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15/11/2019
Un inferno di Governo
I Cinque Stelle hanno compiuto altri passi verso l’abbandono del carattere movimentista per assumere una logica di potere per il potere

Sono bastate poche settimane per trasformare in un inferno quella che avrebbe dovuto essere una luna di miele che , generalmente,  accompagna i primi mesi di attività dei governi.

Si va scoprendo nei fatti che quella svolta “anti” che ha ispirato l’accordo del Conte bis e che è servita a fermare Salvini,   non consente di costruire, cioè di governare  le questioni che incombono sul Paese  con una impressionante accelerazione.

Si è disatteso l’autorevole invito di Mattarella che, a suo tempo, non chiese un governo purchessia, ma un accordo che fosse in grado di avere un respiro ampio per garantire governabilità, non solo una aritmetica maggioranza parlamentare.

L’accordo ha operato in senso peggiorativo sulle stesse forze che lo hanno fatto nascere.

 I Cinque Stelle hanno compiuti altri passi verso l’abbandono del carattere  movimentista per assumere una logica di potere per il potere e, con gli accordi regionali, una sorta di riconversione neo partitocratica.  Fino a giungere al paradosso in negativo che, senza alleanze, addirittura, non presenterebbero proprie liste. Nel contempo si assiste ad un indurimento del loro connotato culturale anti industriale che accentua l’opposizione alle grandi opere, alla TAV, alla industria che ha un impatto ambientale, come quella siderurgica, che, invece, può essere resa compatibile, come dimostrano esperienze europee, anche a noi vicine.  L’utopia ispirata dalla dottrina Casaleggio su un futuro basato solo  su tecnologia informatica e intelligenza artificiale,   mostra il suo volto   pesantemente contrario all’economia reale e produttiva, che finirebbe per alimentare  quello che Tremonti definì  il fantasma della povertà.    

Il Partito Democratico, con l’alleanza, sta perdendo quel connotato che lo aveva , di fatto, negli anni,  trasformato fino a divenire il  garante dell’establishment della borghesia industriale del Paese.  Zingaretti, con una disarmante inadeguatezza,   ha ceduto all’”imboscata” di Renzi che,  in un sol colpo, ha evitato elezioni che lo avrebbero annullato politicamente e, nello stesso tempo, è uscito  per occupare un posto privilegiato rispetto al mondo degli interessi reali , lasciando il Pd schiacciato sui  5 Stelle e i loro “incubi” antisviluppo. Il segretario del Pd in un patetico tentativo  di distinguersi indica come modello il Partito democratico americano che si oppone a Trump, cioè alla destra. Ma più che un reale riferimento ai liberals, come ha scritto recentemente Federico Rampini, che conosce a fondo gli USA, ciò dimostra “un fatale complesso di inferiorità” e un sentirsi “ provinciale”, che  sviluppano “i germi di una filiazione: dalla sinistra al Movimento 5 Stelle”.

 In buona sostanza, si sta realizzando quell’amalgama,  a cui facevano riferimento i supponenti (Bettini) o tartufeschi (Franceschini) strateghi  del Pd,  che, in nome di non  precisati orizzonti ambientalisti,  ci condurrebbe ad  abbandonare il posto di rilievo nella manifattura europea, aprendoci ad una condizione postindustriale, economicamente drammatica e socialmente pericolosa. Anche perché il quadro delle difficoltà evidenziato dalla crisi dell’ex ILVA presenta altre non risolte  situazioni pesanti come quella dell’Alitalia, della Whirlpool che  non sembrano esaurirsi. Da questo quadro emerge il comun denominatore della fuga dagli investimenti di lungo periodo nel nostro Paese.

Il governo sembrerebbe tentato dal cosiddetto piano B che prevederebbe l’intervento pubblico da parte della Cassa Depositi e Prestiti. Sarebbe facile ricordare che il declino dell’IRI avvenne, oltre che per lo scontro sulla chimica, quanto si volse alla politica di salvataggio di imprese fuori mercato, limitando quegli investimenti infrastrutturali diretti che accompagnarono lo sviluppo degli anni ’60. Soprattutto, in questa fase, l’acquisizione di quota parte di capitale di imprese private - difficilmente autorizzabile dall’Europa – toglierebbe, comunque, risorse meglio destinabili verso quegli investimenti per opere pubbliche che rappresenterebbe, nell’attuale contrazione degli impegni privati, il volano necessario. Un solo esempio di questo tipo sarebbe l’estensione dell’Alta Velocità nel resto d’Italia, intervento strutturale necessario per lo sviluppo delle aree più povere del Mezzogiorno. 

Il quadro economico difficile sul quale si dimostra l’inadeguatezza del governo, privo di una politica industriale, riguarda anche le piccole e medie imprese. La CNA di Mestre ha pubblicato il 10 novembre i dati sulla silenziosa sparizione,  negli ultimi dieci anni,  di 200 mila negozi di vicinato, mentre, nello stesso giorno,  si registra l’allarme da parte del presidente della piccola impresa di CONFINDUSTRIA, secondo il quale  il nuovo “Codice di crisi”, altrettanto misterioso  oggetto di un decreto legislativo,   prevederebbe controlli  finalizzati al rischio di insolvenza , ma che per il poco tempo  previsto nel traghettare al nuovo sistema,  creerebbe “disagio e panico in decine di migliaia di piccoli imprenditori”.

L’”inferno del governo” è giunto a tal punto che anche un autorevole e pacato  esponente della Lega come Giancarlo Giorgetti, è arrivato a proporre “una Costituente per le riforme”, affermando che a fine agosto  si sarebbe dovuto fare un accordo per “fare alcune cose insieme”.  Il tutto mentre ci si incammina sulla stretta via della discussione e approvazione della legge finanziaria, già definita dal Ministro Gualtieri “migliorabile” dal dibattito parlamentare, rivelando ulteriori incertezze e divisioni.

Sarà difficile sostenere a lungo tutto questo. Nei primi mesi dell’anno nuovo  potremmo assistere ad  un’altra storia.

Pietro Giubilo

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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