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03/05/2022
Cosa resta del sogno europeo?
A ben vedere la guerra in Ucraina descrive un copione che รจ, da secoli, sempre lo stesso: un conflitto per annettersi territori, contesi per economia, strategia e demografia.

Prosegue, con la sua inesorabile tragicità e, con tutta probabilità, è destinata ad amplificarsi, la guerra in Ucraina che, prendiamone atto , ha infranto il sogno europeo di una pace stabile, al quale si erano dedicati i più lungimiranti politici degli anni difficili vissuti dopo il trentennale conflitto civile europeo che, iniziato nel 1914, si era concluso nel 1945. Le guerre nel mondo non sono state cancellate nel corso della seconda metà del XX secolo e nel primo ventennio del XXI. Corea, Egitto, Vietnam, Libano, Ex Jugoslavia, Afganistan, Centro Africa, Libia, Yemen, Siria sono stati ed in alcuni casi continuano ad essere, teatro di guerre. I luoghi devastati, tuttavia, in qualche modo, sono apparsi, ad una Europa distratta, non solo geograficamente lontani, ma appartenenti ad aree fatalmente instabili, con connotati ambientali del tutto differenti rispetto al suo paesaggio fisico ed urbano. Giungle, deserti, paludi, montagne avevano raccontato i conflitti. Per l’Iraq venne coniato il termine “Desert Storm”. Tutto ciò, sbagliando, li ha fatti avvertire come distanti, non inferenti il suo habitat. Bagdad, era entrata nelle immagini dei bombardamenti a volte mirati, altre no. Ma le città orientali non assomigliavano a Dresda, Londra, Milano e a tutti quei centri distrutti dai bombardamenti a tappeto nell’ultima guerra europea. Anche Belgrado con le sue macerie era giunta sin troppo fugacemente alla nostra attenzione, venendo considerata quasi come un prezzo da pagare per la nuova, interessata, “balcanizzazione” dei Balcani. Osservando, però, le città ucraine, proviamo un diverso, più profondo moto di solidarietà e sofferenza, perché esse sono del tutto simili alle nostre comunità.

Gli ucraini vivono come noi, in case e città uguali alle nostre , comprano in centri commerciali come i nostri, vestono come noi, portano zainetti come quelli della scuola dei nostri figli e i carrelli dei supermercati ricolmi di povere cose, si muovono con treni ed automobili, pregano in chiese cristiane, lavorano in fabbriche come le nostre, coltivano il grano che è il nostro alimento principale, studiano in scuole e università simili ai nostri luoghi di formazione. L’Ucraina è Europa. Gli ucraini sono europei come noi. Ed allora sorge una domanda che non possiamo sottacere: perché la “nostra” pace non ha potuto coinvolgere anche loro, vicini ed uguali a noi e non ha evitato le loro morti e sofferenze? Soprattutto: perché l’Europa non ha saputo o potuto impedire tutto questo? E’ una domanda che resta dentro o non riceve risposta adeguata pur nelle migliaia di ore dei telegiornali, quasi sempre ossessive e banali e nelle altrettante pagine dei quotidiani ripetitive e univoche, come un voler sottacere un dubbio della coscienza politica e morale delle Capitali dell’Europa occidentale. A ben vedere la guerra in Ucraina descrive un copione che è, da secoli, sempre lo stesso: un conflitto per annettersi territori, contesi per economia, strategia e demografia. Come lo furono gli sconfinamenti nei Balcani nel 1915 e, senza infingimenti, l’ingresso e l’alleanza di guerra dell’Italia con l’” Intesa” per ottenere le “terre irredenti”, cioè i territori nel nord est con Trento e Trieste; l’andirivieni dell’Alsazia tra Francia e Germania o le tragiche rivendicazioni tedesche su Danzica. Eppure l’Europa negli anni ’50 venne costruita da quei politici, Adenauer, De Gasperi e Schuman, che, proprio perché erano nati nelle terre contese, decisero di farla finita con la ricorrente tragicità della storia e avviarono quel progetto e strinsero quel patto che furono la vera origine dell’Europa unita.

Non l’economia, non la finanza, non la convenienza nazionale o la costruzione di una burocrazia a Bruxelles, fu la scintilla che diede il via al sogno europeo, ma la pace, la fine delle contese territoriali e degli egoismi nazionalisti. Le cronache geopolitiche descrivono ciò che appare sulla superficie degli eventi e i ruoli delle capitali politiche mondiali nel conflitto, senza riuscire, probabilmente, a palesare le vere intenzioni. Tuttavia gli sforzi di pace a vario titolo, condotti prima e dopo l’invasione dai premier francese e tedesco (la visita di Draghi a Mosca venne bloccata), hanno inciso meno rispetto a quanto pesano o potrebbero pesare Ankara, Pechino, Londra e Washington. Gli obbiettivi di quest’ultima, “Capitale dell’Occidente”, sembrano tuttavia essere quelli decisivi per tracciare una prospettiva di pace o di guerra lunga e rischiosa. La stessa sopravvivenza del governo di Zelens’kyj è sempre più legata agli aiuti militari e, proprio la quantità in dollari di tali aiuti registra, di fatto, il peso politico di chi decide sui destini di Kiev. Avvertiamo, però, il riapparire di logiche autarchiche, di “eroici nazionalismi”, di imperialismi giustificati da “nobili” intenti. Grida e denuncie per crimini di guerra veri e/o presunti e l’avvio di mediatici processi sommari. E poi di sanzioni, più o meno decisive, di impotenza degli organismi internazionali, di primati da difendere e da diffondere. E’ un terreno viscido nel quale le istanze giuste si mescolano alla propaganda di guerra. Stiamo scivolando nella militarizzazione della politica internazionale. Il terreno scelto da Putin, ma che nessuno sembra voler cambiare. Su tale terreno l’Europa è spiazzata. E’ nella Nato, ma non è la Nato a decidere. Se è debole sulle spese militari e da sempre si poggia sull’”ombrello americano”, figuriamoci cosa possa realmente fare, a prescindere dalle intenzioni, sul piano militare in ”soccorso” all’Ucraina. Non ha voce in capitolo e il premier ucraino non si limita nel rimproverare per questo Parigi e Berlino. Schiacciata dalle intenzioni palesi o meno degli Usa e condizionata dall’interesse a limitare le sanzioni e rinviare l’embargo energetico dalla Russia, l’Europa mostra purtroppo, di essere inadeguata anche nell’ uso della diplomazia.

Non essendo un soggetto politico sta rinunciando alla “sua” vera forza che, proprio l’ intesa raggiunta tra nazioni che si erano combattute per più di cento anni – intese di pace e non pacifismo - le avrebbe dato titolo per agire e fermare una guerra che apriva una tragica e classica contesa che appare come l’ennesima conferma di uno specifico della storia d’Europa. Prevenire con ogni mezzo la guerra (a Minsk nel 2015 la Merkel operò in tale prospettiva, avvertendo i pericoli del conflitto di intensità solo apparentemente limitata nel Donbass), agire spes contra spem, sarebbero dovute essere scelte e decisioni di una Europa politica purtroppo incompiuta, in funzione di un Occidente costruttore di pace e non omologato ad un logica bellica che risente di rischiosi giochi internazionali. Del resto negli ultimi settanta anni, episodicamente e non certo senza suscitare diffidenze, la Francia, l’Italia e la stessa Germania avevano mostrato di agire in tal senso. Qualche esempio di ciò, a vario titolo e in contesti diversi che, forse, appare forzato elencare, furono: l’”Europa dall’Atlantico agli Urali di De Gaulle”, l’Atto di Helsinky del 1975 di Aldo Moro, Sigonella di Craxi e Andreotti, Pratica di Mare di Berlusconi, il North Stream di Merkel. Nelle intenzioni non sono stati atti politici compiuti contro l’interesse americano, ma scelte autonome in funzione di un Occidente equilibrato e portatore di distensione, pace e coesistenza con le aree vicine e per l’integrazione europea. La geopolitica di Halford Mackinder spiegava che “chi comanda all’Europa orientale, comanda l’Heartland”, decide cioè dei destini del mondo. Parafrasando: poiché la storia ci dice che due guerre mondiali sono nate in Europa, chi saprà evitare la terza o riuscirà a cancellarne le cause, sempre uguali e sempre ad est, darà un destino di pace alla “terra del cuore”. Questo deve restare il sogno politico dell’Europa, banco di prova dei suoi leader politici e la vera legittimazione di fronte alla storia.

(dissipatio.it)

Pietro Giubilo




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