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04/05/2020
La politica del nulla per governare sul niente
Riflessioni alienate sul Paese in declino

In un opuscoletto edito alcuni anni fa, un genitore dà consigli al figlio che vuole dedicarsi alla politica. Sono indicazioni spicciole, su come risultare un grande politico pur senza idealizzare grandi modelli amministrativi.

La raccomandazione più efficace è quella di non pensare ai grandi progetti per rendere bella e funzionale la città, bensì quella di accontentare i cittadini con ciò che risalta agli occhi, come ad esempio aggiustare o aggiungere una panchina della piazza, sistemare le buche della strada, organizzare eventi di bassa lega attraverso i quali la gente capisce ciò che vuole, secondo i propri bisogni e modi di pensare, e poi accontentarli con la degustazione di qualche prodotto locale elogiato come eccellenza, che meriterebbe un mercato ben più ampio di quello strettamente territoriale.

Perché questo? Semplicemente perché i grandi progetti richiedono tempo e non è detto che sia lui stesso a goderne i frutti, magari toccherà al suo successore;  i grandi eventi diventano incomprensibili, specialmente se dovessero intervenire professoroni soliti ad usare termini così difficili da stordire l’uditorio, pertanto i cittadini non ne comprenderebbero il messaggio, seppure importante, e le cose interessanti enunciate sarebbero apprezzate solo dai pochi che conoscono la materia, ma proprio perché la conoscono non credono a ciò che si dice Questi ultimi, oltretutto, sono troppo pochi e, di solito, non ascoltati in una campagna elettorale, quindi non portano voti.

Ciò che resta sono, dunque, le panchine, le buche e, magari, qualche piantina disseminata per la città, ma ben visibile all’occhio della cittadinanza.

Ovviamente, questo lavoro va fatto nell’ultimo periodo di mandato amministrativo, perché la gente ha la memoria corta e, tutto ciò che viene fatto nei quattro anni precedenti, verrebbe dimenticato nel tempo.

Se, per puro caso, il progetto di una grande opera dovesse essere approvato durante il mandato amministrativo, è necessario far prolungare i lavori il più a lungo possibile, perché è necessario dimostrare che l’Amministrazione stia realizzando qualcosa di utile e se i tempi si prolungano all’infinito la colpa deve essere sempre di un Ente superiore, della burocrazia, o di qualche Associazione ambientalista che, per tornaconti personali, rallentano i lavori.

Passiamo, ora, dalla letteratura alla realtà: il CODI19 ha messo a nudo una realtà che, pur essendo da tempo sotto gli occhi di tutti, nessuno ha pensato a risanare con interventi mirati e strutturali; anzi, solo oggi si denuncia che i tagli su sanità, ricerca e scuola, sono stati fatti in maniera dissennata, senza un regolare obiettivo da raggiungere, se non garantire il bilancio basato sul risparmio; quindi, in mancanza di una seria visione di società, la colpa dei ritardi è accollata allo Stato che non manda i finanziamenti e dell’Europa che tentenna bloccando gli stanziamenti, perché non raggiunge l’equilibrio tra le varie strutture che compongono l’UE.

Vogliamo alzare ancora l’asticella e giungere a fare esempi più concreti?

Dopo le elezioni del 2018, in seguito al crollo del ponte Morandi di Genova, il Governo, allora in carica, ha denunciato l’esistenza di centinaia di cantieri bloccati che darebbero migliaia di posti di lavoro; la colpa è della solita lungaggine burocratica e degli ambientalisti che si oppongono ostacolando lo sblocco di tali opere.

Solo oggi Renzi ci ricorda tale situazione e vorrebbe lo sblocco dei cantieri; ma, per l’ovvia necessità di “apparire” e conquistare fette di elettorato, dimentica che i cantieri sono bloccati da ben prima delle elezioni del 2018 e che, in quegli anni, i governi portavano la targa renziana. Memoria corta? Assolutamente no; pensiamo un attimino alla giustizia: in uno dei suoi tanti interventi, al Salone del mobile Renzi tuonava: "Quando pensiamo che la giustizia dovrebbe funzionare meglio, pensiamo una cosa vera". Allorché la giustizia vera ha toccato i “suoi uomini” si è scagliato contro il giustizialismo, mentre ora che si tratta di “fare la guerra” ai suoi avversari politici, sul tema della giustizia minaccia la stabilità del Governo, un giorno sì e l’altro pure.

Contemporaneamente, non bisogna dimenticare la strombazzata “elezione diretta del Sindaco d’Italia”, sapendo bene che c’è tutto un articolato costituzionale che prevede i termini della nomina del Presidente del consiglio dei Ministri, quindi la necessità, in questo caso, di una riforma della Carta costituzionale.

Ma avviciniamoci a fatti più recenti e gravi: nessuno parla delle centinaia di mafiosi che stanno uscendo dalle carceri e posti agli arresti domiciliari; nessuno dice, pur sapendolo, che a costoro bastano poche ore per dare ordini, riorganizzare le proprie strutture, imporre il proprio potere criminale sul territorio.

Ci chiediamo: ma, alla fine, di cosa si sta parlando? Si sta parlando del nulla, perché nel nulla la gente si disorienta; dopo aver creduto in un progetto che promette cambiamenti e lo vede irrealizzato perde fiducia in ogni cosa, in ogni valore, in tutto ciò che lo circonda, fino a giungere alla disperazione; quindi resta il deserto etico, il relativismo della morale, resta il niente che, più di ogni altra cosa, si riesce a governare.

Esempio di quanto si va affermando si materializza nelle apparizioni, in conferenza stampa, del premier Conte; dopo avere annunciato le tre fasi ha, più volte, addolcito la pillola affermando che stiamo andando bene; che entriamo nella fase due, senza abbandonare la fase uno, altrimenti si tornerebbe alla fase zero. Ma, si chiede la gente, i contenuti dove sono? Cosa è stato concretamente individuato per uscire da questo buio tunnel nel quale stiamo camminando? Si, ma la colpa è dell’Europa che non decide, che non si fida, che chiede condizioni, e la politica si scontra sulle condizionalità: un giorno si è d’accordo su una risposta, quello successivo un altro si sfila semplicemente per essere più visibile. Insomma, il nulla si sta facendo strada e la popolazione è sempre più disperata, disillusa al punto da essere stanca e, con la stanchezza, si adegua al quieto vivere, quindi al niente. Ecco, a questo punto si torna a governare sulle macerie di un globale annichilimento, così torna alla storiella della panchina, o della buca, che riempie gli occhi, ma lascia le mani vuote.

Alberto Fico
 




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