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14/04/2022
Le sanzioni, il rublo ed il cubo di Rubik
Le sanzioni dell’Occidente contro la Russia sono a prima vista le punizioni più potenti e costose inflitte ad una grande economia a partire almeno dalla Guerra Fredda.

L'invasione russa dell'Ucraina ha alterato la sicurezza globale e sta ridisegnando le relazioni politiche ed economiche tra le nazioni. Il multilateralismo che era sopravvissuto alla crisi economica del 2008 (col G20 che è divenuto lo strumento cardine di governance dell’economia mondiale) ed a quella pandemica, ora è rimasto vittima del conflitto russo-ucraino. Il futuro, infatti, sembra essere all’insegna di Stati Uniti e Cina (il G2) a menare le danze ed a ricomporre un nuovo G7. Con l’Europa destinata a fare da spettatrice se non acquisirà sicurezza energetica, militare e tecnologica. La guerra va ricordato è un affare tutto interno all'Occidente è pertanto quest’ultimo a doversene occupare, senza sperare nell'aiuto di nazioni che non hanno alcun interesse a mettersi contro l’autocrate Putin. Le sanzioni dell’Occidente contro la Russia sono a prima vista le punizioni più potenti e costose inflitte ad una grande economia a partire almeno dalla Guerra Fredda. La loro rapidità di introduzione, ampiezza e supporto coordinato delle nazioni occidentali sembrano essere all’apparenza senza precedenti. Non a caso, l'impatto è stato immediatamente visibile. Il danno all'economia e al sistema finanziario russi include: la svalutazione del rublo (di oltre il 25% rispetto al dollaro nell'ultimo mese in un contesto di elevata volatilità). Questa è avvenuta all’inizio.

Ora il rublo in seguito alle decisioni prese dal Governatore Elvira Nabuillina è tornato alla quotazione pre-invasione; la corsa agli sportelli da parte dei depositanti nelle banche nazionali; un cospicuo aumento del tasso ufficiale della Banca Centrale russa portato al 20% dal 9.5% e recentemente ridotto al 17%; imposizione di controlli sui movimenti dei capitali; chiusura del mercato azionario russo (ora parzialmente riaperto); crollo del valore delle società russe quotate nelle borse estere; rimozione delle azioni russe dagli indici globali; e il crollo del rating del credito sovrano della Russia allo status di spazzatura. Quello che ha portato al rafforzamento del rublo è stato l’obbligo del pagamento del gas (la cui vendita per ora non è stata sanzionata) in rubli visto che: a) sostiene il cambio nel breve periodo perché chi vorrà il gas dovrà comprare i rubli dalla Banca Centrale Russa vendendo dollari; b) quest’ultima incassa i dollari e li accumula nelle riserve. Le riserve precedenti sono state congelate dalle sanzioni ma in questo modo Mosca ha di nuovo delle riserve per difendere il cambio; c) offre un'immagine di una nazione sovrana e non dipendente dall'estero ma resta un problema: Mosca non può utilizzare lo stesso questi dollari per comprare i beni sotto sanzione; quelli che sostengono il tenore di vita della popolazione: dalla tecnologia ai beni sanitari. Ma questo rafforzamento è effimero. Nel senso che un'inflazione che veleggia oltre il 20% provoca un aumento dei prezzi dei beni di esportazione che potranno tornare ad essere competitivi attraverso una svalutazione del rublo. Nel caso ciò non dovesse avvenire ci sarebbe una ulteriore riduzione del Pil e del tenore di vita dei residenti. Tornando alle sanzioni.

In passato, alcune nazioni che sono state sanzionate hanno trovato il modo di mitigarne l’impatto. Anche nel caso in esame stanno facendo meno male del previsto visto che sono continuati gli acquisti di gas, petrolio e carbone anche da parte dei paesi sanzionatori. E poi va tenuto conto che i paesi che applicano le sanzioni potrebbero diventare essi stessi bersagli di rappresaglie da parte di chi le sta subendo. Gli effetti negativi per l’occidente dipendono dalla struttura economica interna di ogni paese e dal suo livello di interscambio con Mosca. Gli Stati Uniti ed il Regno Unito ad esempio sono i meno colpiti. Per l’Italia l’impatto è maggiore ma molto contenuto dal lato dell’interscambio commerciale. Le nostre esportazioni verso la Russia sono pari a 7,7 miliardi di euro, ovvero l’1,5% del totale e poco meno dello 0,5% del nostro Pil. Quello che, invece, costituisce il vero problema è l’importazione di gas, visto che quelle di petrolio e di altre materie prime minerarie sono più sostituibili. Ma anche in questo caso l’Italia sta messa meglio di altri. A questo punto, alcune considerazioni sembrano opportune. In primo luogo, la strategia della Russia di accumulare riserve straniere in tempo di pace, per finanziare la guerra, non sarà d’ora in poi più praticabile per via della guerra finanziaria che sta subendo. Inoltre, vi sono ulteriori ragioni per mettere in dubbio la scelta di alcuni paesi della dipendenza da potenziali stati canaglia per forniture di gas, petrolio e altre materie prime. Vedi in Europa il caso di Italia e Germania. Nel contempo, l'impatto a lungo termine di questa guerra economica finanziaria rimane tutt'altro che chiaro. Le pressioni preesistenti sui paesi per rallentare o ridimensionare l'integrazione globale potrebbero aumentare notevolmente, sebbene sia difficile conoscere il percorso e gli esiti.

Quello che possiamo dire è che non si torna indietro al mondo che prevaleva prima della pandemia, del conflitto russo-ucraino e delle sanzioni. Finora il processo della globalizzazione e del progresso tecnologico, operando in mercati economici liberi, avevano favorito la prosperità aggregata in tutto il mondo. Quella che è mancata però è stata una loro ‘umanizzazione’ attraverso un'azione collettiva globale per redistribuire meglio i loro frutti. In assenza di ciò pertanto si sono acuite la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, la frammentazione sociale ed il degrado ambientale. La globalizzazione umanizzata ed il progresso tecnologico però promuovono l'interesse pubblico solo se vengono perseguiti nel contesto di democrazie liberali. L'invasione russa dell'Ucraina - insieme alla conseguente frammentazione della finanza, del commercio e dell'innovazione tecnologica, nonché allo scombussolamento dei mercati dell'energia, delle materie prime e dei prodotti alimentari - sembra aver posto definitivamente fine al vecchio equilibrio che si era generato. Attualmente ci troviamo di fronte alle facce di un cubo di Rubik che cambiano in continuazione. Nelle tante combinazioni abbiamo quelle che conducono verso un ‘Antropocene Benigno’ che mobilita uno spirito collettivo transnazionale per affrontare i principali problemi globali del nostro tempo. Che puntano insomma sulla costruzione di un futuro prospero, nel quale le persone generano sistemi sociali, politici ed economici che promuovono il benessere di tutti, all'interno di comunità fiorenti e di un mondo migliore. Al contrario ci sono quelle che spingono verso un ‘Antropocene Tossico’ segnato dalla de-globalizzazione, da un crollo dell'azione collettiva globale, da un ritirarsi nei nazionalismi, dal collasso ambientale e dal pericolo crescente di nuovi conflitti. L’auspicio è che il nuovo G? che prenderà il posto del G20 andato in frantumi col conflitto russo-ucraino riuscirà a trovare convergenze tra le nazioni per un ‘Antropocene Benigno’.

 

Marco Boleo

 

 

 

 

 

 

 




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