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04/03/2022
La difficile scelta dei Banchieri Centrali e dei Governi
L’economia mondiale, e non solo quella europea, è destinata ad essere investita da uno shock di enorme portata.

La Russia non è più la patria del socialismo reale ma nemmeno una democrazia che si sperava ne prendesse il posto dopo la transizione da una ‘economia pianificata’ ad una di ‘mercato’. Un punto essenziale della questione russa riguarda, infatti, l'approccio ideologico col quale fu affrontata la transizione: priorità agli obiettivi economici di privatizzazione e liberalizzazione, nella convinzione ingenua e sfrontata che la democrazia ne sarebbe scaturita come sottoprodotto. Nella certezza che tutto dipende dall'economia, comprese le istituzioni politiche e sociali. In altre parole la disarticolazione del comunismo fu fatta nella convinzione che esistesse una struttura che determinasse la sovrastruttura istituzionale e sociale, convinzione tipicamente di stampo comunista e neoliberista. Come la storia ci insegna siffatte speranze però sono andate deluse. Oggi la Russia è un’autarchia dove una ristretta élite di oligarchi si arricchisce grazie alle enormi ricchezze naturali presenti nel sottosuolo, lasciando la grande maggioranza della popolazione in condizioni misere. Questo si evince dalla coesistenza di enormi ricchezze naturali ed un volume di Pil risibile (di non molto superiore a quello della Spagna). Tutto ciò dipende dal fatto che gli ingenti introiti derivanti dalle esportazioni delle risorse naturali vengono spesi, investiti e imboscati altrove e nulla ricade sui cittadini russi. Va da se che se la Russia fosse divenuta una democrazia, oggi non ci sarebbe stato bisogno di parlare della NATO e della sua espansione verso est, di nessuna invasione dell'Ucraina e di nessun dibattito sul fatto che l'Occidente debba un maggiore rispetto alla civiltà russa.

Mettendo da parte questo controfattuale che lascia il tempo che trova, ed inserito solo per far presente che gli errori dell’Occidente sono iniziati trent’anni prima, torniamo sull’argomento delle sanzioni alla Russia del quale ci siamo occupati in un precedente articolo. Nell’impossibilità di aiutare l’Ucraina nel conflitto se non con l’invio di armi, infatti, come è noto il mondo occidentale ha fatto ricorso all’arma delle sanzioni economiche e commerciali. Queste ultime per forza di cose son dovute essere selettive e questo ne ha ridotto sin dall’inizio l’efficacia: sia per la reazione della Banca Centrale che per come sono state impostate. Il governatore della Banca centrale russa Elvira Nabiullina, uno dei banchieri centrali migliori al mondo, in un discorso video allo staff della Banca andato in onda il 02 marzo scorso, ha affermato che l'economia russa si è trovata ad affrontare una situazione estrema, qualcosa nelle sue parole che tutti speravano non accadesse. La Nabiullina ha affermato inoltre che l’Istituzione da lei governata, sta facendo tutto il possibile per aiutare il sistema finanziario russo a far fronte ad eventuali shock che potrebbero derivare sia dalla situazione contingente che dalle misure prese dal mondo occidentale. E per ora malgrado la borsa di Mosca sia chiusa da lunedì 28 febbraio son riusciti ad arrestare la caduta libera del rublo. Per due ragioni: 1) l’estromissione della Russia dallo SWIFT non ha riguardato tutte le banche ma il loro 70%; 2) l’autocrate Vladimir V. Putin, su consiglio del governatore Nabiullina, ha firmato un provvedimento che obbliga le società russe a convertire in rubli almeno l’80% delle loro entrate in valuta estera. Il che significa che le società russe che esportano (si pensi a Gazprom, ma anche molte altre) incassando dollari o euro, devono convertire in rubli queste attività.

Considerato che la Banca Centrale russa, per via delle sanzioni imposte, non può essere la controparte delle banche centrali occidentali (Fed, BCE, e BoE), queste società con un bilancio importante si sostituiscono alla banca centrale vendendo euro o dollari per acquistare rubli. In questo modo hanno contribuito a sostenere la quotazione del rublo. La lezione che abbiamo imparato è che se immobilizzi parzialmente le attività finanziarie russe investite in occidente, ma poi garantisci all’autocrate Putin flussi ininterrotti di valuta pregiata come corrispettivo dell'energia che importi (la sola Europa paga una bolletta di 800 milioni di euro al giorno) la conseguenza è che continui a trasferire risorse che verranno utilizzate per finanziare lo sforzo bellico. E allora che si fa? Per spezzare le reni alla Russia si potrebbero percorrere due strade che ad oggi però sono pressoché impraticabili: i) la rinuncia alle forniture russe da parte dell’Europa (fattibile nel medio-lungo periodo); ii) il crollo del prezzo del petrolio (l’export di greggio pesa il doppio di quello del gas) ottenibile solo attraverso una pesante recessione. Visto che nel frattempo l’OPEC ha comunicato che non aumenterà l’estrazione giornaliera di barili di petrolio ed i frackers americani del petrolio da scisti se ne infischiano di investire in nuovi pozzi, dato che la transizione energetica innescata da Biden, nel lungo periodo, renderà questa attività economica meno remunerativa. Gestire pertanto la situazione attuale da parte dei policymaker non è cosa di poco conto. L’economia mondiale, e non solo quella europea, è destinata ad essere investita da uno shock idiosincratico di enorme portata, proprio nel momento di maggior difficoltà nella gestione della congiuntura caratterizzata da un aumento dell’inflazione avvenuto ben prima dello scoppio della guerra. Quanto all’aumento dei prezzi, proprio per via del conflitto c’è da credere che le banche centrali adotteranno un approccio più graduale nell'aumentare i tassi, privilegiando la crescita all'inflazione. Nel vecchio continente, invece, son sicuro che la retorica della priorità della sicurezza (aumento delle spese per armamenti) e dell'indipendenza energetica credo che avrà la meglio sull’ortodossia di bilancio tedesca e sull'inflazione. C’è da sperarlo.

Marco Boleo




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