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28/03/2022
La Populorum Progressio compie 55 anni
Montini non vuole prospettare l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza ma dice che occorre mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale e dunque umano.

Sembrano passati secoli, eppure sono passati solo cinquantacinque anni dal 1967, quando è stata pubblicata l’enciclica Populorum progressio, scritta da S. Paolo VI. La questione sociale acquista con la sua enciclica una dimensione mondiale. Il servizio all’uomo diventa una missione che la Chiesa, fedele al Vangelo, non può trascurare: un documento destinato a segnare la storia del pontificato di Paolo VI, sulla scia dell’intervento fatto all’Onu nell’ottobre di due anni prima: promuove i diritti umani di tutti i popoli sottosviluppati e parla della carenza di solidarietà evangelica nel Terzo mondo, e specialmente nell’America latina. Lo sviluppo integrale di ogni uomo e di tutti gli uomini è il nome nuovo della pace. A ciò si oppone lo squilibrio crescente tra le nazioni della terra. E’ un invito a spezzare la spirale perversa, per cui i popoli ricchi diventano sempre più ricchi, e quelli poveri sempre più poveri. L’enciclica sullo sviluppo dei popoli diceva bene che «il fine ultimo e fondamentale dello sviluppo non consiste nel solo aumento dei beni prodotti né nella sola ricerca del profitto e del predominio economico; non basta promuovere la tecnica perché la Terra diventi più umana da abitare; economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all’uomo che esse devono servire». Allora occorrono nuove forme di solidarietà. Con la Populorum progressio, la Chiesa annunciava agli esseri di buona volontà il carattere mondiale assunto dalla questione sociale e non si limitava a suggerire uno sguardo più largo, per abbracciare porzioni sempre più grandi di umanità, ma offriva un nuovo modello etico-sociale. La prima parte del documento è dedicata allo «sviluppo integrale».

In un momento storico nel quale la parola «sviluppo» era diventata di moda, il Papa avverte che lo sviluppo non può essere ridotto alla mera crescita economica, ma deve essere pensato in termini di sviluppo integrale, cioè che promuova tutti gli uomini e tutto l’uomo Si doveva operare per la pace, la giustizia e la solidarietà, con una visione in grado di cogliere l’orizzonte globale delle scelte sociali. La Popurolum progressio può essere considerata il documento programmatico della missione della Chiesa nell’era della globalizzazione. L’affermazione ha trovato sostegni e conferme, così come sono state chiarite le direzioni dello sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Sviluppo e progresso, rimangono, però, ancora delle descrizioni dei processi, non dicono molto sui fini ultimi del divenire storico-sociale. Più che esaltare il mito del progresso immanente alla ragione e alla libertà, la Chiesa collega lo sviluppo all’annuncio della redenzione cristiana, che non è un’indefinita e futuribile utopia, ma è già “sostanza della realtà”, nel senso che per essa “sono già presenti in noi le cose che si sperano: il tutto, la vita vera” (Spe salvi, 7). La carità cristiana propone grammatiche sociali universalizzanti e inclusive. Tale carità informa le scienze che, impregnate di essa, accompagneranno l’uomo alla ricerca di senso e di verità. L’educazione all’umanesimo solidale, deve partire dalla certezza del messaggio di speranza contenuto nella verità di Gesù Cristo. Spetta ad essa, di irradiare tale speranza, quale messaggio veicolato dalla ragione e dalla vita attiva, presso i popoli di ogni parte del mondo. Uno strumento per promuovere questa solidarietà è l’istituzione di un «fondo mondiale» e «la riconversione di certi sperperi, che sono frutto della paura o dell’orgoglio».

Paolo VI afferma anche che «la legge del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni internazionali» e che solo nel caso in cui i contraenti «si trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate» esso è «uno stimolo al progresso». Mentre se le condizioni sono troppo diseguali «i prezzi che si formano “liberamente” sul mercato possono, allora, condurre a risultati iniqui». Montini non vuole prospettare l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza ma dire che occorre però mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale, e dunque umano. Ostacoli da superare per uno sviluppo solidale dei popoli sono anche il nazionalismo e il razzismo. In mezzo secolo è cambiata la geografia politica; un mondo capitalistico egoista e invecchiato deve fare i conti con vivaci e affollati paesi emergenti, pieni di contraddizioni, e con una folla di poverissimi. I poveri di cui l’enciclica auspicava il progresso, nel frattempo cresciuti di numero, sono quelli che oggi si affacciano alle porte dell’Europa per sfuggire a miseria, guerre fratricide, oppressione imperialista, per sfuggire alla sete e alle alluvioni, alla fame e all’ignoranza, quelli che i paesi cristiani non esitano a rispedire in campi di concentramento africani pur di non incrinare il loro benessere, magari dopo avere sfruttato la vita e la salute degli immigrati nei nostri campi. I pontefici dicano pure quello che vogliono; le cose serie sono i propri interessi e commerci. Eppure è fra i poveri disperati e arrabbiati che trova facile ascolto l’invito alla violenza e al terrorismo; noi crediamo che la sicurezza dei nostri negozi e affari si difenda con altre truppe superarmate, con sistemi elettronici che si rivelano fragili e violabili, e invece l’unica ricetta, anche se scomoda, per rendere la terra meno violenta e più «adatta da abitare», sarebbe la giustizia.

Gilberto Minghetti




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