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19/08/2022
Ricordare De Gasperi in un tempo di guerra
La guerra tra Russia e Ucraina ha rilanciato, nel dibattito europeo, la possibilità dell’avvio di un nuovo progetto per una difesa comune.

Pur prossimi ai settanta anni dalla morte di Alcide De Gasperi, ci pervade ancora il sentimento di quel tempo lontano della politica e tuttavia di grande attualità nell’esigenza di un radicamento della democrazia, di una difesa degli interessi nazionali e di una visione internazionale improntata alla ricerca della pace in conformità al sistema di alleanze scelto dall’Italia dopo il tremendo conflitto mondiale. Ma anche di coerenza personale. Nell’attuale susseguirsi di una politica che vive di contraddizioni, infatti, non si può non essere partecipi di quanto scrisse Piero Craveri nel marzo del 2004 (“L’incancellabile impronta del Trentino e di Vienna” - Ventunesimo Secolo n.5 marzo 2004): “E’ raro che un uomo politico porti con sé per tutta la vita così integro il patrimonio di idee e sentimenti della sua adolescenza e della sua giovinezza, come nel caso di Alcide De Gasperi”. E in tempi di amenità e di ripensamenti, come non ammirare quella sua frase, semplice ed orgogliosa, ricordata dalla figlia Maria Romana (in “De Gasperi uomo solo”): “Cercate tra le mie carte, non troverete nulla di incoerente e di cambiato”. E chi potrebbe, oggi, affermare la stessa cosa! De Gasperi che traccia il cammino del dopoguerra di una Italia che torna ad avere un suo ruolo internazionale ci induce a riflettere sull’incertezza che è andata dilatandosi a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, con il conseguente conflitto che appare, come sottolineato da Lucio Caracciolo, una “Guerra grande”, destinata a produrre cambiamenti dell’assetto mondiale. Percepiamo, innanzitutto, che si richiederebbe un più adeguato livello di classe politica, rispetto a quanto, oggi, offre lo scenario occidentale, a cominciare dagli Stati Uniti e con riguardo anche dell’Italia, Paese maggiormente esposto alle intemperie non solo politiche. Nella circostanza ci si può domandare come si sarebbe comportato lo statista trentino in una contingenza come l’attuale.

Poiché, come diceva Benedetto Croce, la storia è sempre storia contemporanea, possiamo riferirci a quanto avvenne con lo scoppio della guerra di Corea nel 1950. Il 25 luglio l’esercito della Corea del nord aveva invaso la Corea del sud e De Gasperi intervenne alla Camera l’11 luglio; presiede Giovanni Gronchi che di lì qualche anno diventerà Presidente della Repubblica. Prima di lui aveva parlato il ministro degli esteri Carlo Sforza che aveva posto la posizione italiana nell’ambito della solidarietà atlantica, continuamente interrotto dai deputati comunisti Pajetta, Di Vittorio e dallo stesso Togliatti. Il Presidente del Consiglio, dopo aver chiarito che per l’Italia “il problema è quello della pace, della procedura da seguire prima della guerra” e con ciò respingendo con durezza il tentativo del Pci di chiudere il governo su una posizione bellicista, interviene con grande efficacia “sul carattere interno” della questione, rovesciando sull’opposizione l’accusa sia di diserzione civile (“una quinta colonna” … che intende contrastare “il diritto e il dovere dello Stato democratico di esigere dai cittadini l’adempimento degli obblighi civili e militari”), sia quella di un fiancheggiamento nei riguardi della Unione Sovietica, dimostrata dalla lettera indirizzata a Stalin, che cita, pubblicata sul periodico dei giovani comunisti La Bandiera, con la quale si dichiarava che “ mai la gioventù italiana impugnerà le armi contro il popolo del Paese comunista”. In un’altra circostanza criticherà la disinformazione del Pci sulla guerra, secondo la quale “in Corea gli aggressori non sono i Nord-Coreani che hanno attaccato i coreani del Sud, ma i coreani del Sud che si difendono a le Nazioni Unite che accorrono in soccorso del Paese invaso” (discorso a Trento il 25 aprile 1951). In quell’aspro dibattito alla Camera, a De Gasperi, comunque, non venne meno l’esigenza di indicare una visione lungimirante, sostenendo la necessità di perseguire un interesse nazionale generale.

“Forse questo fatto coreano – disse in conclusione – che avrà tante tristi conseguenze per coloro che sono direttamente colpiti, potrà essere per noi solo un segnale di allarme che, voglio augurarmi presto, verrà superato dall’unanime desiderio di pace, ma sarà valso a richiamare tutti alla realtà di una solidarietà nazionale che non può essere compromessa”. Il conflitto in estremo oriente - c’è da rilevare a questo punto - ebbe anche l’effetto, come ha scritto Gianmarco Sperelli (“Bella e Perduta - L’Italia nella politica internazionale” a cura di Leonardo Palma, 2019), di “scuotere e influenzare … il processo di integrazione” europea, con “l’iniziativa francese del Piano Pleven” e con “l’ipotesi americana di inserire la Comunità Europea di Difesa nell’alveo della Nato” (Eisenhower a Londra il 3 luglio 1951). Il progetto della Ced, rilanciato dalle vicende coreane, che resta la grande speranza di De Gasperi e la sua “ultima spina”, vide l’apice della sua politica europeista. Pochi, tuttavia, rammentano che, all’Assemblea di Strasburgo il 10 dicembre 1951, lo statista trentino “evidenziò l’obbligatoria correlazione tra esercito europeo e costituzione di un nucleo di potere politico comune” (Gaetano Quagliariello – “La Ced l’ultima spina di De Gasperi” - Ventunesimo secolo) e, meno di un anno dopo, a Lussemburgo, la Conferenza dei ministri degli esteri dei sei varò la commissione ad hoc. In sostanza, come ricorda sempre Quagliariello, “De Gasperi era riuscito così a superare le perplessità in origine nutrite nei confronti del Piano Pleven: attraverso un allargamento dell’iniziativa aveva evitato che l’asse franco-tedesco potesse insistere su un aspetto troppo ristretto e troppo sensibile quale quello della difesa; contemporaneamente, anche grazie al suo intervento, il rapporto tra la prospettiva europea e quella atlantica era stato riequilibrato”. Sappiamo tutti come andò a finire, in quel triste 1954. Il primo ministro francese Mendès France il 13 agosto, nell’Esecutivo, stravolse il progetto, eliminando gli elementi di sovranazionalità; un anno dopo l’Assemblea lo bocciò definitivamente.

Intuendo tutto ciò, De Gasperi, nella sua ultima lettera a Fanfani, il 14 di agosto, si domandava, affranto dalla “delusione più amara”: “Come sperare che con questi sentimenti, né ora né mai, di fare l’Europa? E allora, torno a chiedere, che ci stiamo a fare noi?”. La direzione dc, riunitasi il 18, espresse condivisione e concordanza con i rilievi dell’ex premier, tuttavia questi non potette leggere il documento e le stesse parole di Fanfani che l’accompagnavano (“Come vedi abbiamo largamente utilizzato il testo che mi lasciasti il 29”), poiché, già malato, morì nel pomeriggio del 19. Anche la guerra tra Russia e Ucraina ha rilanciato, nel dibattito europeo, la possibilità dell’avvio di un nuovo progetto per una difesa comune. Tuttavia la criticità della situazione, proprio sul piano militare, favorisce chi riterrebbe sufficiente la struttura difensiva della Nato che va assumendo, oltre quello militare, un connotato sempre più politico. L’Europa non riesce ad avere un vero progetto di politica estera e di difesa comune. Purtroppo anche le discussioni emerse negli ultimi anni, si sono circoscritte al solo ambito tecnico economico, cioè di un coordinamento di mezzi bellici, a livello funzionale ed aziendale. Constatiamo così l’accentuarsi in Europa della differenza di statura e di progettualità politica, a quasi settanta anni di distanza dalla morte di un protagonista del sogno europeo, ancora una volta in un tempo di guerra.

Pietro Giubilo




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