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15/06/2020
L’Europa e gli italiani: un rapporto ambivalente, quasi psicanalitico
Sedotti e abbandonati dal mito dell’Europa?

Il tema del sovranismo nazionale contrapposto alla piena cittadinanza europea è centrale nel dibattito attuale, anche nel Movimento, a leggere i tanti contributi posti specie in questi mesi, con fertili idee, come l’ultima lucida analisi portata da Domenico Delle Foglie sui “Fondi Europei, l’Italia scelga un mix fra manutenzione e innovazione”. Nell’immaginario collettivo del nostro Paese, spesso alimentato da un dibattito fazioso e populista, non si fanno emergere nitidamente i termini essenziali del confronto di idee per costruire, non solo per demolire strumentalmente le posizioni filo europeiste, in un Paese fondatore della Unione. Quindi giustamente “parlare di normalità, richiede serenità ed accortezza”, specie ora che dobbiamo gradualmente uscire dall’emergenza globale della pandemia, per ritrovare la strada smarrita dello sviluppo, della crescita e del lavoro. Questa non può che avvenire nel nostro caro e vecchio continente, perché l’alternativa sarebbe solo una deriva sudamericana.

Quindi rispetto al Piano proposto in sede europea dobbiamo essere aperti e rigorosi nel presentare idee e progetti compatibili per investire al meglio i 172 miliardi di risorse: per una sanità autenticamente pubblica, per la digitalizzazione e riconversione verde del nostro apparato pubblico e produttivo, combattendo le tante diseguaglianze ed ingiustizie presenti, non solo lungo l’asse Sud e Nord, ma tra le aree forti e quelle deboli del Paese. Per questo dobbiamo tutti esercitare concretezza e responsabilità, nel sostenere le migliori buone prassi utili per un vero salto di qualità delle politiche pubbliche e private italiane, facendo emergere anche una nuova classe dirigente, fin dalle prossime elezioni regionali ed amministrative, dove il Mcl ha tante radici feconde. Solo così dal basso, costantemente e tenacemente, si potrà invertire la china del declino ineluttabile di un Paese, sempre in bilico, sospeso tra sogni e realtà, che vede ancora, come testimoniato dagli ultimi sondaggi, l’Europa come una matrigna, non come contesto dove ritrovare maggiore fiducia e sostegno per uscire insieme da questa drammatica crisi pandemica, che sta scuotendo il mondo dalle fondamenta dove nulla sarà come prima.

Il Centro studi Cise, ha in questi giorni pubblicato una interessante analisi sugli “Italiani spaccati sull’Europa, ma non è solo una questione di destra vs sinistra”, partendo da come incide l’emergenza sanitaria sull’atteggiamento degli italiani verso la UE e poi da un punto di vista socio-demografico e politico. Ebbene un grafico illustra chiaramente l’opzione “Rimanere nell’Unione Europea” per classe occupazionale e per genere, età, istruzione e regione di residenza. Qui le radici socioeconomiche del conflitto pro-anti Europa emergono con chiarezza: le classi a più alto livello di capitale economico e culturale hanno una probabilità significativamente maggiore di scegliere il REMAIN, (come i c.d. “professionisti socioculturali”), rispetto alle classi con più basso livello di capitale economico e culturale (commercianti, operai e disoccupati). Secondo queste analisi, da meglio approfondire, si sarebbero riposizionati sull’“Euroscetticismo” sia la  tanto citata classe operaia (blocco sociale storico della sinistra, ora in parte sovranista), insieme con il popolo delle c.d. “Partite Iva”, che invece provenivano dal bacino storico di destra. Solo una convergenza di ceti ed interessi in declino? O forse ancor più polarizzati lungo l’asse pubblico-privato, che ha drammaticamente diviso i ceti protetti da quelli più esposti alla libera concorrenza ed alla crisi di sistema, come rimarcato più volte dal nostro economista Marco Boleo.

Ed allora la domanda “Che Fare?” che chiudeva Fontamara di Ignazio Silone è di piena attualità. Quale strada virtuosa può garantire una nuova rinascita dello spirito europeo delle origini, uscito anch’esso dalle tragedie durissime del secondo conflitto mondiale con lutti e distruzioni, che però ha avuto quella “lucida follia” di grandi visioni di prospettive, da parte di grandi uomini che, pur con ideologie e formazioni diverse, hanno saputo assicurare al nostro vecchio continente oltre 70 anni di pace e prosperità, con tenacia e perseveranza. Certamente ora non avendo più questi giganti della Storia, dobbiamo insistere nel metodo del confronto e mediazione di alto profilo tecnico e propositivo, ricercando il miglior compromesso possibile, con un mix di strategia e di pragmatismo, delineando la prospettiva 2020-30.


Sergio Venditti




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