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26/02/2022
Mediterraneo frontiera di pace
Occorre innescare dei processi di fraternità per scongiurare il dominio dell'indifferenza.

Nei giorni in cui si materializza nel cuore dell'Europa una porzione rilevante di quella “terza guerra mondiale a pezzetti” reiteratamente denunciata da papa Francesco come scenario in atto, nel solco del “realismo profetico” di Giorgio La Pira, una qualificata rappresentanza di vescovi delle diocesi mediterranee e sindaci delle città che costellano le terre che abbracciano quello che il “sindaco santo” chiamava “il grande lago di Tiberiade” si sono dati appuntamento a Firenze, culla dell'umanesimo, per la seconda edizione di “Mediterraneo Frontiera di Pace”. Da mercoledì scorso e fino a domani, con oggi un momento di confronto comune, a due anni dall'incontro di Bari fortemente voluto dal presidente della Cei, cardinal Gualtiero Bassetti, che fu l'ultimo grande appuntamento “in presenza” prima dell'emergenza pandemica, due meeting paralleli di primi cittadini e presuli da tre continenti. Da Atene a Beirut, da Gerusalemme a Marsiglia, da Lampedusa a Sirte. Un'attenzione al Mare Nostrum, quella della Chiesa, che non è certo episodica. Il Santo Padre, impossibilitato da improvvise ragioni di salute a intervenire di persona, in molte occasioni ha indicato la centralità, drammatica ma anche provvidenziale, di un ambito geopolitico che lo storico Fernand Braudel definì “un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che dalle più modeste alle maggiori si tengono tutte per mano. Strade ed ancora strade, ovvero tutto un sistema di circolazione. (...) nella totale pienezza del termine, uno spazio-movimento”.

Un generatore d'incontri e non un muro d'acqua, quindi. Come proprio il Pontefice ebbe a scrivere in apertura del suo Messaggio ai partecipanti alla VII Conferenza Rome MED Dialogues (Roma, 2-4 dicembre 2021), infatti, “Nonostante i regni e gli imperi dell’area mediterranea appartengano ormai al passato, il mare nostrum continua ad avere un’importanza geopolitica centrale, anche nel secolo attuale. Il Mediterraneo è luogo di frontiera, e quindi di incontro, di tre continenti, che non solo ne sono bagnati, ma che in esso si toccano l’un l’altro e sono quindi chiamati a convivere”. In quello stesso testo poi espresse concetti che sono davvero capaci di guidare nel necessaro discernimento in questo difficile frangente che siamo chiamati ad affrontare. Parole che vale davvero la pena di tener presente e rimeditare: “L’interconnessione incentrata su questo mare ci mostra, e non solo in modo simbolico, come tutto il Pianeta sia una grande casa comune e che le sorti di un Paese non possono essere indipendenti da quelle degli altri. Del resto, il concetto stesso di indipendenza sta mutando pericolosamente. Se in passato significava soprattutto la legittima rivendicazione di autonomia rispetto alle ingerenze o alle occupazioni di Stati esteri, nell’era contemporanea l’indipendenza sta assumendo un significato di “indifferenza” e “disinteresse” verso le sorti degli altri popoli. È necessario che la politica e la diplomazia si interroghino e facciano tutto il possibile per impedire che il processo di globalizzazione degeneri nella globalizzazione dell’indifferenza”. Occorre innescare dei processi di fraternità, insomma, per scongiurare il dominio dell'indifferenza. Su questo decisivo può essere il contributo della Chiesa e dalle città (ma anche delle communites che sono i corpi intermedi, possiamo aggiungere senza timore do smentita o d'essere fuori tema). Come ha evidenziato nella sua Prolusione d'apertura, a proposito della cinque giorni fiorentina, il presidente dei vescovi italiani, la sfida è “restituire alle nostre Chiese e alle nostre società il respiro mediterraneo; riscoprire l’anima autentica che ci accomuna da secoli; promuovere la ricostruzione di un luogo di dialogo e di pace”.

Una grande questione glocale, potremmo dire. Richiamando ancora un ampio passaggio del discorso bassettiamo, “Le città, infatti, essendo a rischio di distruzione, detengono uno ius ad pacem in nome del loro intrinseco diritto ad esistere. Per questo motivo, al di là delle divisioni geopolitiche degli Stati cui appartengono, esse possono collaborare all’unità del mondo e cooperare insieme. Le città, pertanto, rivendicano giustamente un ruolo internazionale, ma potranno partecipare efficacemente al dibattito pubblico, soltanto se sapranno crescere come nuove realtà, al tempo stesso sociali e spirituali. In queste nuove realtà, tutte le persone umane potranno sviluppare pienamente la loro vocazione e dar vita a una civiltà che, usando le parole di La Pira, potremo definire come la civiltà del pane e della grazia”. Quello che si sta svolgendo a Firenze, in un tempo così gravido di preoccupazione, è un punto di (ri)partenza, guardando alle condizioni date senza rassegnazione e scongiurando il rischio di cedere all'esculturazione. Come il Papa disse a Bari, “Come Gesù operò in un contesto eterogeneo di culture e credenze, così noi ci collochiamo in un quadro poliedrico e multiforme, lacerato da divisioni e diseguaglianze, che ne aumentano l’instabilità. In questo epicentro di profonde linee di rottura e di conflitti economici, religiosi, confessionali e politici, siamo chiamati a offrire la nostra testimonianza di unità e di pace. Lo facciamo a partire dalla nostra fede e dall’appartenenza alla Chiesa, chiedendoci quale sia il contributo che, come discepoli del Signore, possiamo offrire a tutti gli uomini e le donne dell’area mediterranea”. Non possiamo chiamarci fuori, ora meno che mai.

Marco Margrita




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