PRIMO PIANO
03/06/2022
Le sanzioni economiche nella storia e nei nostri tempi
La prima cosa da fare dovrebbe essere quella di chiedersi se le misure adottate per evitare un conflitto possano effettivamente innescarne in seguito altri.

Di recente sul mercato editoriale anglosassone sono comparsi quattro nuovi libri sulle sanzioni e sulle relazioni internazionali. Basati su episodi passati che potrebbero essere utili per comprendere le conseguenze delle misure introdotte per condizionare le sorti del conflitto russo-ucraino. Quando ci si occupa di sanzioni la prima cosa da fare dovrebbe essere quella di chiedersi se le misure adottate per evitare un conflitto possano effettivamente innescarne in seguito altri. E come sarebbe una nuova guerra fredda per l'Occidente alimentata dalle ritorsioni praticate dai paesi sanzionati. Mentre l'Occidente ha assemblato con difficoltà sanzioni contro la Russia in risposta alla sua invasione dell'Ucraina, Dmitry Medvedev, presidente della Russia dal 2008 al 2012, ha fatto un'osservazione minacciosa: "Le guerre economiche molto spesso si trasformano in guerre reali". Medvedev ha ragione? Chiunque cerchi una risposta farebbe bene a consultare il nuovo libro di Nicholas Mulder ‘The Economic Weapon: The Rise of Sanctions as a Tool of Modern War’ (Yale University Press). Non solo è risultato tempestivo, data la situazione in Ucraina, ma contiene anche un’analisi lucida e stimolante. L'autore è uno storico della Cornell University e la sua ricostruzione si ferma al 1945. Ma la storia che delinea fornisce un contesto cruciale alla geopolitica moderna. Mulder mostra come le sanzioni si siano evolute dall'essere principalmente un'arma di guerra al divenire un'alternativa al conflitto armato. Durante la prima guerra mondiale, il Regno Unito e gli Stati Uniti tentarono di sottomettere la Germania affamandola attraverso un embargo. Ma, dopo la vittoria degli alleati, nelle parole di Woodrow Wilson: il presidente degli Stati Uniti dell'epoca, le sanzioni furono concepite come "qualcosa di più tremendo della guerra".

Wilson sperava che la minaccia di "isolamento assoluto" avrebbe "riportato una nazione in sé", prima ancora che scoppiasse la guerra. Ma la realtà negli anni '30 del secolo breve, come mostra Mulder, era piuttosto diversa. Le sanzioni economiche potrebbero aver effettivamente accelerato il passaggio al secondo conflitto mondiale, piuttosto che distogliere il Giappone imperiale, l'Italia di Benito Mussolini e la Germania nazista dal sentiero della guerra. Minacciati dall'isolamento economico, questi regimi autoritari iniziarono a vedere nella conquista territoriale lo strumento per conseguire l'autosufficienza economica. Come hanno dimostrato gli storici prima di Nicholas Mulder, la paura dello strangolamento economico ha contribuito ad alimentare l'aggressione giapponese, fornendo il pretesto ai falchi guerrafondai di Tokyo per far passare la guerra nel sud-est asiatico come necessaria per garantire le risorse naturali di cui il Giappone aveva estremo bisogno. Anche la stessa Russia è stata sottoposta a sanzioni economiche limitate dopo l'annessione della Crimea nel 2014. Come avvenne col Giappone negli anni '30 del secolo scorso, queste misure non sono riuscite a scoraggiare future aggressioni. Ora, all'indomani dell'invasione su vasta scala dell'Ucraina da parte di Vladimir Putin, la Russia è stata colpita da una serie di sanzioni finanziarie che non erano disponibili nella scatola degli attrezzi dei ‘sanzionologi’ negli anni '30. Forse queste potranno rivelarsi come l'ultima "arma economica" e contribuiranno a fermare la macchina da guerra di Mosca. Ma l’analisi di Nicholas Mulder suggerisce con dovizia di esperienze passate che quelle speranze potrebbero essere mal riposte. Nel caso, infatti, che le sanzioni, la diplomazia o il cambiamento politico non riusciranno a far tornare Mosca sui suoi passi, è probabile che l'Occidente si ritrovi ancora una volta bloccato in una rivalità a lungo termine con la Russia. Su questo possibile scenario arriva ad illuminarci un altro libro: ‘The Twilight Struggle. What the Cold War Teaches Us About Great-Power Rivalry Today’ di Hal Brands (Yale University Press). Questi, accademico e giornalista, ha consegnato alle stampe un libro che può essere letto sia come una nuova narrazione della guerra fredda che come una riflessione sulle nuove rivalità internazionali che stanno emergendo.

La prima lezione che Brands trae è particolarmente calzante alla luce dell'attualità: "Una buona strategia dovrebbe offrire un'alternativa alla disastrosa escalation, così come alla disastrosa sconfitta". Nei confusi primi giorni a fine febbraio dopo l'inizio della guerra di Putin in Ucraina, la risposta occidentale oscillava tra i timori di un'escalation nucleare e le richieste di una risposta rapida e devastante all'aggressione russa. ‘The Twilight Struggle’ ci ricorda che la pazienza strategica è stata fondamentale per il successo nella guerra fredda. Le rivalità a lungo termine tra grandi potenze, come quelle della guerra fredda, sono di natura sistemica e coinvolgono l’economia, la tecnologia, l’ideologia, la forza militare e la resilienza politica interna. In proposito il terzo libro preso in considerazione: ‘Disorder. Hard Times in the 21st Century (Oxford University Press)’ di Helen Thompson è un tentativo ambizioso di intrecciare temi geopolitici, economici e politici interni in un'unica narrazione, raccontando la storia della crescente instabilità del sistema politico globale dei nostri giorni. La signora Helen Thompson, economista dell'Università di Cambridge UK, da tempo si è concentrata sul ruolo cruciale dell'energia nel contribuire a mutare il quadro delle relazioni internazionali. Il suo libro mostra come i fattori energetici siano alla base di molte tendenze internazionali in atto: che si tratti del disimpegno degli Usa dal Medio Oriente, dell’interesse della Cina a controllare il Mar Cinese Meridionale o degli sforzi globali per far fronte al cambiamento climatico. Il ragionamento sostenuto dalla Thompson è risultato attuale durante il conflitto in corso con la dipendenza dell'Europa occidentale dal gas russo e quella della Russia dai ricavi ottenuti dalle esportazioni di gas e petrolio, entrambi cruciali per la ‘durata’ del conflitto.

Come ci ricorda in ultimo ‘Agonies of Empire: American Power from Clinton to Biden (Bristol University Press)’ di Michael Cox, l'invasione russa dell'Ucraina è arrivata in un momento in cui gli Stati Uniti stavano smettendo i panni di unico gendarme mondiale. La domanda a cui Cox, professore alla London School of Economics, cerca di trovare una risposta è: - "perché i successivi presidenti degli Stati Uniti dopo Clinton hanno trovato il mondo così difficile da gestire?" La sua spiegazione, intrecciata in una storia narrativa della politica estera statunitense, indica tre fattori principali: 1) l'emergere di due potenze revisioniste: la Cina e la Russia; 2) un errore di calcolo strategico, in particolare con la guerra in Iraq; e 3) i ‘cigni neri’ ovvero gli eventi inaspettati: principalmente la crisi finanziaria del 2008 e l'elezione di Donald Trump alla Presidenza Usa. Michael Cox esamina le problematiche della politica estera statunitense attraverso gli occhi dei politici dell'epoca, considerando i dibattiti ed i dilemmi che hanno contribuito a plasmare le decisioni prese dagli americani. Considerate le discussioni attuali sul fatto che gli Stati Uniti si siano mossi troppo velocemente per allargare la Nato, è utile ricordare che allora molte delle critiche a Bill Clinton ed alla sua squadra di governo si sono concentrate sulla loro presunta "russofilia". Chiudiamo con lo stato dell’arte delle sanzioni occidentali alla Russia. Alla fine la montagna ha partorito un topolino. Qualcuno dirà meglio che niente. L'embargo al petrolio russo, solo via mare e solo tra sei mesi, era probabilmente il massimo che si poteva ottenere vista la grave dipendenza.

Il costo sarà soprattutto per i paesi che importano via mare, come l'Italia: la cosa non sorprende, considerato che l'Italia sia divenuta un vaso di coccio tra vasi di ferro, sempre sull’orlo di una crisi economica-finanziaria e dipendente da aiuti esteri per la sua stabilità macroeconomica. In ultimo gli aiuti ed i prestiti col PNRR. Non essendo possibile far scendere i prezzi del petrolio senza aumentare l'offerta e/o diminuire la domanda, se i russi avranno problemi a trovare nuovi acquirenti, si troveranno ad avere margini di profitto molto più elevati, con cui potranno compensare i volumi minori generati dalle sanzioni. L’aumentata domanda europea di petrolio non russo, infatti, farà balzare in alto i prezzi per tutti i paesi produttori, e quindi potranno alzarli anche i russi. L'alternativa è arrivare a infiniti dollari al barile, con svariati milioni di barili in meno di petrolio al giorno disponibili a livello globale. In 6 mesi cambierà qualcosa? In 6 mesi non si installa nemmeno una trivella, figuriamoci una raffineria. Probabilmente si tratta pertanto di un gesto meramente simbolico per accelerare la fine del conflitto, sperando che arrivi entro 6 mesi. Altrimenti, arrivati i 6 mesi, si perderà la faccia. Peccato che i gesti simbolici non abbiano alcuna rilevanza, a parte consolare chi li compie.

Marco Boleo




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet