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04/05/2022
I proclami non bastano
Il nostro paese sta perdendo terreno in termini di potere di acquisto rispetto a parte del resto del mondo: con redditi poco dignitosi rispetto agli altri paesi avanzati.

L’Italia, è un paese nel quale le parole contano più delle azioni concrete e della nuova realtà che ne potrebbe scaturire. Dove ci sono problemi a comprendere che non è possibile aumentare le retribuzioni, le pensioni se non aumenta la produttività. Il lievito dei fattori produttivi. Visto che le retribuzioni vengono pagate dal valore aggiunto generato dal lavoro e le pensioni vengono coperte coi contributi versati da chi è occupato. Con una eccezione. Il settore pubblico, nel quale la produttività e le retribuzioni sono ‘sganciate’ essendo queste ultime erogate tramite la fiscalità. Parlare di buon stipendio, buon salario, lavoro degno, o come recita la nostra Costituzione di una ‘retribuzione... sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa’, serve a porre la questione ma non ha alcun senso se non ci si preoccupa del problema della produttività in ristagno dagli anni '80 del secolo scorso. Pertanto di fatto il nostro paese sta perdendo terreno in termini di potere di acquisto rispetto a parte del resto del mondo: con redditi poco dignitosi rispetto agli altri paesi avanzati. La classe intellettuale italiana, sia politica che economica, sia di maggioranza che di opposizione, invece, continua a considerare altri indicatori, quali, il livello delle retribuzioni, la disoccupazione o le disuguaglianze. Ma in assenza di crescita della produttività la speranza di avere più posti di lavoro ed una distribuzione dei redditi più equa rimane disattesa ed i salari reali non possono aumentare, pena l’uscita dal settore produttivo di numerose imprese (quelle marginali), con conseguente crollo dell'economia ed aumento della disoccupazione.

La produttività conta. Tutto ruota intorno ad essa. Ovviamente, infine, essendo funzione dei fattori produttivi impiegati, la produttività non ha nessuna relazione con la gestione della moneta (politica monetaria), sia essa l'euro o la eventuale nuova lira (che molti vorrebbero) e altrettanto non ha nessun collegamento con i deficit pubblici, che di nuovo non hanno nessun effetto nell’adozione delle innovazioni da parte delle imprese (se non nel caso di una diminuzione della tassazione sugli investimenti, ma la cui sostenibilità strutturale in assenza di equivalenti tagli di spesa è molto precaria). Verrà compreso tutto ciò? C’è da dire che se non lo è stato negli ultimi vent'anni, difficilmente lo sarà nell'Italia nazional-socialista-corporativa che si è venuta formando. Ultima considerazione ma per questo non meno importante, che chiude il cerchio: la produttività stagnante implica ovviamente che se c’è disoccupazione, l'unico modo per ridurla strutturalmente è attraverso una compressione dei salari reali. Ed ecco così spiegato anche un altro fattore che caratterizza l'Italia degli ultimi decenni, ovvero che i figli guadagnano meno dei loro genitori. E la cosa deprimente è che non esiste un’alternativa. A meno ovviamente di non cambiare la variabile chiave, ovvero riuscire a far tornare positiva la crescita della produttività. Quindi la domanda è: come si aumenta la produttività? Per ottenere questo aumento bisognerebbe incrementare gli investimenti in capitale fisico e umano e quelli in ricerca e sviluppo.

Servirebbe una incentivazione della concorrenza e dell'efficienza dei mercati dei prodotti. Parimenti alla stabilità del sistema finanziario e ad una riduzione della pressione fiscale su lavoro e imprese. All’interno di una cornice amministrativa nella quale aumenti la qualità dei servizi pubblici (a partire dalla giustizia), della regolazione e della legislazione. Migliorando le infrastrutture. Tutto il resto sono parole, purtroppo. A parità di produttività, l'unico modo per aumentare i redditi da lavoro è ridurre il cuneo fiscale, o ridurre l'offerta di lavoro. I bassi stipendi, salari e la stagnazione dei redditi sono la conseguenza del ristagno della produttività. Non c'è modo di risolvere la prima problematica senza risolvere la seconda. In Italia tutto è un pretesto per non riformare l'Amministrazione e per non adottare politiche lungimiranti e costruttive per migliorare lo stato dell'economia e delle finanze. Neanche un politico in questo paese si prende la briga di dire che il problema sono la produttività, la crescita, gli investimenti, la competitività, l'innovazione, il capitale umano, e le infrastrutture. Pensano tutti al voto di scambio per mantenere lo status quo: comprando consensi, e all'Unione Europea come un finanziatore di vizi politici ultra-decennali. Con politici del genere, non abbiamo certo bisogno di nuovi populisti.

 

Marco Boleo

 




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