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15/06/2022
I falchi e le colombe
Nel rialzo dei prezzi non c’è solo il conflitto russo-ucraino

C’è un dibattito aperto sulla natura dell’inflazione che sta caratterizzando le economie al di qua ed al di là dell’Atlantico. Ci sono coloro che sostengono che sia un’inflazione esclusivamente da offerta e che un innalzamento dei tassi non la combatte. Questi sono le colombe. Dovuta a shock di offerta simili a quelli del 1973 e del 1979 che videro un repentino aumento del prezzo del petrolio. Mentre altri, i falchi, puntano il dito sull’eccesso di domanda. Siffatta diversità di vedute si riscontra, ad esempio, sia nel FOMC (Comitato Monetario) della Federal Reserve, che nel direttivo della BCE passando per gli addetti ai lavori. A nostro avviso però è un dibattito sterile. Visto che le inflazioni non sono esclusivamente né da domanda e nemmeno da offerta. Sono, invece, dovute ad un intreccio dinamico tra la domanda e l’offerta aggregate: condizionato dalle aspettative di famiglie ed imprese. Il problema sorge quando quest’ultime si disancorano e questo è in parte avvenuto in seguito alle politiche monetarie e fiscali espansive messe in campo dai Governi sui due lati dell’Atlantico per contrastare gli effetti economici negativi dapprima della pandemia da Covid-19 ed in ultimo del conflitto russo-ucraino. Quando si riduce l’offerta aggregata e non c’è modo di aumentarla nel breve periodo, e questo si è verificato in seguito ai lockdown ed alle interruzioni delle catene del valore globali, l’unico modo per tenere a bada l’inflazione è quello di domare la domanda aggregata.

Questo stimolo in eccesso che ha artificiosamente e con forza sostenuto i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese è stato finanziato emettendo debito pubblico in parte monetizzato. C’è stato una sorta di elicottero che ha disseminato capacità di spesa almeno ad una metà del globo. Stiamo parlando di almeno di 10 trilioni di dollari. Nel rialzo dei prezzi insomma non c’è solo il conflitto russo-ucraino, dato che l’inflazione è stata una conseguenza degli effetti economici della pandemia da Covid-19 e delle politiche economiche e sociali messe in campo per farvi fronte. I processi inflazionistici nel vecchio continente e negli Stati Uniti sono, anche se con sfaccettature diverse, della stessa natura avendo dietro le stesse cause e le stesse dinamiche. Sono stati generati da un eccesso di debito pubblico e circolazione monetaria a fronte di una repentina caduta dell'offerta di lavoro e di prodotti/servizi provocata da politiche anti-Covid eccessive e strategicamente miopi. A tutto ciò dalla fine di febbraio si è aggiunto un ulteriore shock di domanda/offerta causato dall'invasione Russa dell’Ucraina che ha portato ad un aumento dei prezzi dei prodotti energetici e di quelli alimentari. Questi ultimi congiuntamente spingono l'inflazione degli USA tanto quanto quella del vecchio continente. Lo testimoniano i dati. Ora le Banche Centrali sono di fronte ad un dilemma: 1) lasciar correre l’inflazione per non interrompere la ripresa economica rischiando di disancorare le aspettative e di innescare una spirale prezzi-salari; 2) frenare la crescita dell’inflazione col rialzo dei tassi d’interesse.

Ma del loro operato e dei vincoli politici alle quali sono sottoposte ci occuperemo in un prossimo articolo. Per ora ci limitiamo a dire che le Banche Centrali stanno varando la normalizzazione monetaria con gradualità, utilizzando una miscela di impegni annunciati e flessibilità garantita. Con un obiettivo da perseguire: influenzare nella giusta direzione le aspettative di famiglie, imprese e mercati. Il solo effetto-annuncio di rialzo dei tassi condiziona l’andamento di tutti gli altri tassi d’interesse: bancari e finanziari, pubblici e privati, facendo parte del ‘lavoro sporco’ di restrizione monetaria per conto delle Banche Centrali. In questo modo la Banca Centrale suggerisce la direzione tendenziale di medio periodo di tassi e liquidità, i mercati la trasformano di giorno in giorno in prezzi. Questo è il modus operandi della BCE. Che è l’esatto contrario di quello della FED. Innalzare i tassi d’interesse repentinamente come ha fatto la Banca Centrale (BC) degli Usa, dopo mesi di inerzia, malgrado il rialzo marcato dell’inflazione, è una strategia opposta a quella di una BC che voglia davvero normalizzare la politica monetaria. In un primo momento la Fed ha voluto guidare i mercati, come sta facendo ora la BCE, successivamente gli ha fornito le grucce della liquidità a volontà col bazooka del ‘quantitative easing’, mentre ora è il turno dell’accomodamento dei mercati. Con tutto ciò che ne consegue.

Marco Boleo




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