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21/06/2022
Natalità zero
L’Italia e l’inverno demografico, invertire la tendenza ed investire sul futuro.

Escono nuovi dati Istat e il nostro Paese si ritrova a fare delle valutazioni, come ogni anno, ma questa volta ci auguriamo che le valutazioni abbiano anche delle dirette conseguenze, altrimenti, i dati allarmanti continueranno ad essere tali e in peggioramento. Infatti, entro la metà di questo secolo, dicono le estrapolazioni, se il calo delle nascite continuasse al ritmo degli ultimi tredici anni ci si avvia verso le nascite zero. Certo, il discorso è astratto, le nascite ci saranno ancora, non si avvererà la distopia del film “I figli degli uomini” dove si piange la morte dell’ultimo bimbo nato. Però la tendenza è tracciata; ed è difficilmente correggibile. L’inverno demografico, metafora oramai molto diffusa con la quale si raffigura l’attuale situazione demografica italiana, è una realtà che sembra non andare verso una controtendenza. Anzi per continuare con la metafora stagionale l’inverno non solo sarà durissimo ma nemmeno lascia intravvedere una susseguente primavera, sia pur timida. Il bilancio è quello che è: tra le 107 province italiane solo una (Bolzano), paradossalmente quella “meno italiana” di tutte, registra più nati che morti. Per il resto, e soprattutto per il Mezzogiorno la decrescita è il solo percorso ragionevolmente prevedibile. Decrescita che è sinonimo di spopolamento: come ha detto il presidente dell’Istat, “Siamo un popolo potenziale di 32 milioni di abitanti con tutte le conseguenze del caso in termini di lavoro, PIL e consumi”: il livello dell’Italia degli anni ottanta dell’Ottocento. Quando tutto questo? Tra non molto, alla fine di questo secolo. Quando oltre all’Italia altri 22 paesi, nel mondo, vedranno la propria popolazione dimezzarsi. Ma questo è uno di quei casi dove essere in numerosa compagnia non consola affatto.

Un dato, che sembra quindi lasciare poche speranze per il futuro anche perché questa tendenza è la sommatoria di tre potenti “motori” demografici. Il primo è quello del calo del numero delle donne in età fertile (15-49 anni), calo dovuto all’accumularsi della denatalità. Il secondo è quello della scelta di ridurre il numero dei figli andando verso il figlio unico (con conseguente morte delle parentele) o addirittura verso il “figlio zero”: dice l’Istat che “la quota di donne senza figli è in continuo aumento da una generazione all’altra” per cui quasi un quarto delle donne nate nel 1978 resterà senza alcun figlio. In terzo luogo l’apporto natalistico delle donne straniere è tutto sommato modesto, un palliativo (utile), ma non molto di più. La dinamica prossima delle famiglie corre in parallelo: infatti si stima che la famiglia che più sarà in crescita da qui al 2040 sarà quella unipersonale (cioè una non famiglia), che arriverà a sfiorare il 39 per cento del totale delle famiglie. Viceversa le coppie con figli sono l’unica tipologia familiare in contrazione. Per l’Istat infatti questa tipologia di famiglia, tradizionalmente iconica per l’immaginario collettivo, dovrebbe calare di quasi due milioni, in termini percentuali passando dal 32,1 attuale al 23,9 al 2040. Il “sorpasso” è solo questione di (poco) tempo. Sembra evidente che, a questo punto, il baratro demografico verso cui stiamo correndo deve diventare uno dei punti principali dell’agenda del Governo, altrimenti questa parabola discendente porterà dietro mille altre implicazioni.

Forse siamo ancora in tempo per invertire questo autunno./inverno demografico: le coorti che oggi si affacciano sulla vita adulta e sul lavoro non sono ancora ristrette come quelle che seguiranno nei prossimi due decenni. Sono ormai molti anni che l’Italia e l’Europa si interrogano su come invertire questa pericolosa tendenza aggravata da precarietà lavorativa e da mancanza di servizi a favore delle famiglie primo ostacolo che scoraggia le coppie che desiderano figli. Le scelte fondamentali della vita vengono fatte sempre più tardi, la popolazione diventa sempre più anziana. Tutto ciò determina conseguenze concrete sul mondo del lavoro, sull’educazione delle nuove generazioni, sul sistema sanitario e pensionistico del Paese. Per combattere le “nascite zero” l’Italia deve ripensare complessivamente stili di vita e modelli economici e sociali, tenendo conto della molteplicità delle questioni in campo nel quadro di un approccio interdisciplinare. Reagire a questi impietosi dati, significa ripensare le politiche sanitarie, economiche, scolastiche, sociali del Paese. Vanno assolutamente incrementate le politiche a favore della famiglia, al livello nazionale e anche locale, ormai la questione è diventata più che urgente, senza i figli un domani non c’è. Siamo in tempo per intervenire ben sapendo che nessun destino giustifica il tutto: anzi, come diceva Cicerone, “chi crede nel destino giustifica l’inerzia”, e l’inerzia, su questo argomento, è un lusso che il nostro Paese non può più permettersi.

Fausta Tinari




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