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15/04/2020
Il centro Italia abbandonato due volte
Da agosto 2016 a causa del terremoto ed ora per il Covid19

Il pensiero va agli effetti che la pandemia ha prodotto sulle nostre vite. Ma cosa accade alle categorie di coloro che sono senza risorse? Mentre, purtroppo, perdura la strage di persone morte per il Covid-19 e molte altre sono a rischio, il pensiero va agli effetti che la pandemia ha prodotto sulle nostre vite personali e di gruppo. È utile, a mio avviso, spendere una parola per chi è sfinito, senza più risorse; oltre ai disagi che la maggior parte delle persone soffre. C’è chi è disarmato e senza appigli.

Il primo pensiero va ai poveri. In Italia ce ne sono molti. Numeri impressionanti ma che influiscono poco sulle politiche sociali. Un ambito che fa un passo avanti e due indietro. Si scopre oggi, grazie al virus, che esistono famiglie che non hanno denaro per fare la spesa. Non esistono dati di chi non ha nulla o, dopo il virus, non ha più nulla. Un mondo parallelo, sotterraneo, fatto di mille accorgimenti e sotterfugi. Nella categoria si possono conteggiare molti: disoccupati, precari, lavoratori in nero, anziani, clandestini. È il mondo variegato dei non abbienti. Il linguaggio burocratese li chiama “incapienti”: meno di 600 euro al mese di reddito o di pensione. C’è chi non ha nemmeno 600 euro.

Ed oltre alla schiera di “disgraziati” di cui ho detto sopra, ci sono anche i terremotati: "noi non stiamo a casa dal 24 agosto 2016, ora 'prigionieri' del nulla". Per gli abitanti delle Sae di Arquata del Tronto (AP) questa è "una ferita che si è riaperta". Qui si sono organizzati uscendo il meno possibile, se il Covid colpisse sarebbe inevitabile la diffusione.

“Noi non stiamo a casa dal 24 agosto 2016”. Sono le parole scritte su un lenzuolo bianco appeso in uno dei tanti edifici pericolanti di Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno. Racchiudono tutto il dramma degli oltre 47mila sfollati del Sisma del Centro Italia. Tra questi ci sono circa 11mila persone, famiglie, coppie ma anche anziani, che da quasi quattro anni vivono in soluzioni abitative d’emergenza, alberghi o addirittura container e che oggi, a causa della pandemia da Coronavirus, sono costretti a passare lì, in luoghi piccoli, magari pericolanti, e soprattutto difficili da definire come “casa”, la loro quarantena obbligata. Per loro quest’emergenza è “un terremoto dentro un terremoto”. “Una ferita che si è riaperta”.

Elena Pascolini, psicologa e fondatrice dell’associazione Monte Vector, anche lei domiciliata al “Borgo 1”, il villaggio Sae di Arquata ci racconta che: “a soffrire di più le conseguenze dell’isolamento sono anziani e bambini, che proprio nei momenti aggregativi, ora negati, riuscivano a farsi forza per il trauma subito con il terremoto. Rimanere in casa, però, qui è più che mai categorico, soprattutto perché gli spazi sono piccoli, e il distanziamento sociale è praticamente impossibile: un singolo contagio potrebbe far nascere un focolaio.”

L’incognita più grande, cari lettori, è quella del “post Covid”. Il timore è che la ricostruzione, già lenta, possa bloccarsi del tutto. La speranza, invece, almeno del sindaco di Camerino, Sandro Sborgia, uno dei comuni più colpiti, è che il governo “non sia miope” e punti tutto proprio su questi territori: “Tra Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo siamo il cantiere più grande d’Europa, allora perché non far ripartire da qui l’economia?”.

Questi terremotati ancora oggi vivono nelle soluzioni abitative d’emergenza che sono costituite da piccole casette in legno che ormai hanno perso il loro carattere emergenziale e che spesso hanno sostituito interi paesi, rasi al suolo dal sisma, come ad Arquata del Tronto. Vedete, essi già con il terremoto hanno perso le abitudini di una vita e fino a qualche tempo fa, almeno potevano farsi compagnia, magari passando da una Sae all’altra, o stando al bar. E ora non possono. Consapevoli del rischio che si correrebbe se anche solo una persona del villaggio venisse contagiata non solo abbiamo spiegato a tutti le misure igieniche, ma abbiamo cercato di impedire il più possibile l’andirivieni dei familiari.

Così alcune persone hanno smesso di andare al lavoro, mentre altre, impossibilitate a fermarsi, stanno continuando a lavorare, prendendo tutte le precauzioni possibili. “Questa misura di autotutela, ci spiega Elena, per noi ha significato molto. Un solo caso creerebbe un effetto domino sugli anziani devastante”.

Tra le varie problematiche legate al post terremoto, infatti, questi territori hanno dovuto fare i conti anche con lo spopolamento. Molte famiglie hanno deciso di rimanere e di portare avanti i propri sogni e i propri progetti, ma per lo più sono rimasti gli anziani, troppo attaccati all’entroterra per “fuggire” verso la costa, ma allo stesso tempo oggi soggetti più a rischio per il Covid-19.

Però quello che fa più paura del Coronavirus stesso è il “post Covid”. Ci sono intere famiglie che vivono solo di quel poco turismo che vede proprio in questo periodo (quello cioè della fioritura di Castelluccio) la sua stagionalità. Sono persone che dal terremoto si sono azzerate anche economicamente, e per loro una sola stagione persa potrebbe essere il colpo finale e rischierebbe di far andar via chi ha deciso di resistere.

A preoccupare è anche la ricostruzione, in molti si chiedono se questa emergenza possa diventare l’ennesima scusa per bloccare tutto ancora. Qui tutti sono stati invitati alla resilienza ma se sottoponi un metallo a uno stress ulteriore come fa questo a riprendere la sua forma originale?

Cari lettori, questo è il triste destino dei terremotati: costretti a vivere isolati da quasi 4 anni, da quando il sisma ha distrutto tutto, comprese le loro vite. Ed ora il Coronavirus, un'emergenza nell'emergenza. Il Governo si ricorderà di loro?

Luca Cappelli




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