinger. Fu lui a continuare e precisare ulteriormente, una volta eletto Pontefice, con grande autorevolezza intellettuale, quella distinzione tra fede e politica, che tuttavia riaffermava, attraverso il tradizionale pensiero della Chiesa sulla legge morale naturale, il vero supporto all’impegno civile dei cattolici. Memorabili, nei suoi viaggi europei, le parole rivolte ai parlamenti, con le quali si indicava l’ambito nel quale il cattolico, in quanto tale, poteva e doveva occuparsi dell’ordine civile. Il tema del rapporto della Chiesa con la politica, in conseguenza di quanto ricordato, non va banalizzato e trascinato sul piano della contesa elettorale, magari con l’intenzione di interpretarne il ”silenzio”, come una mancata presa di distanza da forze politiche che, in qualche modo, esprimono programmi attenti ai “valori non negoziabili” che urtano quei cattolici autodefinitisi “adulti”. La Chiesa, ovviamente, non si presta a operazioni elettoralistiche, come ha sottolineato Dario Di Vico sul Corsera del 22 agosto:” Se nel centro sinistra qualcuno nei giorni scorsi si era illuso che la nuova Cei targata Zuppi potesse/volesse far da argine contro l’avanzata elettorale delle destre, o almeno stroncasse l’uso salviniano della simbologia religiosa a fini di partito, dovrà cambiare passo e registro”. Ciò che deve preoccupare non è il presunto “silenzio” della Chiesa.

Le Encicliche di Francesco e i documenti pastorali, infatti, parlano con chiarezza e si esprimono e danno indicazioni ben oltre quello che l’informazione raccoglie, spesso selezionando o distorcendo quanto, con adeguata completezza, viene invece espresso dai vertici ecclesiali. Il Cardinale Zuppi, con un articolo in prima persona su Avvenire, il 14 agosto ha usato parole molto chiare: “La società che stiamo costruendo rischia di avere paura della vita e diffidare della speranza. Scopriamo di avere politiche da amministrazione di condominio, aspettative di vita giovanilistiche , distanze umilianti e in crescita fra ricchi e poveri, uomini e donne, vecchie bambini, mediatici e anonimi, onesti e furbi”. A Rimini al Meeting di CL ha espresso l’auspicio che “la politica non sia convenienza o piccolo interesse” condannando “individualismo”, “nazionalismo” e le “insidie del mondo digitale e dei social”. E’ un appello alle forze politiche e sociali, assai più importante di una indicazione di voto o di censure che servirebbero solo i giochi degli schieramenti elettorali. Del caso significative, invece, le parole di apprezzamento per il Terzo Settore per l’impegno svolto nei mesi difficili della pandemia. E’ la ritrosia o il silenzio di gran parte dell’associazionismo direttamente o indirettamente collegato con la storia sociale e la cultura cattolica che balza evidente, mentre crescono i problemi e si intravede per il Paese una situazione difficile già dai prossimi mesi. L’orizzonte pieno di incognite esige una nuova stagione di impegno identitario dei cattolici. Spesso i vertici di gloriose sigle sociali e sindacali, senza spiegarne la motivazione, prendono posto, come consuetudine nelle liste di partiti che nei loro programmi nulla contengono in quanto a idee e ispirazione della Dottrina Sociale della Chiesa. Si cercano posizioni di potere, ma non si dice con quali obbiettivi e progetti.

In questa campagna elettorale estiva e nervosa fanno notizia solo le false accuse e i livorosi processi mediatici, amplificati da improvvisati o ben organizzati influencer. L’informazione banalizza il confronto, nell’uninominale, tra i candidati, riducendolo ad un match sensazionale, invece di chiarire agli elettori le diversità nelle scelte programmatiche dei contendenti. I cattolici sono chiamati in causa affinché si ritrovino in quella che, inadeguatamente, viene definita, una scelta di centro. Un termine di comodo per evitare di approfondirne i contenuti, nella scomparsa delle importanti culture che storicamente si erano poste in Italia in un’area né di destra, né di sinistra, oggi sostituite da un pragmatismo disinvolto. Il cattolicesimo politico nel suo percorso storico, mai si rattrappì in un mero luogo politico di geometrica equidistanza. Esso aprì spazi nuovi e moderni di rappresentanza sociale e di radicamento popolare, in un tempo nel quale la democrazia stentava a superare gli schemi di una condizione sociale élitaria. Ebbe come costante la crescita delle opportunità, la giustizia sociale e l’elevazione del lavoro come questione primaria, insieme alla difesa della vita e della famiglia. In un centro con un prevalente connotato liberista non avrebbero trovato posto il “volontarismo” fanfaniano, l’operaismo cattolico di Donat Cattin, il personalismo moroteo e lo stesso moderatismo illuminato della componente dorotea. E’ tempo che i cattolici superino l’irrilevanza politica ricominciando ad esprimere la propria identità anche come lievito per far crescere la buona politica. L’illusorio neoclericalismo di una sinistra, ancora preoccupata di non avere nemici a sinistra, avrebbe voluto una Chiesa schierata, secondo logiche elettorali di parte e sostanzialmente superate. Così non poteva andare. Si apre un mondo nuovo drammaticamente introdotto da epidemie e conflitti. Gli approcci ideologici o pragmatici della politica non sono in grado di interpretarlo. Occorre aprirsi a logiche nuove e a principi antichi.

Pietro Giubilo




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