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14/03/2022
Centro e popolarismo
Il popolarismo presenta caratteristiche distinte e distanti dalle forze politiche che si identificano con una tradizione storico-culturale e con taluni programmi che, non raramente, le rendono piĆ¹ compatibili con la sinistra

Lo storico Renzo De Felice nel lontano 1984, commentando i risultati delle elezioni svoltesi a giugno e che registrarono una battuta d’arresto della Dc (dal 33,2 per cento al 26,6) ed una tenuta del Pci (con il Pdup dal 27,8 al 26,5) anche per l’effetto emozionale della morte di Enrico Berlinguer avvenuta una settimana prima del voto, “rimproverava”, in un articolo significativamente intitolato “Gli scheletri nell’armadio dei partiti di centro”, per ”l’insistenza, la protervia, in qualche caso, con cui liberali e repubblicani si sono voluti presentare come partiti ‘di sinistra’ ”. Ne auspicava la coerenza nel mantenere “della democrazia una concezione al tempo stesso moderna e classica … non correre dietro ai miti … di rimasticature della democrazia in chiave ‘progressista’”. In effetti il richiamo del biografo di Mussolini si inquadrava in una storia, quella dei due partiti menzionati, che avevano supportato la non breve esperienza centrista degasperiana e mantenuto, anche nella successiva fase di apertura al Psi, una propria identità, anche rispetto alla sinistra. “Camuffarsi da partiti di sinistra - aggiungeva - non può avere che la conseguenza di smarrire la propria fisionomia e ragion d’essere, confondendosi con gli altri, portare acqua al loro mulino e deludere e frustrare le attese dei settori più avanzata e moderni del Paese, spingendoli o a rassegnarsi all’immobilismo o a puntare sulla roulette russa di nuovi esperimenti politici destinati ad aggravare la situazione”.

In buona sostanza per De Felice il “centro” che si doveva ben distinguere dalla sinistra, era configurabile specificatamente nel Pli e nel Pri. Questa analisi ci aiuta a fissare, nella geometria politica di allora, un concetto utile anche per l’oggi, e cioè i confini e le caratteristiche di un centro - quello dei partiti “risorgimentali” - che si distingueva dalla Dc in quanto forza politica con una sua tradizione più specifica ed articolata. Tali forze avevano un patrimonio culturale proprio, innanzitutto mazziniano, laico e liberista, quindi con caratteri distintivi ben evidenti rispetto ai connotati del ”partito cristiano”. Va da sé che l’alleanza con la Dc, oltre agli aspetti puramente legati alle logiche di governo, risentiva di quella influenza crociana sulla cultura risorgimentale che aveva portato il filosofo nato a Pescasseroli a scrivere, nel 1942, un saggio significativamente intitolato “Perché non possiamo non dirci cristiani”. Tale ragionevolezza crociana oggi, purtroppo , appare ininfluente. Profondamente differenti erano allora e lo sono tutt’oggi i connotati culturali e politici del “centro” di ispirazione cristiana. La centralità democristiana originava dal popolarismo sturziano e successivamente dalle elaborazioni della cultura cattolica che risaliva alle prime Encicliche sociali e che, negli anni a cavallo della fine della guerra, produsse il “Codice di Camaldoli” e le “Idee ricostruttive”. Essa riceveva ispirazione dagli stessi radiomessaggi di Pio XII sulla concezione della democrazia, oltre che dai semi delle idee mariteniane. E poi dal fermento culturale che animò i convegni di San Pellegrino, una stagione troppo presto archiviata.

D’altra parte negli anni del centrismo e cioè della collaborazione della DC con i partiti di cultura risorgimentale, si realizzò un amalgama politico e programmatico che, tuttavia, non cancellò le differenti identità. Questi brevi riferimenti intendono confermare come, sostanzialmente, la storia delle vicende politiche italiane ci dovrebbe ricordare che non è corretto fare di “tutt’erba un centro”, nel senso che se volessimo, su tale ambito politico, appunto il ”centro”, semplificare il discorso e prenderlo in considerazione come spazio complessivo omogeneo e a se stante, dovremmo per chiarezza, quantomeno, distinguere le differenti culture politiche che vi abitavano e che , tutt’ora, non possono non emergere. Questo per quanto riguarda il retaggio storico rispetto alla questione della individuazione di cosa sia propriamente il “centro” nella politica italiana. Queste distinzioni sui caratteri storico politici delle forze definibili di centro non possono non essere considerate di fronte alle “novità” che si vanno sviluppando per il frantumarsi di alcuni settori della sinistra post comunista. Dalle vibrazioni politiche del Pd, infatti, sono schizzate fuori due schegge: quella che si denomina “Italia Viva” di Matteo Renzi, peraltro, per qualche anno segretario del Pd e quella di Carlo Calenda che sin dall’inizio si è presentata come espressione di una cultura liberal-confindustriale e che ha dato vita, da poco, al partito “Azione”. Non è agevole connotare il carattere culturale del partito dell’ex presidente del consiglio, già sindaco di Firenze, per il suo forte leaderismo e pragmatismo, potremmo aggiungere anche spregiudicatezza. Dopo il caleidoscopio dei convegni della Leopolda, l’ultimo rilancio verso il centro - quello del “polo del buonsenso” - è intriso di un generico tatticismo autoreferenziale ( “ho l’impressione che ci sia già, ma non ha un leader”). Il candidato a sindaco di Roma, invece, nel primo congresso del suo nuovo partito, svoltosi recentemente, ha sintetizzato il riferimento storico culturale sul quale intende impostarne la traiettoria politica, quello, cioè, del Partito d’Azione.

Questo ebbe vita intensa, ma breve, di uomini e di proposte, alla Costituente e per qualche anno successivo, prima di scomparire, non mancando di riemergere, come un fiume carsico, in idee e personaggi nel campo della sinistra politica italiana non marxista. Si era sempre avvertito in questa formazione politica un retaggio storico culturale di ispirazione risorgimentale, con un connotato più specifico, non mancando, infatti, una influenza massonica intesa come “religione civile”. E non è un caso che la prima alleanza organica di Azione sia stata quella con il Partito Radicale di Emma Bonino, uniti da una forte ispirazione laicista, con ciò chiarendo, se non altro, il confine netto rispetto a tutto ciò che può riferirsi a valori e programmi di una forza politica di ispirazione cristiana. Infatti, è soprattutto sull’affermazione legislativa dei diritti individuali - dal riconoscimento del trans gender fino alla eutanasia - che Azione riallaccia, episodicamente, lo stesso rapporto con il Pd. E’ evidente, quindi , convenendo con lo stesso Calenda, che la definizione di centro risulterebbe obbiettivamente un po’ stretta, anche lui, comunque, non rinunciando a formulazioni vaghe come quella, in polemica con Renzi, del “polo della serietà”. Da quanto detto ne deriva che il popolarismo presenta caratteristiche distinte e distanti da queste forze politiche che si identificano con una tradizione storico-culturale e con taluni programmi che, non raramente, le rendono più compatibili con la sinistra che con il popolarismo di ispirazione cristiana. Ma occorre aggiungere anche qualcos’altro di quello che alcuni amici definiscono di “prepolitico”, tuttavia non ignorabile qualora si volesse lavorare per costruire formazioni, alleanze o solo politiche volte ad una governabilità non deperibile. Volendo dire le cose come stanno , in tali forze politiche, al fondo, vi è ancora il retaggio di un integralismo neoilluminista che si esprime come incompatibilità della fede con la libertà di pensiero e di azione.

Come scrisse, a suo tempo, don Gianni Baget, che molto contribuì alla fondazione del centrismo di Forza Italia, apportandovi un connotato cattolico-liberale, “e’ un retaggio che porta a porre la fede e la ragione come elementi di antitesi: se c’è fede non c’è ragione: e se c’è ragione la fede non ha senso di esistere”; aggiungendo: “ l’assioma in base al quale la sinistra intellettuale opera le proprie delegittimazioni potrebbe essere il seguente: il cristiano, se tale, non pensa: e se pensa , come tale, non è cristiano”. E’ un discrimine che riemerge sempre, un dogma ideologico che sentiamo riaffiorare quando la politica affronta temi che riguardano questioni strutturali della società civile come la famiglia, la tutela della vita, la scuola, i diritti ed anche le politiche sociali. Coloro che ritengono necessario ricostruire, preferenzialmente, una collaborazione tra le diverse compagini di centro presenti nell’odierna incerta offerta politica, dovrebbero considerare questi aspetti e regolarsi di conseguenza, quanto meno nell’avviare un confronto culturale che eviti l’azzeramento delle indispensabili identità. Se si deve tentare di superare il paradosso tutto italiano, cioè del Paese nel quale nacque il popolarismo, e che invece lo ha visto drammaticamente tramontare a differenza di altri ambiti europei, occorre avere chiarezza di idee per la formulazione dei programmi e delle alleanze, alfine di ricostruire un orizzonte politico che esalti e non calpesti una tradizione di tutto rispetto, quella cattolico popolare, che molto ha rappresentato sul piano storico, culturale, sociale e politico. Con riferimento al recente avvio di iniziative tese ad arrestare e a superare quell’ ”arretramento delle forze di ispirazione cristiana”, avremo modo, prossimamente, di intervenire per alimentare un confronto che, si spera, conduca ad utili chiarimenti.

Pietro Giubilo




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