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30/05/2022
De Mita, orgoglio e coerenza del Popolarismo
Percependo quella che sarebbe divenuta la crisi micidiale dei primi anni ’90, fu suo il merito di aver compiuto il massimo sforzo per cercare di rilanciare l’immagine della Dc.

Racconta Paolo Franchi su Il Corriere della Sera che Ciriaco De Mita lo chiamò a settembre del 2017 per moderare un dibattito ad Ischia dall’”impegnativo” titolo:” Popolari, ci siete?”. Questo ricordo rivela come anche lo scomparso leader democristiano si ponesse la questione, tutta attuale, da comprendere e possibilmente da rimuovere, della scomparsa in Italia di un soggetto espressione del popolarismo politico, pur in presenza della necessità di una politica che ne attualizzasse i riferimenti storici, culturali e programmatici. Anche questa triste circostanza che cancella la presenza dell’ultimo protagonista di una lunga fase politica, sospinge a riflettere e induce a qualche riconsiderazione storica, riproponendo, sostanzialmente, l’esigenza di tornare a “ragionare” sulla politica, caratteristica di De Mita, ma anche di molti di coloro che animarono la lunga stagione democristiana, pensiamo solo all’”intelligenza degli avvenimenti “ di Aldo Moro. Se si volesse dare il senso proprio al suo impegno alla segreteria del Partito, di “modernizzatore” della Dc, che Pierluigi Castagnetti nell’intervista ad Avvenire più volte richiama con qualche superficialità e forzatura, allora non possiamo non definirlo come un tentativo scaturito dalla convinzione che la politica e le istituzioni, con le loro sfide, richiedessero di ritrovare il percorso giusto, attraverso un impegno adeguato e forte della Democrazia Cristiana. Percependo quella che sarebbe divenuta la crisi micidiale dei primi anni ’90 - sopraggiunta qualche anno dopo la fine della sua esperienza al vertice del partito (1989) - fu suo il merito di aver compiuto il massimo sforzo per cercare di rilanciare l’immagine della Dc. Il principale fu quello di far corrispondere, con i commissariamenti, soprattutto nelle grandi città, a proposito del tesseramento, alla tessera un volto ed un aderente vero e, nel contempo, di aprire agli “esterni”, tentando di riproporre quel rapporto con l’associazionismo di ispirazione cristiana che tanto aveva contribuito a far emergere quella classe politica che aveva bene operato negli anni del dopoguerra.

Ma il tempo della cattolicità, per il profondo cambio della prospettiva vaticana, era mutato e invece di un nuovo fermento, il tutto si risolse nella presentazione di alcuni ( Pietro Scoppola e Nicola Lipari) come indipendenti nelle liste della Dc. Si ricorda di De Mita, giustamente, la dialettica e lo scontro con il Partito Socialista di Bettino Craxi. Nella sua essenza il segretario dc si impegnò per ridurre il craxismo nell’ambito delle regole di origine centrista. Occorre infatti comprendere e interpretare bene questa linea fondata oltre che su una distinzione di elementi valoriali, che caratterizzò parte della stessa sinistra democristiana, bensì su una “rivalità”, perché di questo si trattò. Contrapposizione favorita anche dall’emergere, coincidente, di due leadership (il doppio incarico di De Mita, l’egemonia craxiana sul partito) che si formarono sull’analogo progetto, attuato in modi diversi, di limitare gli aspetti logoranti della dialettica interna nei rispettivi partiti e di offrire all’opinione pubblica un riferimento politico chiaro e identificabile. Tuttavia l’anticraxismo di De Mita non comportava il cedimento alle lusinghe di quell’ ”incontro tra cattolici e comunisti“, visto da tanta cultura politica come l’esito necessario per un rinvigorimento morale e politico dei cattolici. In tal senso, De Mita non fu un dossettiano e, tutto sommato, le sue esperienze nell’ambito delle iniziative che affiancarono la sinistra postcomunista, furono brevi e di nessun importante valore politico. Tanto è vero che non solo arrivò, successivamente, ad aderire, per poco tempo, all’Udc, ma al termine delle sua parabola politica creò una sua isola di rappresentanza istituzionale come sindaco di Nusco, rinunciando ad intervenire nel quadro politico che era emerso, svolgendo quell’ultimo”servizio” per il fascino, la stima e la popolarità che i suoi concittadini gli assicurarono fino alla fine. C’è un altro elemento che viene richiamato come caratterizzante la sua esperienza politica, quella di un impegno rinnovatore anche a livello istituzionale. Nessuno rileva che tale sforzo, per taluni aspetti, unisce in modo diversi, ambedue, il segretario dc e il leader socialista.

De Mita presiedette senza fortuna una bicamerale per le riforme istituzionali; Craxi indicò nella “grande riforma”, la questione che il sistema politico doveva realizzare per affrontare un tempo che si sarebbe rivelato difficile. De Mita aveva ipotizzato l’evoluzione verso una “democrazia compiuta”, Craxi auspicò l’elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica, con tutto ciò che ne poteva seguire. Temi restati al palo ancora trent’anni dopo ed oggi affrontati attraverso una lettura e procedura tecnocratica, priva di un vero confronto parlamentare parcellizzata, all’interno di procedure amministrative, senza il respiro di un vasto confronto politico. La limitata portata del dibattito istituzionale e della “modernizzazione” del sistema che oggi prevale nel vuoto di ispirazione della politica non può non farci rimpiangere il tempo di De Mita e Craxi che, con pacatezza e intelligenza, viene ricordato anche dalla figlia del leader socialista. Quello, spiega Stefania “era il terreno di confronto costante tra i migliori” ed “entrambi coltivavano la storia e la memoria”. La fine del percorso terreno di tutti i protagonisti di allora, ci impone un dovere, se si intende, come ha fatto De Mita per la sua parte, testimoniare l’ orgoglio e la coerenza del popolarismo: indicare la strada giusta, attivare confronti, influire su strategie e proposte, collocare cultura e idee, suggerire programmi. Pensare di risolvere con la sola costruzione di modeste esperienze organizzative, isolate e costrette purtroppo in un ambito squisitamente tattico non basta. Il popolarismo oggi può essere di più: un richiamo al dovere di un primato della politica fondata su idee ricostruttive, che interpreti i fermenti sociali, sull’ispirazione di principi che diano forza e vigore alla democrazia, sulla condivisione della storia, su vero consenso e partecipazione, su una nuova e necessaria equità sociale, su un interesse nazionale coniugato alla dimensione europea. Ultimo, ma non ultimo: su una classe politica capace di “ragionare” e comprendere gli avvenimenti.

Pietro Giubilo




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