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14/07/2022
Gli strumenti di politica monetaria
Gli economisti temono che la BCE possa finire per essere vincolata da così tante condizioni da non avere la potenza necessaria per contenere i mercati.

È stato osservato che la recessione che ci prepariamo ad attraversare sarà diversa da quasi tutte le altre perché è stata programmata dalle banche centrali e sarà da queste governata meglio rispetto alle recessioni che sono capitate per eventi esogeni. Non abbiamo molti precedenti per verificare questa idea, tuttavia un caso di recessione programmata, meno felice, fu quello che la Germania impose nel decennio scorso ai Paesi mediterranei, di cui nessuno oggi, considera quell’esperienza. Probabilmente questa volta un po’ meno bene rispetto all’esperienza dei primi anni ’80, ma meglio, forse molto meglio, rispetto a quella dell’austerità: il successo di un’impresa di questo tipo dipende molto da come è disegnata. In questo caso il tentativo della Fed è quello di dare una spallata all’inflazione senza danneggiare troppo l’economia reale, visione che la Germania, nel decennio scorso, non ebbe questa sensibilità. E‘ pur vero che l’aver cessato di acquistare più titoli in previsione dell’aumento dei tassi per cercare di ridurre l'inflazione dai suoi massimi, aumentando i costi di finanziamento per famiglie e imprese e quindi raffreddando la domanda aggregata senza condivisione che in area euro ci sono ancora politiche fiscali autonome, ma visto il divario dello spread tra i rendimenti dei titoli della Germania e quelli dell'Italia è raddoppiata, il rischio è che il paese possa ritrovarsi intrappolato in una spirale insostenibile di aumento del costo del debito.

Se la BCE si dovesse impegnare ai proclami di Sintra, ad acquistare i titoli di stato di paesi i cui oneri finanziari a sua discrezione, (stanno aumentando a causa delle speculazioni di mercato a livelli superiori rispetto a quelli garantiti dai fondamentali economici) si dovranno predisporre tutele e garanzie sufficienti per una vera politica fiscale. Bene per l’economia reale, quindi, che avrà ovviamente da soffrire, ma non in maniera insensata. Meno bene per gli asset finanziari (in particolare crediti e borse) perché alla base del progetto della Fed c’è l’idea di farli soffrire di più, in modo da fare soffrire meno l’economia reale. Sacrificio reso evidente da un atteggiamento non ostile della Fed nei confronti dei mercati che serve a costruire una ipotesi di recessione percepita come già severa, quando nel mondo reale, le cose non stanno poi ancora andando così male. Per capire meglio, facciamo un passo indietro e torniamo alla fine dell’anno scorso, quando le stime dei governi e degli economisti sul 2022 venivano corrette al rialzo, addirittura superiore a quello del 2021. Pensandoci oggi, fa impressione ciò che scorreva in quel momento nel sangue delle imprese e dei mercati finanziari, dove le imprese, immaginando un boom dei consumi, cercavano in tutti i modi di gonfiare le scorte. Immaginando poi una crescita duratura, le imprese avevano messo a budget per quest’anno molte assunzioni ed erano pronte a pagare qualsiasi prezzo per strappare alla concorrenza le poche risorse umane disponibili sul mercato.

I mercati, dal canto loro, mantenevano la sicura tendenza nel comprare su ribasso sempre e comunque, tanto che la maggioranza degli analisti prevedeva per quest’anno nuovi massimi su borse e materie prime. In questo contesto vistosamente surriscaldato, la Fed, una volta constatato che l’inflazione era ormai fuori controllo, ha dovuto cercare di invertire velocemente di segno la psicologia collettiva, portandola da super eccitata a depressa in pochi giorni. Per farlo ha usato i toni più duri, ha anticipato gli aumenti dei tassi, li ha spronati con la sorpresa dei 75 punti base, ha esibito indifferenza di fronte agli affanni delle borse. All’autoflagellazione dei mercati, convinti ormai di vivere in una crisi profonda, non ha corrisposto finora una situazione così negativa dell’economia reale. Casa e auto, i classici settori ciclici, sono in rallentamento, certo, ma i danni non sono ancora rilevanti. Il manifatturiero è debole, anche perché deve smaltire l’eccesso di scorte, ma i servizi, che sono la parte dominante dell’economia, sono generalmente in crescita e sono anzi in pieno boom dove c’è ancora domanda (come turismo o viaggi aerei). Al di là del clamore e del baccano programmato della Fed, del resto, non si può dire che le politiche monetarie nel mondo siano particolarmente aggressive. I tassi reali sono ancora ampiamente negativi, il Quantitative tightening è ancora modesto e in giro per il mondo ci sono banche centrali, come quella giapponese, che stanno accelerando la creazione di liquidità. I governi, dal canto loro, continuano a spendere per il riarmo, per i sussidi per l’energia, per gli investimenti pubblici. In compenso i pugni assestati nello stomaco dei mercati finanziari sono già riusciti a ridurre le aspettative di inflazione incorporate nei bond e hanno fatto scendere in misura significativa il prezzo delle materie prime, incluse quelle agricole. Quello che avviene sui mercati finanziari non è d’altra parte sfuggito alle imprese, che stanno facendosi più prudenti nel procurarsi scorte e nell’assumere personale. Certo siamo solo agli inizi e c’è ancora parecchio da fare.

Le imprese assumono meno, ma l’obiettivo della Fed è che riducano il personale. C’è ancora una coda rilevante di inflazione salariale, con le linee aeree americane, per fare un esempio, che hanno appena concesso aumenti del 15%. Il gas europeo continua a rincarare. È per questo che la pressione sui mercati finanziari andrà mantenuta. Nessun senso di compiacimento sarà consentito fino a quando il mercato del lavoro non darà qualche segno più chiaro di decongestionamento e fino a quando le imprese non cominceranno a ristrutturarsi diventando più produttive. Oggi i mercati, per effetto della recessione percepita, ipotizzano un rallentamento significativo e veloce del ciclo economico, al punto da pensare a una Fed che dovrà iniziare a tagliare i tassi già la prossima primavera. È però possibile che le cose vadano più per le lunghe ovvero che la recessione parta e finisca un po’ più tardi di quanto i mercati stiano scontando. Gli economisti temono che la BCE possa finire per essere vincolata da così tante condizioni da non avere la potenza necessaria per contenere i mercati. Se faranno le cose a metà e non soddisferanno le aspettative, dovranno fare ancora di più in seguito, come spesso accade nell'Eurozona. Non vanno tuttavia dimenticate le variabili esogene, in particolare la guerra e i possibili tagli ulteriori delle forniture di gas russo all’Europa. È bene non farsi troppe illusioni su un’attenuazione delle sanzioni in caso di cessate il fuoco in Ucraina. Quanto al taglio delle forniture di gas, gli effetti sarebbero al tempo stesso recessivi e inflazionistici. In questo contesto, non più ostile ai bond governativi è prudente conservare ancora aspettative limitate sulle Borse e non farsi tentare troppo dalle fiammate di rialzo.

Gilberto Minghetti




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