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09/07/2019
Un Paese che non riparte
La percezione che si ha è che si stiano affrontando con una leggerezza e un superficialità incredibili delle materie complicatissime e delicatissime

ll primo punto su cui torna alla carica Salvini è la flat tax; mentre il cavallo di battaglia della Lega prevede e inizialmente due aliquote Irpef, al 15% e al 20%. Il nodo resta quello delle coperture. Nelle stime leghìste la misura costerebbe intorno ai 15 miliardi. i il M5 stelle sono freddi: non vogliono favorire i ceti più ricchi. E su questo tema c'è il pressing delle Associazioni di categorie.

Autonomie: il Nord in pressing

Matteo Salvini, su questo punto è chiaro da tempo: «E’ il futuro». E ha rimesso «al centro il tema dell'autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Le bozze delle intese sono pronte, ma il confronto, tra gli alleati di governo resta ancora molto accesso. La Lega non è pìù disposta ad aspettare, anche per le pressioni dei Governatori del Nord; mentre í 5Stelle, non la considerano una priorltà.

Alta velocità la pazienza finita

Per certi versi è il dossier più esplosivo, l’Alta velocità è stata fin dall'inizio il tema di scontro tra i due partiti. Un totem per la Lega, una battaglia identitaria per i 5Stelle. Il compromesso raggiunto a marzo, imposto dal premier che, di fatto, non ha fermato i bandi di gara, rischia quindi di saltare con i nuovi equilibri di forza emersi dalle elezioni europee e, a maggior ragione, dalle amministrative a cominciare dalla ‘presa' del Piemonte.

Aliquote Iva Scontro con la UE.

. Così Salvini, lìquida la possibile procedura d'infrazione di Bruxelles per lo sforamento del debito e l'ipotesi di un aumento dell'lva per la cui sterilizzazione servono 231 miliardi: assicura. E per applicare, subito la Flat Tax chiede dieci miliardi.

Grandi opere i cantieri ferml

«La lista delle opere da sbloccare grazie ai poteri straordinari dei commissari resta ancora da stilare. Ovviamente, visto che questi cantieri valgono decine di miliardi di euro, si tratta della partita più delicata da risolvere. Lo scontro tra le anime del governo non ha aiutato a trovare una soluzione. Anzi il decreto sblocca cantieri ha scatenato le reazioni forti di Confindutria, ma anche delle altre associazioni, di categoria.

Effettivamente il paese deve assolutamente dotarsi di una politica industriale. Con visione, interventi economici, per il lavoro e per l’istruzione. Perché oggi in Italia, manca completamente una politica industriale. La crescita, di cui abbiamo bisogno come il pane, non avverrà mai per decreto, ma solo quando si creeranno le condizioni per averla, quando si avrà un clima di diffusa fiducia.

Da più parti tra proposte di salario minimo, ipotesi di nuova scala mobile, caso Ilva, concessioni ridiscutibili, scarsa certezza del diritto anche in materia fiscale si ha la sensazione che a prevalere in Italia sia una politica antindustriale. Ovvero la sensazione è che si fanno delle leggi senza sapere cosa è la produzione manifatturiera. La percezione che si ha è che si stiano affrontando con una leggerezza e un superficialità incredibili delle materie complicatissime e delicatissime. Il caso Ilva è emblematico. Taranto è lo specchio di un Paese confuso e incerto. L'introduzione nel decreto crescita del cambiamento della tutela dalla responsabilità penale per i danni ambientali pregressi significa cambiare le regole del gioco a partita iniziata. Questo significa non capire lo sforzo di un investitore e dei lavoratori per ritrasformare un sito produttivo in una eccellenza nazionale. Questo significa minare la possibilità di poter essere attrattivi nei confronti degli investitori stranieri. Va detto con chiarezza: le regole devono essere certe sennò usciremo dagli schermi radar sia degli investitori industriali che di quelli finanziari. Il Paese rischia di essere completamente inaffidabile agli occhi degli investitori».

Poi le conseguenze presunte in termini dei posti di lavoro? Chi si mette nei panni di chi deve decidere se fare un impianto industriale in un paese o in un altro, non va in quello dove le regole cambiano continuamente, o dove le correggono a piacere nonostante gli accordi presi.

Il rischio reputazionale è oggi per l’Italia incredibilmente alto. Perché il governo fa correre questo rischio al Paese in un momento nel quale la congiuntura mondiale non è certo positiva e abbiamo anche una potenziale procedura di infrazione in arrivo: manca una percezione del contesto.

Basti pensare all’ecotassa sulle auto che si vara quando il mercato era maggiormente esposto alle crisi a causa del cambiamento delle regole ambientali in Europa. Si deprime con una tassa ingiusta un settore che già sta soffre per la competizione internazionale per un epocale cambiamento normativo. Incredibile. Sulla 'ipotesi di introdurre un salario minimo, ad esempio, per la metalmeccanica sarebbe poco impattante, ma è la preoccupazione a livello di sistema industriale italiano cioè si cerca sì di introdurre una tutela del lavoro sparando nel mucchio e rischiando di aumentare il lavoro nero.

Per migliorare la condizione dei lavoratori, ad esempio occorre un drastico abbattimento del cuneo fiscale, a partire dalla tassazione del lavoro, precisando che le coperture non vanno create a debito ma intervenendo sulla spesa improduttiva. Abbattere le tasse sul lavoro è vera giustizia sociale, altro che salario minimo. E poi, pensiamo allo sviluppo, cerchiamo di essere creativi. Si parla tanto di abbattimento drastico delle emissioni inquinanti, di mobilità sostenibile. Bene. Allora siamo conseguenti. Se questo è l’obiettivo, coniughiamolo con una coerente politica industriale. Noi siamo un grandissimo paese nella componentistica, ma dobbiamo essere proattivi. Creare un clima favorevole all’industria. Un clima di fiducia nel Paese. Perché altrimenti, dietro l'angolo purtroppo c’è il declino.

Gilberto Minghetti

 

 




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