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17/06/2020
Le trappole interpretative del mercato del lavoro al tempo del Covid-19
l’insieme dei dati raccolti è incompleto e questo non permette di tirare delle conclusioni sulle dinamiche presenti e future nel mercato del lavoro

Le complessità che stanno dietro i numeri del mercato del lavoro, al tempo del Covid-19, non permettono di avere un’analisi chiara per spiegare quello che sta succedendo dove si incontrano la domanda e l’offerta di lavoro. Questo dipende dal fatto che vi sono problemi di rilevazione, di analisi dei dati e di previsione degli andamenti futuri. La raccolta dei dati che consente di monitorare il funzionamento del mercato del lavoro, infatti, deriva da interviste a campione che vengono effettuate dall’Istituto di Statistica dei singoli Paesi. Ogni mese viene interpellato un campione di persone di riferimento attraverso il telefono, Internet o con un incontro frontale. Ripetendo la procedura nei trimestri successivi. L’avvento della pandemia interrompendo o limitando bruscamente queste procedure ha condizionato la raccolta dei dati e questo ha impedito il monitoraggio dell’andamento del mercato del lavoro. Non dimenticando un altro problema di natura definitoria. Una persona viene considerata disoccupata se al momento dell’intervista la settimana precedente non ha lavorato o non ha cercato attivamente il lavoro: in rete, all’ufficio collocamento o interpellando un conoscente. La pandemia in questo caso ha influenzato negativamente la ricerca del lavoro attraverso due canali: I) reso più complicata la ricerca; II) scoraggiato la ricerca per fattori contingenti legati alla pandemia (misure attese di lockdown). Questi due fattori spiegano bene il travaso, osservato in tutti i Paesi ed in special modo in Italia, che vi è stato dalla disoccupazione all’inattività.

Insomma stando così le cose l’insieme dei dati che vengono raccolti è incompleto e questo non permette di tirare delle conclusioni sulle dinamiche presenti e future nel mercato del lavoro. Ma dopo questi caveat veniamo ai dati. Quelli di aprile relativi ai Paesi dell’Eurozona e agli Stati Uniti ci consegnano delle dinamiche molto diverse tra loro. Nel bel Paese, infatti, il tasso di disoccupazione si è ridotto del 2% per quanto riguarda quello totale mentre del 4% per quanto riguarda quello dei giovani. Negli Usa, invece, la disoccupazione totale e dei giovani in marcato aumento ha superato le due cifre: anche se nell’ultimo dato reso disponibile è aumentata meno del previsto. Vediamo meglio. Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti si è ridotto al 13,3% a maggio, rispetto al 14,7% di aprile, contrariamente a tutte le previsioni, che ipotizzavano un valore pari al 20%. Secondo il Ministero del Lavoro americano: “L’occupazione è cresciuta notevolmente nei settori del tempo libero e dell'ospitalità, dell'edilizia, dell'istruzione, dei servizi sanitari e del commercio al dettaglio, anche se il lavoro statale ha continuato a diminuire". Questo dato è risultato inferiore rispetto a quello previsto perché non sono stati inclusi nel calcolo i lavoratori che usufruiscono di schemi di protezione del lavoro (che percepiscono il sussidio di disoccupazione). Anche in Italia ad aprile (ultimo dato disponibile e ultimo mese di pieno lockdown) il tasso di disoccupazione è inaspettatamente diminuito al 6,3%, dall'8% di marzo, ma nel nostro Paese gli occupati sono diminuiti ad aprile dell'1,2%, per cui la diminuzione del tasso di disoccupazione è stata determinata solo dalla riduzione delle forze di lavoro, pari al 3%, riconducibile all'aumento degli inattivi (+2,8%) (scoraggiati, come ricordato in precedenza, dal ricercare lavoro viste le scarse disponibilità di lavoro esistenti). Naturalmente la dinamica del tasso di disoccupazione sarebbe stata assai ben diversa senza la Cassa Integrazione Guadagni (CIG): le ore concesse ad aprile sono schizzate dai 20 milioni di marzo a 772 (delle quali 713 derivano dalla CIG ordinaria, 12 da quella straordinaria e 47 da quella in deroga). Il tasso di disoccupazione "nascosto" dalla CIG pertanto si può stimare intorno al 20-25% della forza lavoro ad aprile, contro lo 0,6% di marzo.

Il tasso di disoccupazione effettivo italiano sarebbe stato pertanto ben superiore a quello comparabile statunitense di almeno il 10%. La scelta di far ricorso alla CIG nel breve periodo è ottimale per due ragioni: 1) protegge il posto di lavoro dagli shock di domanda aggregata; 2) aiuta imprese e lavoratori a far fronte ad una crisi temporanea con la perdita e la ricerca del lavoro che vengono annullate. Nel medio-lungo periodo, invece, sorgono dei problemi. Legati al fatto che le persone in CIG che svolgono lavori che scompariranno a causa del Covid-19 shock avranno difficoltà a ricollocarsi. Vediamo meglio. Mentre una impresa trae vantaggio dall’avere lavoratori in CIG visto che risolve i suoi problemi di liquidità al lavoratore non conviene essere cassintegrato per tre ragioni: I) non può cumulare un altro reddito; II) non svolge alcuna formazione; III) invecchia senza lavorare e svalutando il suo capitale umano. Prima di chiudere un’altra tendenza emersa nel mercato del lavoro col Covid-19. Gli ultimi dati sulla disoccupazione indicano che le donne che hanno perso il lavoro sono il 10% in più rispetto agli uomini. Mentre la grande recessione iniziata nel 2008 ha colpito settori come l'edilizia e l'industria manifatturiera, con una prevalenza di lavoratori maschi, la crisi causata dal lockdown per contenere la pandemia ha interessato di più il settore delle vendite al dettaglio. Ma in realtà non è solo questa la spiegazione. Secondo l'economista Elise Gould, anche nei settori a prevalenza maschile sono le donne a perdere maggiormente il lavoro. A incidere su questo fenomeno è anche il fatto che sulle donne è caduto il peso della cura dei figli rimasti a casa. Insomma, tutto il mondo è paese.

Marco Boleo
 




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