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29/04/2022
Le sfide del Primo Maggio
I tempi richiedono che nel processo di trasformazione si coinvolga la società civile e le sue forme associative.

La festa del Primo Maggio chiama la politica e il Governo a non agire a senso unico, ad avere attenzione verso il mondo del lavoro e i suoi problemi presenti e futuri. Come lo celebriamo? È orribile: in presenza di una guerra, dove sono due eserciti che parlano la stessa lingua, che si intendono. E il confronto, come sempre accade quando la contesa è dentro la famiglia, sarà così duro che colui che perde la guerra perderà la vita o, se sarà fortunato, la propria identità. Il pericolo comunque è troppo grande e la stretta vicinanza a quei paesi non ci fa stare tanto tranquilli. Si è usciti faticosamente dopo la pandemia dal periodo delle illusioni in cui si affermava “stiamo meglio di altri”, in cui l’occupazione reggeva sulla precarietà e il lavoro nero, ma ora occorre evitare che dalle illusioni si passi a una radicalizzazione delle delusioni. Alla politica il compito di ritrovare sé stessa e la sua vera “mission” cambiando tutto quello che deve cambiare: “pensionando” chi deve essere pensionato, mutando simboli, definizioni, classificazioni e, soprattutto, innovando la classe dirigente, riducendo i costi della politica e favorendo il volontariato politico, in altre parole la partecipazione democratica nei partiti. I tempi però richiedono che nel processo di trasformazione si coinvolga la società civile e le sue forme associative. Se il sindacato deve utilizzare il tasso di affidabilità di cui ancora gode per riformare se stesso, per uscire dall’eccessiva burocratizzazione che rischia di inibirne le potenzialità, il MCL ha il compito di far tornare le lavoratrici e i lavoratori a essere tra i protagonisti della nuova Italia.

Esserci! Non solo per la celebrazione di una festa, ma operativamente per esprimere a tutti i livelli la convinzione essenziale di una presenza decisa, rispettata e condivisa sul tema della partecipazione a tutti i livelli. Dobbiamo assicurare l’impegno di promuovere e suggerire idee di politica industriale innovativa in grado di farci reggere l’impatto con i grandi cambiamenti che si preannunciano sul sistema produttivo. Sarà sempre indispensabile ragionare su come redistribuire la ricchezza e le opportunità in un paese che è diventato sempre più ineguale. Rilanciare e rafforzare l’unità d’azione del sindacato in conformità ad autoregolazioni condivise. Una società giusta è quella in cui si tiene conto dei più deboli e seriamente li si favorisce; ma al tempo stesso non compensa allo stesso modo chi si comporta bene e chi si comporta male, chi fatica e chi dalla fatica deliberatamente rifugge. Una società giusta è quella in cui ci si preoccupa di rendere il più possibile vicine tra loro le condizioni di partenza nella gara della vita, in modo che sia consentito a tutti di arrivare ai traguardi proporzionati all’impegno e alle capacità di ciascuno. Una società giusta è quella che nelle sue leggi e nelle sue istituzioni dimostra di essere fattivamente convinta che il lavoro umano è un valore più grande del capitale, così come l’uomo, con la sua dignità e le sue necessità, è un valore più importante del suo stesso lavoro.

Una società giusta è quella che difende praticamente la realtà basilare e sacra della famiglia - la famiglia che meriti questo nome, cioè la famiglia fondata sul matrimonio - e con vari interventi e provvidenze le assicura spazi adeguati di sussistenza e di sviluppo. Come si vede, la giustizia sociale è una condizione che non ci si deve mai illudere di avere definitivamente raggiunto, ma al tempo stesso è un ideale che non ci si deve mai stancare di inseguire. A questo Primo Maggio affidiamo allora la nascita di una nuova fase in cui la dialettica politica e sindacale si sviluppino per dare all’Italia il futuro che i sacrifici imposti esigono, suggellati in primis da una sola parola: pace. Nel Messaggio per la celebrazione della 50° giornata mondiale della pace (2017), il papa asserisce che lo stile di una politica diretta alla costruzione della pace, se vuole essere coerente con il Vangelo, deve fondarsi sulla «non violenza attiva»: non si tratta ovviamente di «resa, disimpegno e passività» nei confronti del male dell’ingiustizia, ma di sconfiggerlo senza ricorrere alla forza.

Gilberto Minghetti




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