PRIMO PIANO
22/03/2022
Le conseguenze inflazionistiche della guerra
L'aumento dei beni alimentari sarà particolarmente dannoso per le fasce più povere della popolazione.

Le crisi globali delle materie prime tendono a causare gravi danni economici e sconvolgimenti politici. Si pensi solo a quanto accaduto nel 1973 e nel 1979 ed a cavallo tra il 2010 ed il 2011. Gli shock petroliferi degli anni '70 hanno lasciato le economie occidentali con un'inflazione galoppante e profonde recessioni. L’entrata in scena per la prima volta della stagflazione (terminologia dei keynesiani) o della slumpflazione (terminologia dei monetaristi). I proventi derivanti dai rincari del petrolio hanno anche contribuito a sostenere l'Unione Sovietica ed hanno alimentato l'esportazione dell'estremismo saudita. L'impennata dei prezzi dei cereali nel 2010 e nel 2011 da parte sua, invece, è stata l'innesco delle proteste di piazza che hanno portato alla ‘primavera araba’ ed al rovesciamento di alcuni dittatori. Attualmente la reazione brusca dei prezzi del petrolio nell'ultimo mese, sulla scia dell'invasione russa dell'Ucraina, fa sorgere una domanda inquietante: l'economia globale sta ora assistendo ad uno shock petrolifero stile anni '70 oltre che ad una crisi dell'offerta stile fine anni '40? A dire il vero, nessun economista si aspetta che l'inflazione nel mondo industrializzato raggiunga le vertiginose vette a due cifre di quegli episodi. Tuttavia, lo shock petrolifero avrà una dolorosa eredità. Secondo i dati diffusi il 10 marzo scorso, a febbraio l'inflazione dei prezzi al consumo negli Usa ha raggiunto il 7,9% su base annua: il valore massimo negli ultimi 40 anni. Mentre nell’Eurozona ha superato la soglia del 5%. Prima dello scoppio della guerra ci si aspettava che i prezzi scendessero dal tetto raggiunto in seguito agli effetti economici negativi della pandemia da Covid-19: pensando che il peggio fosse passato.

Ora il nuovo consenso è che l'inflazione rimarrà elevata in America, Europa e altrove nei prossimi mesi. E come se ci fosse bisogno di altre cattive notizie, i lockdown in alcune parti della Cina, incluso il polo tecnologico di Shenzhen, potrebbero aumentare le tensioni nella catena di approvvigionamento globale. Pertanto ora negli Usa ci si aspetta che l'inflazione nel 2022 raggiunga una media del 7%: in aumento rispetto alla precedente previsione del 6,3%. Nell’Eurozona si pensa ad un aumento ancora maggiore: con un'inflazione media del 6% quest'anno, e ben al di sopra della precedente previsione del 4,4%. La criticità è maggiore nel vecchio continente a causa della sua elevata dipendenza dal gas russo, che copre circa il 45% delle sue importazioni. A dimostrazione di quanto possano essere perniciose queste spinte al rialzo, ci si aspetta un aumento dell’inflazione perfino in Giappone, dove la deflazione è stata a lungo la minaccia più grande. Finora gli analisti si aspettano un aumento relativamente modesto dell'inflazione complessiva nei mercati emergenti. Ma l'aumento dei beni alimentari sarà particolarmente dannoso per le fasce più povere della popolazione. Da queste previsioni emergono due questioni correlate. La prima è se l'attuale aumento dei prezzi del petrolio si tradurrà in un'inflazione elevata nel lungo periodo. Questo costituirebbe un rischio se più persone considerassero questo evento come un fatto compiuto e rivendicassero di conseguenza consistenti aumenti salariali. Su questo versante però è presente un cauto ottimismo.

C’è, infatti, molta evidenza teorica ed empirica che mostra che la connessione tra l’aumento dei prezzi del petrolio e l'inflazione al netto dei rincari dei prodotti energetici è piuttosto debole. Nello specifico la banca d’affari Goldman Sachs, secondo quanto riportato dal settimanale economico inglese ‘The Economist’ (Mar 14th, 2022), stima che un aumento del 10% dei prezzi del greggio porta a un aumento di quasi lo 0,3% dell'inflazione complessiva negli Usa e ad un aumento di circa lo 0,03% nell'inflazione core (quella che esclude le variazioni dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia). Questo aiuta a comprendere perché i prezzi di mercato per l'inflazione a lungo termine rimangono relativamente contenuti. In siffatto scenario inflazionistico resta da chiedersi quali politiche verranno scelte dai banchieri centrali. Mentre per questi ultimi le decisioni da prendere per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia non erano scontate, riguardo agli shock petroliferi hanno più certezze. L'opinione diffusa negli ultimi decenni è che, semmai, potrebbe essere necessario un sostegno fiscale e monetario, perché l'aumento dei prezzi dell'energia agisce come un freno ai consumi. Ma bisognerebbe vedere se ci sono i margini per attuarlo. Ciò è particolarmente vero per l'Europa, dove è probabile che i contraccolpi alla crescita saranno più elevati. Per questo il 10 marzo scorso la Banca Centrale Europea ha sorpreso i mercati annunciando che avrebbe ridotto più repentinamente l’ammontare degli acquisti di titoli del debito sovrano dei singoli paesi.

Accelerando insomma la fuoriuscita dagli stimoli monetari. In parole povere su riducono gli stimoli, non li si porta a zero e tutto dipenderà dai dati che emergeranno e non dalle carte dei tarocchi. Pertanto, se lo shock da materie prime dovesse nuocere alla crescita economica (e molto probabilmente accadrà), si valuterà quanto intenso sarà il vuoto di crescita ed il meccanismo di riequilibrio da esso innescato, soprattutto in termini inflazionistici. Negli Usa, dove gli svantaggi economici della guerra in Ucraina sono più mitigati e l'inflazione è stata ostinatamente alta per mesi, è improbabile che la Fed venga dissuasa dall'aumentare i tassi come ha già annunciato nei mesi scorsi. Ma anche Jerome Powell, il suo Governatore, dedicherà sicuramente molto tempo a parlare di rischi geopolitici e delle loro conseguenze. Com’è noto è stato già abbastanza difficile per i banchieri centrali ottenere una buona narrazione degli eventi economici lo scorso anno, data la pandemia e gli intoppi della catena di approvvigionamento. Ora devono anche pensare alle conseguenze della guerra. Il nodo che dovranno sciogliere però è intricato. Non vorrei vestire i loro panni. Sanno bene che una politica monetaria restrittiva attuata durante uno shock dal lato dell’offerta potrebbe risultare dannosa alla crescita economica ma hanno consapevolezza nel contempo che una di segno opposto potrebbe alimentare un’inflazione da domanda. Tenendo presente che non ha nemmeno molto senso attuare delle espansioni fiscali. Riassumendo stimoli di domanda in presenza di shock di offerta generano inflazione. Che fare? Come accennato sopra in base ai dati che emergeranno sull’inflazione andrebbe ricercato un giusto compromesso tra crescita ed inflazione. Tenendo presente che una volta somministrato uno stimolo monetario e/o fiscale sarà difficile eliminarlo.

Marco Boleo




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet