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07/06/2022
Le riforme necessarie per la scuola
L’acculturazione della “massa” del Paese si trasformò in una vera sete di “sapere” che coinvolse anche adulti e anziani.

Gli anni 1962 e 1972 sono cruciali per l’istruzione in Italia; per la prima volta viene applicato l’articolo 34 della Costituzione italiana: “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” La legge n. 1859 del 1962 istituì la scuola media unificata e fu sperimentale fino al 1972, quando divenne definitiva con l’innalzamento dell’obbligo scolastico fino all’età di 14 anni. Questo atto parlamentare fu fondamentale per la nascita del primo centro-sinistra, presidente del Consiglio dei Ministri era Amintore Fanfani, ministro della pubblica istruzione Aldo Moro. Questa scelta, portò i socialisti al Governo della Nazione e disintegrò definitivamente il frontismo PSI-PCI che perdurava sin dalle elezioni repubblicane del 1948. L’alleanza DC-PSI indirizzò l’azione di governo verso le questioni più squisitamente sociali, economiche e industriali, come la statalizzazione dell’energia elettrica, le innovazioni tecnologiche nell’agricoltura e l’allevamento, la nascita di un’industria modernizzata; tutte componenti che portarono al boom economico degli anni sessanta che permise all’Italia di sedersi al tavolo delle potenze economiche mondiali. Così, nell’anno scolastico 1963/64, decine di migliaia di ragazzi e ragazze, provenienti da famiglie operaie, contadine, artigiane, commercianti e braccianti, poterono accedere alla nuova scuola media unificata che permetteva alle generazioni appartenenti alla “massa operaia” di accedere agli studi superiori e addirittura all’università, fatto impensabile fino a qualche anno prima.

Infatti con la riforma Gentile del 1923 e la riformulazione del ministro Belluzzo del 1928, fu istituita la scuola secondaria di avviamento professionale che aveva lo scopo di completare l'istruzione dell'obbligo per fornire agli studenti che avevano ottenuto la licenza elementare la possibilità di avere una generica informazioni sui più diversi mestieri, oppure poter accedere si poteva ottenere alla scuola tecnica, alla scuola professionale femminile, al corso superiore dell'Istituto d'arte o dell'istituto tecnico, ma non agli studi universitari, consentiti solo a coloro che avevano frequentato la scuola media statale. C’era, comunque, un limite prettamente economico che impediva a buona parte dei figli degli operai di accedere anche a questo tipo di istruzione, dovuto al fatto che tutte le spese per le attrezzature utili alla frequenza della scuola di avviamento erano a carico delle famiglie, L’importanza della riforma Moro con l’istituzione della scuola media unica è di natura epocale: centinaia di migliaia di studenti finalmente avevano l’accesso gratuito a quel sapere universale che era stato loro negato; lo studio di discipline come Italiano, Matematica, Storia, Geografia, Scienze, Arte, Inglese o Francese, Ginnastica, Musica, spalanca le porte non solo agli studi delle scuole superiori, ma, addirittura, dava loro la possibilità di ottenere un titolo universitario; un mondo, quello dell’Università, che dalle “masse” era visto come una chimera , qualcosa che non si poteva neanche sognare Fu così che in soli dieci anni la popolazione scolastica, col titolo della “licenza media”, passò dal 46,8% all’82,3%.

Connettendo il sapere con il lavoro, si diede l’avvio alla trasformazione dell’intera Nazione; la necessità di costruire edifici scolastici più ospitali, al posto delle anguste stanze ricavate in costruzioni fatiscenti, diede l’avvio all’edilizia scolastica e il nuovo sapere contribuì alla trasformazione dell’intero mondo del lavoro, grazie all’apprendimento di nuove tecniche utilizzate nell’agricoltura, nell’artigianato, nelle fabbriche e nel commercio, oltre all’intero sistema dei servizi; una rivoluzione che portò a quel boom economico che interessò gli anni sessanta e portò l’Italia tra le Nazioni industrializzate del mondo civile. L’acculturazione della “massa” del Paese si trasformò in una vera sete di “sapere” che coinvolse anche adulti e anziani per i quali furono istituiti corsi serali e fu utilizzata anche la televisione con uno specifico programma televisivo voluto dal ministero della pubblica istruzione, curato da Oreste Gasperini, Alberto Manzi e Carlo Piantoni e prodotto dalla Rai. A questa rivoluzione non tutta la politica fu concorde; attorno all’idea di uguaglianza sociale i voti favorevoli giunsero da democristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani; i voti contrari giunsero da tutta la destra conservatrice, monarchici, missini, liberali. Anche i comunisti votarono contro, con una giustificazione, che risultò contraddittoria: esigevano l’introduzione dello studio del latino, in quanto avrebbe avvicinato i figli dei proletari al “sapere” della classe borghese. In realtà, a fronte di una popolazione con un alto tasso di analfabetismo, lo studio del latino, introdotto successivamente, risultò un ostacolo maggiore per persone che riuscivano, con sforzo, ad apprendere la lingua italiana; infatti nei primi anni ’70 fu abolito. All’opposizione comunista si contrapposero due personaggi: l’azionista liberalsocialista e deputato del Psi, Tristano Codignola e don Milani.

Il primo affermò che: «un movimento popolare dell’importanza del Pci non può affermare il valore della legge e nel contempo annunciare il voto contrario….sostenendo l’equivoco discorso dei contenuti culturali… quando si sa che una legge non sostituisce mai l’uomo che deve applicarla e quindi è in questa nuova struttura di scuola che si apre il discorsi dei contenuti…» Il secondo nel 1967, con Lettera a una professoressa , denunciava ciò che ne impediva la piena applicazione: «il principale difetto della scuola italiana sono i ragazzi che ancora perde». E indicò come porvi rimedio, proponendo di dare di più a chi parte con meno nella vita. Nelle democrazie si chiama «discriminazione positiva». Ed è l’opposto dell’eguaglianza formale perché va alla sostanza delle cose, proprio come dice l’articolo 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…che, limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…». L’opuscolo di don Milani è oggi terribilmente attuale, se si pensa che ancora il 18,2% di ragazzi, provenienti da famiglie che presentano difficoltà economiche o devianze sociali, abbandonano scuola e formazione. A questo punto la domanda sorge spontanea: che fare? Mentre la politica si raggomitola in discussioni relative alle sedie a rotelle, all’esame di Stato, o attorno a concorsi ormai inadeguati ai tempi moderni, pensando di passare alla storia come grandi riformatori, nessuno si rende conto che è necessario riproporsi la domanda di stampo moroteo: che Italia vogliamo, quale cittadino serve in una società in continua evoluzione? Ecco, dalla risposta a queste domande nascerà la nuova scuola, tutto il resto è noia.

Alberto Fico




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