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25/04/2022
25 Aprile, Ricordare senza rancore
Rievocare un importante spaccato della storia del nostro Paese illumina il presente, i problemi, i bisogni e gli ideali delle nostre vite quotidiane.

Il giudizio di Norberto Bobbio quando affermava che il nostro Paese era fatto di «diversamente credenti» dove i cattolici, semmai, hanno una caratteristica: non è che fossero pacifisti, magari qualcuno sì, l’unico che ha partecipato a tutte le azioni disarmato è stato Giuseppe Dossetti sull’Appennino reggiano. Su quello modenese c’era Ermanno Gorrieri, (sarà ministro del lavoro), che combatteva con i suoi compagni, però la differenza è in un’altra modalità̀ di condurre la guerra, cioè cercavano di non fare stragi inutili e fare morti inutili. Chi definisce meglio questa modalità̀ dei cattolici, che non è pacifismo, combattendo senza armi, a mani nude, è Ezio Franceschini (sarà rettore dell’Università Cattolica di Milano) sostenendo che, come i cattolici abbiano imparato a combattere senza odiare. Non è che se prendi una pallottola da uno che non ti odia non ti fa secco, però è diversa la modalità̀, il modo di affrontare il nemico. Questo per dire qual era l’animo. Addirittura, qualcuno si incontrava dopo la Liberazione una volta al mese, uno sosteneva le ragioni dell’altro. Un esempio stupendo di che cosa può̀ essere la democrazia, l’ascolto, la comprensione. Una di quelle modalità̀ che, comunque collocate nella Resistenza, spiegano come quelle persone abbiano provato a combattere senza odio: sembra davvero una cosa attorno alla quale riflettere. Se poi si viene all’oggi, un periodo nel quale si vendono armi a gogò: ricordo il viaggio di Trump in Arabia Saudita, contratti iper miliardari e con una scelta molto precisa dei Sunniti wahabiti, ossia quelli che stanno con l’Isis. Per carità̀ non è che gli Sciiti siano tutte brave persone. In una fase nella quale papa Francesco ci dice che è incominciata la terza guerra mondiale a pezzetti e capitoli.

Fu una bella immagine della piccola, ma importante, resistenza tedesca: ‘La Rosa Bianca’ i ragazzi di Monaco di Baviera, studenti, che si ritrovano alla sera per leggere i classici tedeschi, hanno fatto sei volantini in tutto che mettevano in giro, all’Università̀, nelle guide delle cabine telefoniche. La cosa incredibile è questa: li prendono e il tribunale del popolo nazista di Monaco di Baviera li giudica alla mattina e li ghigliottinano nel pomeriggio, tale è il timore che potesse il contagio attecchire. Ma la cosa stupenda è che uno dei ragazzi che vanno alla ghigliottina si rivolge all’altro e dice «comunque ci rivediamo fra dieci minuti». Uno che ha il fegato di dire una cosa così testimonia una speranza, che non è l’ottimismo, ma un’altra cosa di estremamente positivo e motivante anche per l’oggi e per il futuro. Credo che riandare a vedere i fatti della Resistenza in questo modo ti arricchisce, non è soltanto fare memoria. La memoria è essenziale, ma è un modo per creare un punto di vista, per guardare la vicenda nella quale, a qualche titolo, siamo dentro, ma per andare avanti. Le immagini drammatiche e cariche di orrore, l'utilizzo che ne viene fatto anche per ragioni di propaganda come sempre avviene in guerra da entrambi i fronti: il rifiuto di tutto ciò e il pensiero che la guerra sia un male assoluto è umano. Trovo però opinabile attribuire questa posizione pacifista a chi ha fatto la Resistenza. Si contano sulle dita della mano quelli che da partigiani non impugnarono le armi e fu un modo di riappropriarsi di un'autonomia persa nel fascismo. Perché comunque il confronto sul da farsi è così difficile?

Quel che sta succedendo in Ucraina è post novecentesco: c'è un groviglio che sfugge alle normali categorie, si pensi ai battaglioni e ai mercenari al servizio accanto agli eserciti regolari. E una guerra quasi privatizzata, quando prima era statuale. Assistiamo alla stessa tendenza post muro di Berlino, dove ogni aspetto è privatizzato, guerra inclusa. E poi siamo sommersi di informazioni: a me colpisce il fatto che il risultato è rendere familiare la morte, arriva a casa nostra come il gas, la luce elettrica, l'acqua. Invece dell'indignazione questo favorisce l'assuefazione di fronte a quello che è il più grosso scandalo umano. Su questo tema si sono espressi in molti e tanti hanno dato il loro contributo. Tina Anselmi con la sua attività di giovanissima staffetta partigiana diventa una preziosa eredità, un testamento da conoscere in cui ripercorre le tre indicazioni che troviamo essenziali per memoria storica da trasmettere ai giovani indicando la scuola, le aggregazioni sportive, come i luoghi dove è ancora possibile incontrarli. "Quando vado a parlare nelle scuole - diceva Tina Anselmi - molte volte i ragazzi mi dicono, ma perché non ci avete detto prima queste cose? Non deve più avvenire che un giovane ci rimproveri perché non abbiamo detto tutto quello che sapevamo". Per molti la lotta di Liberazione è stata una lotta di popolo. Bisognava avere l’occhio del paesaggista non del ritrattista. Con questo sguardo d’insieme i cattolici erano ben presenti nella Resistenza con le loro specifiche formazioni: le brigate Azzurre, le Fiamme Verdi, la brigata Osoppo. Non solo, ma nella sola Lombardia vennero arrestati perfino 170 sacerdoti. L’ultima caratteristica dei cattolici, che li differenzia profondamente dalle altre brigate partigiane, è l’aver partecipato alla lotta di Liberazione senza odio. Tranne qualche eccezione, come Giuseppe Dossetti, poi padre costituente, che partecipò alla lotta partigiana nel modenese senza mai imbracciare il fucile, «i cattolici – non erano dei pacifisti», ma la loro partecipazione perseguiva l’obiettivo del male minore nella riconquista della libertà, a volte suscitando motivi di aspri contrasti con i partigiani comunisti.

A 77 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e dai fatti che portarono alla nascita della Repubblica italiana, abbiamo il dovere di interrogarci su come trasmettere ai giovani i racconti e il ricordo vivo di personalità significative che hanno sacrificato la vita per la libertà e il futuro dei propri concittadini, senza retorica o pressapochismi di sorta, ma delineando in maniera trasparente il contributo di queste persone alla rinascita del Paese. Tutto questo lontano da parziali letture ideologiche, ricomponendo le tessere di un mosaico complesso e non molto noto. Come far uscire dal cono d’ombra le voci minori di quel periodo storico, ricomponendole in un unico coro di resistenza civile alla dittatura per interpretare le stesse operazioni di guerra dalla prospettiva dei partigiani senza fucile, di quanti cioè concorsero in diversa maniera alla lotta antifascista, non sui fronti della guerriglia ma nella quotidianità del territorio: sono le donne, ad esempio, a cominciare gli scioperi nelle fabbriche nella primavera del 1943, sono alcuni preti a nascondere e accompagnare i giovani a unirsi alle formazioni partigiane dopo l’8 settembre. Rievocare un importante spaccato della storia del nostro Paese illumina il presente, i problemi, i bisogni e gli ideali delle nostre vite quotidiane. Anche nella nostra epoca siamo testimoni di questa lotta. Il cristianesimo resiste o fallisce con la sua protesta rivoluzionaria contro l’arbitrio e la superbia del potente, con la sua difesa del povero. Credo che i cristiani facciano troppo poco, e non troppo, per rendere chiaro questo concetto. Si sono adattati troppo facilmente al culto del più forte. Dovrebbero dare molto più scandalo, scioccare molto più di quanto facciano ora.

Gilberto Minghetti




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