Occupazione, ore lavorate, crescita economica e produttività sono quattro variabili il cui andamento costituisce un buon indicatore dello stato di salute di un sistema economico. L’aumento dell’occupazione e delle ore lavorate, ad esempio, per risultare duraturo ’richiede’ una crescita del Pil che permane per più trimestri ed un aumento della produttività. Alla luce di queste considerazioni passiamo ad esaminare i dati del novembre scorso del mercato del lavoro italiano recentemente diffusi dall’Istat (9 gennaio). A prima vista le quantità e le percentuali diffuse dal nostro Istituto di Statistica descrivono uno scenario positivo: il record storico del tasso di occupazione e del numero degli occupati, un aumento dei rapporti di lavoro che prosegue a ritmi superiori rispetto a quelli del Pil e che riguarda in particolare il lavoro femminile ed i rapporti a tempo indeterminato. La Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo non ha mancato di esprimere tutta la sua soddisfazione, affermando che questi dati dimostrerebbero l’efficacia delle misure governative: “Il lavoro cresce? Merito delle politiche che abbiamo attivato in favore dell’occupazione stabile. E i 72 mila inattivi in meno sono il segnale che il Reddito di cittadinanza sta funzionando” [Il Fatto Quotidiano, 10 gennaio 2020]. La Ministra, insomma, in questa dichiarazione pirotecnica riesce ad inserirci tutto: dal Decreto Dignità sino al reddito di cittadinanza. Nulla di nuovo nel consueto ottimismo di facciata governativo, che questa volta però ha dalla sua numeri i numeri positivi sull’occupazione. Noi invece, abituati a guardare il lato oscuro dei numeri, facciamo osservare che nel mercato del lavoro italiano restano aperte importanti questioni strutturali (da non sottovalutare): dalla dinamica salariale stagnante, che riflette i mancati incrementi di produttività, all’incidenza del lavoro a termine, senza dimenticare le dinamiche demografiche. Ma vediamo meglio. La prima cosa che emerge da una lettura attenta dei dati è che vi è stato un travaso dinamico dai contratti a tempo determinato a quelli a tempo indeterminato, con un aumento nullo dell’occupazione totale. Pertanto non corrisponde l’affermazione della Ministra Catalfo secondo cui “l’occupazione cresce per merito delle politiche che abbiamo attivato sull’occupazione stabile”. La ripresa dei rapporti di lavoro dipendenti a tempo indeterminato, poi, va presa con le molle, visto che è stata condizionata dall’effetto degli incentivi pecuniari che sono stati messi a disposizione dal Governo alle imprese per trasformare i contratti a termine in tempo indeterminato. In proposito va tenuto conto che le ricerche effettuate sull’efficacia di tali incentivi nel medio e lungo termine, come ha ricordato tra gli altri Natale Forlani, dimostrano che “una volta esaurito l’effetto iniziale la percentuale dei rapporti a termine sul totale dei rapporti di lavoro dipendente tende a riportarsi sui livelli precedenti alla loro introduzione.”
Un altro dato da analizzare è quello del tasso di occupazione che ha toccato la cifra record del 59,4%. A nostro avviso anche in questo caso andrebbero riposte le bottiglie di spumante. Le ragioni delle nostre perplessità sono in questo caso di natura demografica. Il tasso di occupazione è, infatti, dato dal rapporto tra il numero di occupati (al numeratore) e la somma di occupati, disoccupati ed inattivi (al denominatore). Nell’ultimo anno (dal novembre 2018 al novembre 2019) il denominatore (occupati + disoccupati + inattivi) è diminuito di 111 mila unità. Quindi, quando il denominatore si riduce, il rapporto aumenta. Pertanto, con un andamento demografico negativo, basta che il totale degli occupati resti stabile o diminuisca meno ed ecco che il tasso di occupazione si innalza. E questo è esattamente ciò che è avvenuto nell’ultimo anno in Italia. Prima di chiudere vogliamo spendere alcune parole sull’aumento degli occupati e sull’effetto del reddito di cittadinanza sul mercato del lavoro. La Ministra ci dice che si vedono chiaramente gli effetti del decreto dignità. A nostro avviso, invece, sembra una affermazione priva di fondamento. Gli occupati, infatti, sono aumentati di circa l’1% (285 mila unità) mentre il Pil è aumentato anch’esso di circa l’1%. In altre parole si è avuto un aumento dello stock degli occupati pari a quello del Pil nominale: tutto in linea con la legge di David Ricardo che afferma che la crescita dell’occupazione è data dalla crescita del Pil meno quella della produttività (prossima allo zero). Passando all’altro cavallo di battaglia della Catalfo, quello secondo cui la diminuzione degli inattivi sarebbe imputabile alle misure contenute nel reddito di cittadinanza, esso ci sembra azzoppato. Com’è noto la percezione del reddito di cittadinanza prevede che gli inattivi (né occupati né disoccupati) si iscrivano al collocamento. Quindi, secondo il moto perpetuo dell’economia, ideato dall’attuale Presidente del INPS, ci sarebbero dovuti essere meno inattivi e più disoccupati. Ma tra aprile e novembre 2019 (unici dati disponibili) abbiamo 86 mila disoccupati in meno, e 126 mila inattivi in meno. Detto in altre parole, non si trova traccia alcuna del travaso tra inattivi e disoccupati (iscritti al collocamento) che gli ideatori del reddito di cittadinanza avevano auspicato, visto che sono diminuiti sia i disoccupati che gli inattivi. A nostro avviso le strade da percorrere per aumentare l’occupazione sono solo due: i) o diminuire il suo costo totale, quindi o i salari o gli oneri sociali pagati dalle imprese (il cosiddetto cuneo fiscale); ii) o aumentare la produttività di tutti i lavoratori. Quest'ultima via, poi, la si può percorrere o aumentando la qualità della scolarizzazione degli italiani (e visti gli indici di analfabetismo funzionale che ha l'Italia, su questo tema c'è un enorme lavoro da fare) o aumentando gli investimenti in tecnologia delle imprese. Tertium non datur.
Marco Boleo