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22/04/2022
L'aut aut della sfida presidenziale francese
Il popolarismo non può essere assorbito in un generico europeismo delle élite.

“Se révolter ou s’adapter, il n’y a guère d’autre choix dans la vie”. Non ci sarebbe altra scelta nella vita, secondo l’antropologo francese Gustave Le Bon: ribellarsi o adattarsi. Il voto presidenziale transalpino, di cui si terrà il secondo turno domenica, con il ballottaggio tra l’uscente Emmanuel Macron e la sfidante sovranista Marine Le Pen, sembrerebbe dare una conferma alla sentenza dell’autore del celebre saggio “Psicologia delle folle”. Le “cose francesi” paiono ridursi appunto all’alternativa netta: adattarsi al puntellamento tecnocratico delle istituzioni repubblicane (confermando all’Eliseo il suo attuale inquilino) o insorgere all’insegna della contrapposizione al sistema (votando la leader del Rassemblement National, rideclinazione gaullista del Front). Una scelta secca, un aut aut, che sembra mettere sempre più ai margini le tradizionali culture politiche europee: popolari e socialisti, ma anche comunisti e verdi. Tutte fortemente ridimensionate, in una sconfitta che ha assunto i contorni del tracollo. Concentrandosi sulle vicende popolari, non può non colpire che Valérie Pécresse, candidata de Les Republicains, partito erede della tradizione gollista e parte del Ppe, non ha raggiunto nemmeno il 5 per cento. Si è esattamente fermata al 4,8. Riuscendo così nell’impresa di far rimpiangere il 20 per cento di François Fillon nel 2017, quando il terzo posto fu subito come un fallimento, nonostante lo scarso distacco (circa 1,3 da Marine Le Pen). Il minimo storico del centrodestra nell’Hexagone (che l’assenza di trattino, ormai stabile ibridazione dell’identità, è forse un pezzo del problema?) non è un caso isolato, però, come ha ben fatto notare Stefano Iannacone, “la fotografia di gruppo è quella di un centrodestra che quasi non esiste più in Europa. Almeno per le sigle storiche.

Dalla Germania all’Italia, arrivando alla Francia i principali rappresentanti del Partito popolare europeo sono sempre più ridimensionati. In alcuni casi a rischio scomparsa dalla geografia politica nazionale e inevitabilmente europea. Il motivo? La compressione tra le spinte sovraniste e la nascita di soggetti liberaldemoratici sul modello di En Marche di Emmanuel Macron o stile Azione di Carlo Calenda” (Tag43 – 12 aprile). Tornando al ribellarsi o adattarsi, proprio guardando a questa istantanea, si profila la questione di una riproposizione originale del popolarismo europeo; per molti versi, sicuramente rispetto allo scenario che sembrano dipingere le presidenziali francesi, all’opposizione dello “stato delle cose”. Il popolarismo non può essere assorbito in un generico europeismo delle élite e nemmeno ridursi a supporto presentabile di forze che, pur definendosi sovraniste, non hanno responsabilmente inteso in quale senso la sovranità è elemento qualificante della democrazia reale (e decidente). Un’urgenza che non può che essere al centro dell’attenzione (e all’attenzione del centro) anche in vista dell’avvicinarsi delle consultazioni per il rinnovo dell’Europarlamento (nel 2024). Anche considerando il riaffacciarsi del rischio della guerra nel continente, nel solco dell’approccio pacificatore e non banalmente pacifista del Pontefice, la crisi può trasformarsi nell’opportunità di costruire davvero una proposta europopolare transnazionale. Sempre che ci sia la capaci di un realismo autentico che vada oltre il ribellarsi o l’adattarsi.

Marco Margrita




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